È ora di urlare basta, è ora di fare rumore

Novembre 2023, sono 106 le donne uccise in Italia dall’inizio dell’anno, vittime non solo del loro assassino ma di una narrazione della violenza di genere tossica che si autoalimenta e che deve cambiare. 

di Ingrid Salvadori
Mentor: Alessandro Graziadei

in copertina e come prima immagine: Progetto di Alessia di Santo, Veronika Kanyhina, Asher Marco Levi, Fabio Pennone. Politecnico di Milano Riconosci la violenza (wesaystop.it)

Un film, un manifesto, una poesia che diventa virale, modi diversi per dire stop, per educare, per contrastare la violenza di genere e per creare una narrazione diversa, perché quello che è successo a Giulia Cecchettin, 22 anni, uccisa dall’ex fidanzato, non succeda più. Nella lotta contro la violenza maschile sulle donne le parole che si usano hanno sempre un significato profondo e troppo spesso la comunicazione del femminicidio diventa un processo di colpevolizzazione della donna e di deresponsabilizzazione dell’uomo. Da un lato le classiche frasi che incolpano lei “perché non l’ha denunciato prima?” o “Com’era vestita?”, dall’altro le frasi che descrivono lui “L’amava. Le faceva pure i biscotti.” oppure ancora “Era un bravo ragazzo”. La verità è che questa narrazione uccide perpetrando il patriarcato e la cultura del possesso che, in Italia, hanno già causato la morte di 106 donne dall’inizio dell’anno. Questa narrazione deve cambiare.

Il film

Paola Cortellesi l’ha fatto, in qualità di regista e attrice, con il suo film “C’è ancora domani”, già visto da più di 2 milioni di persone. Racconta una storia di violenza domestica e di diritti delle donne nella Roma del 1946, una storia di possesso dove la donna è una proprietà, dove essere picchiata da chi dice di volerti bene è la norma. E la racconta in bianco e nero, ma con la musica pop in sottofondo e la violenza che diventa danza. È quasi come se volesse fondere passato e presente. Il film però dà anche un altro messaggio importante, la situazione può cambiare, si è in tempo, si può evitare che un’altra donna venga uccisa, ma bisogna agire.

Il manifesto 

Lo hanno fatto anche le studentesse e gli studenti di design della comunicazione che hanno partecipato all’iniziativa “We say stop” (manifesti (wesaystop.it)). Il progetto, promosso dal gruppo DCXCG (Design della Comunicazione per le Culture di Genere) con il Politecnico di Milano, la Società Italiana di Design e il Centro di ricerca interuniversitario Culture di genere, si è concretizzato in 85 manifesti, di cui 41 resi disponibili e scaricabili per poter diffondere l’azione di sensibilizzazione. I manifesti, realizzati attraverso le tecniche, i metodi e i linguaggi propri di design della comunicazione, puntano a educare, riconoscere e contrastare la violenza maschile sulle donne. Parole e immagini sono selezionate e abbinate con cura perché non vi sia possibilità di fraintendimento e perché rimangano indelebili nella mente. “Se continui così sarò costretto a lasciarti. Riconosci la violenza”. “Romanticismo o Violenza? I regali, se indesiderati e perpetrati nel tempo, sono una forma di stalking”. “Stai dicendo cose che non esistono. Nessuno ti crederà, sei pazza. Stai solo prendendo coscienza del suo inganno, non avere paura di parlarne”.

Progetto di Andrea Nicolardi, Paolo Soverchia, Asia Stanchieri. Università di Camerino Tra le righe (wesaystop.it)

La poesia

Poi c’è la poesia dell’attivista peruviana Cristina Torres Cáceres, scritta nel 2011 per tutte le vittime di femminicidio in America Latina. È diventata virale sul web dopo la notizia dell’uccisione di Giulia. I suoi versi hanno acquisito un valore inestimabile. Sono consapevolezza, voglia di resistere, e soprattutto voglia di combattere. “Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto./ Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.” (Poesia della poetessa e attivista peruviana Cristina Torres Cáceres. Traduzione mia. Prosegue la lotta. In memoria di Giulia Cecchettin e… | Instagram )Non si scappa dalla violenza di genere e se sei donna probabilmente l’hai imparato da bambina, se sei uomo magari tendi ancora a tacere quando uno dei tuoi amici fischia a una ragazza. Non si scappa perché quello che ti uccide non è un raptus, è un uomo che si sente legittimato a farlo perché non ti possiede più. Non si scappa perché è così intrinseca nella società che a volte passa in sordina, in uno spot pubblicitario o nella battuta sessista che non sembra scandalizzare nessuno. La narrazione attuale è figlia e allo stesso tempo rafforza e maschera questa cultura di genere tossica. È una narrazione che però può essere combattuta, si può comunicare la violenza in modo da educare alla parità e alla libertà e impedire che la lista si allunghi.

È ora di urlare basta, è ora di fare rumore.