Il caso Assange e la libertà di stampa nelle democrazie occidentali

La vicenda di Julian Assange è stata recentemente riportata all’attenzione dell’opinione pubblica. Abbiamo riflettuto con la giornalista Stefania Maurizi sul significato del caso Assange per la libertà di stampa nelle democrazie occidentali.

di Maddalena Volcan
Mentor: Augusto Goio

Julian Assange rischia di passare la sua vita in carcere per aver fatto il suo lavoro: il giornalista. A febbraio, quando si è riunita l’Alta Corte di giustizia di Londra per decidere in merito al ricorso di Assange contro la richiesta di estradizione negli Stati Uniti, la vicenda è tornata agli onori della cronaca. 

Con Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta de Il Fatto Quotidiano che in passato si occupata dell’analisi dei documenti di  WikiLeaks relativi alle guerre in Iraq e in Afghanistan, approfondiamo l’argomento e il suo legame con la questione della libertà di stampa, in particolare nelle democrazie occidentali.

L’idea di Assange

Julian Assange è un giornalista d’inchiesta australiano, fondatore della pagina divulgativa WikiLeaks, un’organizzazione giornalistica avente una struttura globale e non basata in uno stato. “Assange è un talento del computer, perché ha creato WikiLeaks sfruttando le capacità cruciali e uniche della rete”, spiega Maurizi. “Se noi giornalisti torniamo alle fonti, alle persone che hanno accesso a informazioni importanti per la vita di tutti (come notizie di corruzione, di torture, di crimini di guerra e contro l’umanità), dall’interno di un governo, di un’azienda, di un’agenzia, c’è bisogno di un sistema sicuro che motivi queste persone a farci arrivare questi documenti.” L’idea di Assange è stata quella di fornire un sistema per la diffusione di informazioni sufficientemente sicuro e protetto, per garantire l’anonimità delle fonti, la protezione delle stesse e l’irrivelabilità della loro identità.

Julian Assange, © David G Silvers. Cancillería del Ecuador

Dove e quando nasce Wikileaks

Nel 2006 Assange fonda a questo scopo l’organizzazione giornalistica WikiLeaks. Il giornalista aveva verificato il ruolo fondamentale dell’informazione durante la guerra in Iraq, una guerra devastante, che ha provocato la morte di 600.000 civili, ha generato almeno 9,2 milioni di rifugiati e sfollati e ha favorito l’emergere dell’ISIS, l’organizzazione terroristica paramilitare islamica fondata nel caos post-invasione. “Quella guerra fu scatenata basandosi su informazioni di intelligence completamente false -, osserva Maurizi – usate dall’amministrazione Bush e dal governo inglese di Tony Blair”.

Julian Assange aveva individuato come queste informazioni fossero state falsificate e manipolate per giustificare l’invasione dell’Iraq da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna. Non solo: Assange ha anche saputo riconoscere come, all’interno dei servizi segreti di vari paesi, alcuni individui avessero cercato di avvertire l’opinione pubblica della falsità e dell’inaffidabilità delle informazioni, ma senza successo.

L’obiettivo di Wikileaks

Da allora l’obiettivo di WikiLeaks è quello di contribuire alla ricerca della verità e ad evitare tragedie, come la guerra in Iraq, grazie ad un’informazione veritiera basata sulle fonti. “Assange – prosegue Maurizi – ha sviluppato un sistema che, insieme al lavoro giornalistico degli ultimi decenni, ha permesso la diffusione di informazioni su guerre devastanti come quella afghana, sulla guerra in Iraq, su Guantanamo, campo di prigionia cubano noto per le violazioni sistematiche delle convenzioni di Ginevra riguardo ai prigionieri di guerra. Fatti gravi che, senza la documentazione fornita da persone all’interno di governi e di servizi segreti, non sarebbero mai emersi”, rimarca Maurizi.

In gioco la libertà di stampa

La libertà di stampa è considerata il termometro per lo stato di salute di ogni democrazia. Osserva Maurizi: “Se non è possibile rivelare cosa fanno i nostri governi a nome nostro e con i nostri soldi, noi non viviamo più in una democrazia”.

Oggi c’è  un sempre maggiore controllo da parte dei governi sull’informazione. “Chi prova a scalfire, ad abbattere il muro del controllo sull’informazione, in una dittatura finisce male, va o in prigione a vita o viene ucciso”, fa notare Maurizi. “Ma in una democrazia ciò non è ammissibile. I giornalisti che rivelano informazioni sulle azioni criminali commesse dagli Stati devono poterlo fare in sicurezza, da persone libere”.

Diverso trattamento

Per Julian Assange non è stato così: dal 2010, da quando cioè ha rivelato i crimini commessi dai governi statunitense e inglese, non ha più camminato da uomo libero, non ha più avuto la libertà. “Io, come altri giornalisti che hanno lavorato ai documenti pubblicati da WikiLeaks, non sono stata arrestata, né mai interrogata. Come si spiega questa differenza di trattamento?”, chiede provocatoriamente Maurizi, riflettendo sul doppio standard che differenzia il trattamento riservato ad Assange rispetto agli altri giornalisti d’inchiesta.

“Noi dobbiamo capire quando la nostra società imbocca una direzione pericolosa”, ragiona ancora Maurizi, osservando che quando ci si trova in situazioni storiche dove la società rischia di virare verso una strada preoccupante – come nel caso del fascismo o del nazismo -, l’opinione pubblica deve riscuotersi, deve reagire per impedire derive pericolose. “Se non permettiamo a un giornalista di rivelare i crimini di guerra, se non gli permettiamo di rivelare le torture e lo rinchiudiamo in prigione a vita, la nostra società non è più democratica: diventa autoritaria”, conclude Maurizi.

Costi e pericoli del giornalismo d’inchiesta

Il giornalismo d’inchiesta è un ramo del giornalismo che si occupa del far emergere informazioni che chi detiene il potere vuole nascondere. Il compito dei giornalisti d’inchiesta è quello di scavare alla ricerca di queste informazioni e di rivelarle in modo rigoroso e credibile, come sottolinea Maurizi.

Le minacce a questo tipo di giornalismo sono molte. Innanzitutto, c’è poca motivazione da parte dei media e dei giornali a fare questo tipo di giornalismo, trattandosi di un giornalismo costoso. Maurizi spiega come sia difficile ricercare informazioni: “Purtroppo non funziona che il giornalista richiede i documenti e il ministero, governo o azienda glieli consegni. Talvolta, bisogna ricorrere ad un’azione legale. Come è successo a me, che negli Stati Uniti, sulla base del Freedom of Information Act, sto lottando per la revisione dei documenti sul caso Assange e WikiLeaks. Ma ciò richiede tempo e risorse economiche da parte del giornalista o del giornale che gli o le sta alle spalle.”

Nel giornalismo di oggi

Un’altra questione fondamentale è la cosiddetta “infodemia”, vale a dire l’eccesso di informazioni e di notizie spesso non verificate dalle quali siamo inondati 24 ore su 24 su Internet e sui social. “Informazioni che l’opinione pubblica non ha il tempo di metabolizzare né di approfondire, per capirne il grado d’importanza.”

Maurizi sottolinea anche un altro aspetto del giornalismo di oggi. “In generale, il lavoro di approfondimento è sempre più raro: in parte per la superficialità dilagante nel mondo dell’informazione, in parte perché approfondire richiede tempo ed impegno nella ricerca di fonti affidabili e nella valutazione critica di queste ultime.”

Ulteriori esempi che ostacolano il lavoro d’inchiesta sono le querele temerarie, che vengono usate come forma di intimidazione da parte di politici o di imprenditori o gruppi economici. Spesso sono querele senza fondamento, ma comportano per difendersi grandi spese sia in termini economici, sia di tempi. “Queste azioni legali sono fatte per scoraggiare un giornalismo aggressivo”, conclude Maurizi “Chi è al potere, vuole un giornalismo docile, superficiale e poco incisivo.”

Il ruolo dei lettori

Quale ruolo hanno i lettori? “La cosa più importante è informarsi”, risponde Maurizi. “Il problema del nostro paese è che tanta gente non legge, non si interessa a quello che fa il governo, non si interessa a quello che accade nel paese.”

Come cittadini, abbiamo il diritto e il dovere di essere vigili e consapevoli di quello che succede nel mondo attorno a noi. Non è automatico, per questo Maurizi sostiene che ci debba essere un’educazione all’informazione.

Imparare significa anche imparare a conoscere e a capire l’attualità e cosa succede intorno a noi. “Bisogna chiedere agli insegnanti di spiegare come leggere un giornale, come guardare un telegiornale, come distinguere il lavoro dei giornalisti indipendenti e quello dei megafoni del poterei”, incalza. Sapere analizzare la realtà in modo critico è fondamentale in un mondo con così tante voci. Bisogna ricercare i giornalisti e le testate di informazione che hanno un approccio critico ed indipendente, che vanno al cuore delle questioni e che mettono in dubbio le versioni ufficiali del potere.

“E’ un cammino di formazione, un lavoro che si costruisce con il tempo osservando e leggendo chi scrive, quindi c’è bisogno di qualcuno che formi ed aiuti a sviluppare gli strumenti critici per analizzare le cose”, specifica Maurizi.

Il mondo è nostro, il futuro è nostro: noi giovani abbiamo una responsabilità nell’essere consapevoli della direzione in cui la nostra società sta evolvendo. “Non potete farlo, se non avete le informazioni affidabili, indipendenti, prodotte in modo aggressivo e non a favore del potere. È agendo in base a questa conoscenza e consapevolezza che si cambia il mondo”, conclude.

Per approfondire

Il tema della libertà, di stampa o di espressione, è stata trattata anche in questi articoli che vi invitiamo a leggere: Esiste un limite tra libertà artistica e responsabilità sociale?, La libertà d’informazione è onestà, spiega Raffaele Crocco, Il diritto di esprimersi.