Ripensare “noi nell’ambiente”, ecco la nuova sfida

Come passare dall’idea di noi e l’ambiente a noi nell’ambiente? Ne hanno parlato il noto antropologo Marco Aime e lo scienziato del clima Roberto Mezzalama al primo incontro dell’Agosto Degasperiano 2023.

Di Ilaria Bionda

© immagine di copertina Piacentini

“Non cominciamo a capirci più nulla di questo clima”. Queste le forti parole dell’antropologo Marco Aime che dimostrano come il tema della crisi climatica sia ricco di complessità. È questo il motivo per cui è stato inserito tra le Inquietudini, il filo rosso dell’Agosto Degasperiano 2023, la tradizionale rassegna estiva della Fondazione Trentina Alcide De Gasperi. Mercoledì 2 agosto nella splendida cornice di Malga Costa, presso Arte Sella, è andato in scena un dialogo – inusuale per la serie di eventi di solito a protagonista unico – per approfondire proprio la tematica dell’ambiente.

Secondo Aime, il clima è un tema “generazionale, globale e che fa pensare al futuro”. Per lo scienziato del clima Roberto Mezzalama, in aggiunta, l’argomento guarda sì al domani, ma è una riflessione che porta anche verso il passato: “Tutto ciò che vediamo oggi è un accumulo delle azioni precedenti, non dimentichiamoci della responsabilità storica”. Il climatologo ha poi spiegato che Cina e India sono le nazioni che al momento inquinano complessivamente di più, ma Stati Uniti ed Europa hanno sulle proprie spalle una grande mole di inquinamento dal passato.

Il paradigma attuale necessita, quindi, di essere modificato. “Il nostro discorso è sempre troppo incentrato su noi e l’ambiente, – ha approfondito Aime – mentre dovrebbe virare verso noi nell’ambiente. Non dobbiamo porci all’esterno, o come dominatori, ma come parte integrante dell’ambiente, che tra l’altro abbiamo fortemente danneggiato con le nostre azioni”. Ma quando è stato il momento, nel passato, in cui è avvenuto lo scollamento tra noi e la natura? Per l’antropologo, “il momento di distacco potrebbe ricondursi al processo a Galileo Galilei, oppure alla Rivoluzione Industriale, quando effettivamente il nostro impatto sulla Terra ha cominciato a crescere a dismisura”.

Una riflessione profonda va fatta sul come porsi nei confronti della situazione attuale. Per Mezzalama è opportuno rivedere la definizione di rinuncia e trasformarla nel concetto di liberazione. “Avere tante cose significa utilizzare tempo ed energie per esse, significa anche emettere anidride carbonica… liberarsene è un altro modo di vedere il sacrificio, lo si può fare con sollievo”.

Purtroppo, però, ci ritroviamo immersi nel modello di pensiero dove ciò che conta è lo sviluppo, il cui concetto “è stato mutuato dal mondo naturalista ma erroneamente – ha spiegato Aime – perché in natura ciò che nasce si sviluppa, ma poi va in declino e finisce; in economia, invece, il termine non considera più la seconda parte e punta a una crescita senza fine”. Si tratta, questo, di un mito al quale continuiamo a credere, poiché come umanità non ne possiamo fare a meno.

La Terra, però, è un sistema finito. L’umanità non ha mai preso in considerazione questa realtà e si è, al contrario, sempre comportata come se non esistessero dei limiti. “La crisi climatica ne è un esempio – ha approfondito Mezzalama – poiché abbiamo riempito l’atmosfera di anidride carbonica al massimo della sua capacità senza rendercene conto”. Impattante è il dato di fatto per il quale tutti i progetti di sfruttamento dei combustibili fossili già in atto o anche solo finanziati sono già sufficienti per superare il limite di innalzamento della temperatura imposto dalla Conferenza ONU sul Clima di Parigi del 2015. Bisognerebbe dunque fermarli, ma così si manderebbero in bancarotta una serie di aziende importanti. Si preferisce, invece, “mandare in bancarotta in Pianeta”.

In sintesi, quali sono le soluzioni concrete per ripensare l’ambiente? Da un lato affidandosi alla tecnologia: “Abbiamo bisogno della traduzione dei principi scientifici in maniera utile ma dobbiamo imparare ad usarla con il senso del limite”, ha affermato Mezzalama. In aggiunta, sicuramente, “ci vogliono forte attivismo e coraggio di prendere posizioni scomode”, esattamente come fanno i giovani, gli unici che al momento provano a scalfire il modello attuale con le proprie proteste.

Le strade da percorrere possono essere rese con una metafora e con una favola. La metafora consiste nel vedere la situazione come una ciambella e rimanere tra i due limiti: non cadere nel buco interno, quindi non abbassarsi sotto un certo livello, ma nemmeno eccedere e superare il limite esterno. La favola, invece, è quella del colibrì riportata da Marco Aime al termine del suo intervento: “Il piccolo animale viene inizialmente schernito per provare a spegnere un incendio con il suo minuscolo becco; ma la sua costanza diventa d’esempio per gli altri animali che, tutti insieme, ognuno con le sue capacità, riescono infine a vincere il fuoco”.