Quando le vittime diventano imputati

In data 7 e 8 novembre 2023 al Tribunale di Tempio Pausania, l’avvocata alla difesa nel caso Grillo Jr., Antonella Cuccureddu, ha posto alla giovane accusatrice domande ritenute “troppo intime” dal legale di parte civile della giovane, Dario Romano. Tale fatto ha sviluppato un dibattito pubblico su dove tracciare il confine tra ricerca della verità e seconda vittimizzazione nei casi di violenza sessuale in Italia.

di Anna Rossi
Mentor: Paulo Lima

La studentessa accusa Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia di violenza sessuale di gruppo perpetrata a suo danno nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 2019 nella casa di famiglia Grillo a Porto Cervo. “Perché non ha usato i denti durante il rapporto orale?”, oppure “Come hanno fatto a toglierle gli slip?”. Queste sono solo alcune delle domande a cui la presunta vittima ha dovuto rispondere. Così la legale Ilaria Boiano dell’associazione ‘Differenza Donna’ ha commentato l’accaduto: “Siamo a mezzo secolo fa […] quando il processo per stupro accusava chi subiva le violenze”.

Seconda vittimizzazione

Così come la dottoressa Boiano, parte dell’opinione pubblica accusa l’avvocata Cuccureddu di aver sottoposto la ragazza ad una “seconda vittimizzazione”, ma cos’è esattamente? Una Raccomandazione del 2006 del Consiglio d’Europa la definisce “vittimizzazione che non si verifica come diretta conseguenza dell’atto criminale, ma attraverso la risposta d’istituzioni e individui alla vittima”; la stessa Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata nel 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013, prescrive, nell’art.18, di evitarla. Di fatto, questa vittimizzazione porta la vittima a rivivere il trauma o subire ulteriori violenze da parti di soggetti diversi dall’autore della violenza primaria.

Non basta il dissenso

Si tratta dunque, di un fenomeno non solo riconosciuto, ma anche problematico da tempo. Ma allora come mai in Italia il fenomeno rappresenta ancora un problema? Insigni giuristi ritengono che ciò nasca dalla legge stessa, specie dalla formulazione dell’art.609-bis c.p. secondo cui la violenza sessuale avviene quando qualcuno “con violenza o minaccia […], costringe taluno a compiere o subire atti sessuali […]”. Quindi il dissenso non basta, ci deve essere costrizione; non basta dire “no”, serve opporre resistenza attiva. Inoltre, questa lettura sposta l’attenzione dall’aggressore alla vittima, rendendo oggetto di scrutinio le singole azioni della vittima.

Spesso si accusano le vittime di “non aver detto no”, di non essersi opposte con tutte le loro forze all’aggressore, di aver, in fondo, “accettato le avances” rimanendo ferme. Ma, tralasciando il fatto che spesso le vittime sono sotto l’effetto di sostanze che inibiscono le loro capacità di risposta, ci sono spiegazioni scientifiche per questo tipo di comportamento.

Cosa dice la scienza

La Teoria Polivagale di S. W. Porges sul Sistema Nervoso Autonomo (SNA) spiega la risposta umana a livello neurofisiologico in situazioni di pericolo. Secondo Porges, il cervello è costantemente impegnato nel processo di “neurocezione”, ovvero di valutazione dei rischi nell’ambiente e la conseguente reazione automatica. Esistono tre tipi di stimoli (sicuri, pericolosi e minaccianti per la vita), gestiti da tre circuiti neuronali diversi, corrispondenti a tre stati filogenetici di sviluppo e a cui conseguono tre strategie di difesa. Le condizioni di pericolo sono gestite dal circuito simpatico che regola la classica risposta attacco-fuga dei mammiferi; qualora le condizioni siano minaccianti la vita, entra in funzione il circuito dorso vagale portando il corpo alla risposta tipica dei rettili, ovvero immobilizzazione, ridotta sensibilità al dolore e dissociazione. Si spiega dunque perché alcuni individui non reagiscono in situazioni di grande pericolo, perché “non dire no non significa dire sì”.

E l’Italia?

Ma allora qual è la situazione italiana in seguito all’implementazione della Convenzione d’Istanbul? Nel gennaio 2020 il gruppo indipendente d’esperti GREVIO analizzò la situazione. Da questo report emerge come l’Italia violi costantemente l’art.15 della Convenzione secondo cui i membri devono fornire una formazione adeguata ai professionisti che si occupano di vittime ed autori di violenza di genere. In particolare, GREVIO sottolinea come la vittimizzazione secondaria sia allarmante nei casi di violenza sessuale perché le investigazioni si concentrano sulla storia sessuale dell’imputato per capire se costoro siano realmente vittime.

La mancanza di personale specializzato e le disastrose conseguenze che tale situazione comporta è evidente nella sentenza J.L v Italy del 2021 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che condanna l’Italia per vittimizzazione secondaria. Nel caso, la studentessa d’arte e teatro J.L fu obbligata ad avere vari rapporti sessuali con un gruppo di uomini dopo una festa a Firenze; i giudici italiani dedussero le caratteristiche della persona offesa dalle sue scelte di vita e artistiche, collegando la sua condotta ai suoi atteggiamenti portando, in fine, all’assoluzione del gruppo. J.L, in seguito, portò il caso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ritenne che il contenuto della decisione della Corte d’Appello violasse il diritto alla vita personale della vittima, tutelato dall’art.8 della Convenzione. La Corte stabilì inoltre, che, per quanto il comportamento dell’appellante in quella notte e le sue relazioni con gli accusati potessero essere oggetto d’investigazione, la sua storia familiare, sentimentale e sessuale, nonché le sue scelte artistiche, e il modo di vestire non potessero essere indagate. Di fatto, i giudici italiani per decidere il caso avevano formulato una condanna morale dello stile di vita della vittima sulla base dello stereotipo della “vittima perfetta”.

Strumenti di tutela

Oggi quali sono gli strumenti di tutela delle vittime di violenza sessuale? Ad esempio, la legge 69 del 25 luglio 2019, anche detta “Codice Rosso”, che introduce modifiche al Codice penale e al codice di procedura penale, attraverso accelerazione per l’avvio del procedimento, indagini più veloci, maggiore protezione per la vittima e pene più severe.

Inoltre, col passare del tempo l’”audizione protetta”, prevista dall’art.398 c.5-bis c.p.p per minori, infermi di mente e maggiorenni offesi da reati ad alto impatto traumatico, si è estesa alla violenza sessuale. Al giorno d’oggi è possibile ricorrere all’”incidente probatorio” inserito nell’art.392 c.p.p. con la funzione di anticipare l’acquisizione e la formazione di una prova durante indagini preliminari (purché pertinente e rilevante); tale strumento, per attivarsi, deve però essere richiesto al giudice da pubblico ministero o persona sottoposta ad indagini, quando quest’ultima versa in condizioni di particolare vulnerabilità. Nel caso Grillo jr. tale richiesta non è stata inoltrata, il che non ha sicuramente aiutato il fragile stato della giovane.

Conclusioni

In conclusione, l’obiettivo di quest’articolo non è stabilire la colpevolezza o meno degli imputati nel caso Grillo jr., né tanto meno decidere se l’avvocata Cuccureddu abbia perpetrato vittimizzazione secondaria ai danni della studentessa. Il fine è fornire ai lettori gli strumenti e le informazioni necessarie a capire un fenomeno tanto complesso quanto al centro di dibattito pubblico com’è la vittimizzazione secondaria.

Per saperne di più

Consigliamo la lettura dell’articolo “Perché non ha urlato?” che spiega sotto altri punti di vista il fenomeno della vittimizzazione secondaria e gli articoli “Non tutti gli uomini” e “È ora di urlare basta, è ora di fare rumore” che trattano sempre il tema della violenza di genere.