L’affetto di braccia sconosciute

Arrivato in Camerun, venni subito accolto calorosamente. Ma non fu un evento sporadico, fu la regola. Così lasciai che il mio cuore si aprisse a questa forma di amore gratuito.

di Eugenio Sicher

All’uscita dell’aeroporto venni accolto da un’intensa zaffata di calore. Ero decisamente arrivato a Garoua, nel nord del Camerun. Ad attenderci c’erano Awe e Boubakary, i miei responsabili. Una volta a casa, Boubakary mi si avvicinò.

– A qualsiasi ora, qualsiasi giorno, tu mi chiami e io rispondo.

Mi sembrava una di quelle frasi buttate lì per compiacere. Non era così. Davvero quelle parole erano la realtà. Davvero Boubakary era disponibile, pronto ad accogliere. E non solo lui.

Ero uscito una sera con Salomon, un amico che abitava nella mia stessa struttura, nel nostro quartiere. Siamo andati a visitare un suo amico. Entriamo nel cortile, dopodiché ci invita in una sala. Poco dopo lì ci viene servito un piattone di spaghetti, ci viene consegnata a ciascuno una forchetta e ci invitano a mangiare. Non mi conoscevano. Eppure, ero al loro fianco a condividere quel pasto. Anche l’amica che visitammo più tardi quando entrai aprì del vino e me lo offrì.

Mi capitò diverse altre volte di essere accolto con molta apertura e affetto. Capitò da padre Abba in parrocchia, che non mi lasciò andare senza aver preso con me qualche succo. Capitò con la sorella di Boubakary, che sia a casa che al lavoro mi aveva preparato del cibo. Capitò con Ali, che mi prese sotto la sua ala nel suo atelier di cucito. Capitò con la famiglia di Joelle, che mi accolse e accudì come un figlio.

Tutti loro mi stupirono per la loro disponibilità ad accogliere a cuore aperto uno straniero come me, con tanta naturalezza e autenticità. Nel loro piccolo erano enormemente ospitali. Mi fecero sentire a casa. Mi fecero tenerezza. Mi colpirono al cuore. E mi fecero anche riflettere: come è possibile accogliere così uno sconosciuto? Perché lo fanno?

Mi resi conto di quanto di più potessi aprire il mio cuore all’altro, di quanto spesso lo centellinassi. Vidi nei loro occhi la bellezza dell’ospitalità. Che è possibile dare di più. Ed è più bello.

Allora feci il mio passo: mi lasciai accogliere. Mi sedetti sul pavimento, mangiai dallo stesso piatto, con le mani. Come loro. Come uno di loro.