Le proteste dei giovani per il clima stanno funzionando?

Attacchi a quadri e opere d’arte di valore inestimabile, blocchi di autostrade, ostacoli alla costruzione di infrastrutture, tunneling: queste sono solo alcune delle azioni intraprese negli ultimi mesi dagli attivisti climatici, giovani che combattono contro l’indifferenza dimostrata dalle istituzioni nei confronti del cambiamento climatico. 

di Gloria Malerba

Arrivati a questo punto, dobbiamo chiederci se le varie proteste compiute recentemente dagli attivisti climatici stiano portando o meno ad un avvicinamento all’obiettivo prefissato. 

I recenti sviluppi inglesi sembrano dirci di no. 

In effetti, il Regno Unito è nel procinto di discutere una nuova proposta di legge sviluppata specificatamente per criminalizzare i fenomeni di attivismo climatico. Il disegno di legge, chiamato Public Order Bill, è stato proposto nel maggio del 2022 e la sua entrata in vigore è prevista esclusivamente per l’Inghilterra e il Galles. 

Tra le altre cose, gli atti criminalizzati dalla legge sono: il legarsi a delle strutture con lo scopo di causare seri disagi a persone o organizzazioni, ostacolare la costruzione e la manutenzione di infrastrutture di trasporto e rendersi responsabili della pratica cosiddetta del tunneling. Quest’ultima consiste nel costruire dei tunnel improvvisati sotto i siti che si intende bloccare, in modo da impedire alle forze dell’ordine di allontanare gli attivisti, barricati al loro interno; si tratta di  una pratica di protesta già ampiamente diffusasi negli anni 1990, che pone seri rischi per i manifestanti che la praticano. 

Al fine di condannare tali atti, la legge prevede un incremento dei poteri delle forze dell’ordine, permettendo loro di operare perquisizioni e sequestri, previa autorizzazione da parte di un ufficiale di rango superiore, anche senza che vi sia un sospetto fondato. Così come si discute sulla possibilità da parte delle forze dell’ordine di bloccare l’eventuale espansione delle proteste prima ancora che queste si sviluppino. Allo stesso modo, è stato annunciato un inasprimento delle pene: sono previsti dai 6 mesi di carcere per la partecipazione alle proteste, fino ai 3 anni di carcere per i reati più gravi, come quelli di tunneling. Inoltre, vi è la possibilità di fare multe che non hanno a priori un ammontare precisato, ma questo verrà deciso di caso in caso. Infine, il disegno di legge prevede la possibilità da parte delle autorità di ricorrere ad un ordine di prevenzione dei disagi gravi: una misura che consente di porre restrizioni agli attivisti, non in seguito ad una condanna, ma come mezzo di prevenzione nei confronti di soggetti già coinvolti in altri arresti o proteste. 

Le misure elencate sono sicuramente preoccupanti, in quanto si teme che esse possano avere una deriva antidemocratica. Gli stessi gruppi di protesta, pur non avendo intenzione di farsi fermare da questi nuovi provvedimenti, hanno dichiarato di essere spaventati dalla possibilità che il governo ha di sfruttare l’attivismo climatico per mettere in discussione determinati diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti da uno Stato democratico.

Eppure, queste posizioni sono tutt’altro che impopolari nel Regno Unito. Secondo un recente sondaggio, il 53% dei cittadini è convinto che siano necessarie delle misure restrittive create specificatamente per gli attivisti climatici. Se l’obiettivo di questi ultimi è quello di sensibilizzare la popolazione al problema del cambiamento climatico e, conseguentemente, di spingere i governi a mettere in atto delle misure per cercare di arginare tale fenomeno, apparentemente i mezzi utilizzati non stanno funzionando e potrebbe essere necessaria una revisione di tali procedimenti.

Un esempio in tal senso potrebbe essere l’uso della contro-pubblicità. Tale pratica consiste nello sviluppare delle parodie delle pubblicità fatte dalle grandi corporazioni e dalle multinazionali, con lo scopo di contestare i messaggi di propaganda da esse veicolati. Per far ciò, le immagini usate da questi enti vengono poste in contesti diversi e, in questo modo, il loro messaggio viene totalmente capovolto. 

È quello che è successo nel ambito dell’European Motor Show, il salone dell’auto tenutosi a Bruxelles tra il 14 e il 22 gennaio 2023. Alcuni movimenti, quali Brandalism e Subvertisers International, si sono unite al gruppo ambientalista Extinction Rebellion e, insieme, hanno creato e diffuso in vari paesi europei dei cartelli che imitano le campagne pubblicitarie di vari marchi di automobili. L’elemento centrale dei cartelli rimane una determinata auto, ma essa viene posta in relazione a messaggi totalmente negativi. Nonostante si trattasse solo di cartelli pubblicitari, che non hanno creato alcun danno materiale alle case automobilistiche presenti, comunque l’immagine di queste ultime ne ha risentito. In effetti, varie sono le aziende che hanno deciso di rispondere alle accuse degli attivisti. Ad esempio, Toyota ha sottolineato di star lavorando ormai da anni per cercare di ridurre l’impatto ambientale, così come BMW ha stabilito che l’ecosostenibilità è uno dei valori centrali che il gruppo persegue.

Quindi, è vero che, da sempre, le proteste per essere efficaci devono essere abbastanza forti da smuovere le coscienze degli individui e dei governi. Eppure, sembra che più radicale non significhi necessariamente migliore. È necessario trovare un modo per far sì che quante più persone possibili si avvicinino alla tematica e non il contrario, perché solo aumentando la consapevolezza degli individui tutti si potrà fermare la deriva antiambientalista degli ultimi anni.