L’Africa: dove porte non esistono

In una giornata qualsiasi, sembra che i luoghi e le persone siano già conosciuti, che non ci sia bisogno di convenevoli, perché siamo tutti la stessa cosa: umani.

Di Eugenio Sicher

Sto camminando per una via del quartiere di Djamboutou a Garoua, in Camerun. Sono le 13, fa un caldo pazzesco. Passo al fianco di un albero di manghi, tra i cui rami intravedo una sagoma. I nostri sguardi si incrociano.

– Il mango è il mio frutto preferito! – gli dico.

– Ah sì? Prendi! – mi dice lanciandomene uno.

Guardo il frutto. Guardo lui. Gli ricambio con un sorriso luminoso.

– Cosa altro ti piace di qui? Mi domanda.

– Il succo di folleré 

– La nostra vicina lo produce in casa – dice indicandomi una porta là a fianco.

Ci busso. Accorre una bambina. Capisce il mio sguardo e mi fa entrare nel cortile. Prendo due bottiglie belle fresche. Ora sono pronto per andare in città.

Il caricatore del computer non funzionava più. Così mi metto in cerca di un negozio di articoli informatici.

– Di cosa hai bisogno? Mi chiede un venditore ambulante.

– Di un caricatore per pc.

– Vieni con me.

Mi scorta a un negozio là vicino. Spiego al titolare, che mi mostra alcuni cavi, ma nessuno di loro è compatibile. Chiede al venditore di fronte, che arriva col cavo giusto. Nel frattempo il titolare si rimette a dormire mentre il pc si carica e installo gli aggiornamenti. Ritorna l’altro venditore con un panno e senza dire nulla inizia a spolverarmi il computer. Era piuttosto impolverato. Lo guardo un po’ imbarazzato, un po’ intenerito.

– Grazie… – gli dico.

Lui scuote la testa, come a dire “ci mancherebbe”.

Comprato il cavo, mi avvio verso l’uscita del mercato. Ci sono delle persone spaparanzate per terra su degli stuoini. Non fanno nulla, oziano beatamente in un posto in mezzo al tutto senza attirare l’attenzione di nessuno. In quel momento passa Ahmed, il mio venditore di tessuti di fiducia.

– Ciao Ahmed!

– Ciao – mi risponde – vado in un posto qui vicino, vieni.

Senza pensarci salto sulla sua moto, che mi porta nell’atelier di un suo amico. Restiamo là un po’, poi rientriamo nel suo negozio.

Mi congedo e rientro verso casa. Passando per il quartiere mi fermo in una viuzza dove di solito compro il pesce fritto. Ma oggi non c’è, così mi avvio verso casa. A un certo punto mi ferma un tizio. Dopo aver parlato del più e del meno, gli racconto la mia sventura. Cinque minuti dopo arriva uno sconosciuto.

– Sei tu quello che vuole il pesce?

– Sì perché?

– Quanto ne vuoi?

– Mah, per 500 franchi.

– Abiti a Saare Jabbaama giusto?

– Sì.

Così scompare. Più tardi me lo trovo sotto casa con un filetto di capitain da leccarsi i baffi.

Semplice. Questa è l’Africa che ho conosciuto. Dove arrivare alle persone è facile, dove la vita scorre senza troppe pare, dove le porte sono sempre aperte.

Questo articolo si aggiunge agli altri racconti di Eugenio del suo Servizio Civile in Camerun:
Lento, violento. Il tempo sterminato del Camerun, Il potere della condivisione, L’affetto di braccia sconosciute, Partire per un’altra avventura.