Il potere della condivisione

Un’insalata di cetrioli, un pugno di arachidi, una forchettata di spaghetti, un sacchetto di carne grigliata. Poco basta per dare un segno grande: la condivisione. Racconti di un giovane in servizio civile in Camerun

di Eugenio Sicher

È l’ora di pranzo. Avevo portato da casa alcuni tranci di pizza avanzati dalla sera prima. Esco dall’ufficio e vado a sedermi su una panchina a mangiare. Quando rientro Boubakary mi chiama in ufficio.

  • Eugenio, non va bene quello che hai fatto
  • Cosa? Rispondo io, sorpreso
  • La pizza. Sei uscito solo e l’hai mangiata da solo. Vedi, qui si condivide tutto. Anche se è poco, solo per il gesto.

Non avevo pensato più in là della mia pancia, e infatti non mi era neanche venuto da controbattere alla sua osservazione. Col tempo, gli diedi ragione. Eccome. 

Ero con Joelle. Era da mesi che non la pagavano. Ero di visita a casa sua, così siamo usciti e siamo andati dalla vicina, che vendeva cetrioli. Non aveva che mille franchi nelle sue tasche. Li spese tutti per comprare il necessario per fare l’insalata di cetrioli.

Ero arrivato a casa, al centro Saare Jabbaama. All’aprire il cancello un bambino mi viene incontro e mi mette in mano un sacchettino. Lo apro e ci trovo dentro degli arachidi. Mi accorgo poco dopo di una cosa: ne aveva due, e uno di questi due lo aveva dato a me.

Ero con Salomon. Siamo usciti e siamo andati a trovare un Assan, un suo amico di quartiere. Arriviamo a casa sua senza preavviso. Ci apre la porta e ci invita nel salone, dove c’era già un suo amico seduto davanti a un grande piatto di spaghetti. Poco dopo ritorna con due forchette e ci invita a mangiare insieme a loro.

Stavo rientrando a Garoua di auto dopo un lungo viaggio in treno. Mi trovo in auto con tre sconosciuti nigeriani, con i quali non scambio che due battute all’inizio del viaggio, per poi immergermi nella scrittura. A un certo punto l’auto si ferma, è l’ora della pausa. Esco per sgranchirmi le gambe, e mi metto ad aspettare la ripartenza sotto il sole. A un certo punto sento una mano che mi tocca sul braccio. Era un ragazzo che c’era in auto. Mi offre un sacchetto. Lo apro, dentro c’è della carne grigliata. Poco dopo torna con un alcuni mazzi di carote e me ne porge uno.

Alcuni li conoscevo, altri no. In tutti i casi, è successa la stessa cosa: hanno condiviso il poco che avevano. Joelle, il bambino, Assan, il ragazzo dell’auto. Quattro persone che avevano molto meno di me. Quattro persone che non hanno pensato con la testa se aveva senso darmi quello che mi hanno dato. Lo hanno fatto col cuore, a tal punto da farmi sentire in imbarazzo. Perché io non lo ho fatto, che sono in una situazione meno difficile? Perché conto, perché il mio cuore non è così?

Con un piccolo gesto, mi hanno lasciato un grande stupore. Di come con il poco si possa dare tanto. E di come con un accorgimento si possa dare così tanto. Perché condividere conta di più dei soldi, delle difficoltà, del rapporto che c’è. È così forte che è identitario. Forse perché l’unica maniera per sopravvivere in un contesto così difficile è una: insieme.