I giovani alla Cop26: “il tempo è poco, ma possiamo fare molto”

Come sta andando la Cop26 di Glasgow? Ce l’hanno raccontato i dieci giovani del progetto “Visto Climatico” in una diretta della quale sono stati ospiti la ricercatrice Elisa Calliari, Lavinia Lait di Appa Trento e Jacopo Bencini di Italian Climate Network

Di Marianna Malpaga

Il tempo non è molto, ma c’è ancora margine d’azione per invertire la rotta. È questo, in sintesi, il pensiero del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), che ha presentato il sesto rapporto sui cambiamenti climatici alla Cop26 di Glasgow, che si concluderà il 12 novembre.  

C’è anche una delegazione di dieci universitari trentini alla conferenza delle parti sui cambiamenti climatici: Elisa Lunardelli, Emma Leoni, Emiliano Campisi, Enrico Chiogna, Ilaria Bionda, Irene Trombini, Gaetano Sciarotta, Mayra Boscato, Rosa Maria Currò e Simone Predelli.

Il gruppo è arrivato a Glasgow il 31 ottobre per seguire la ventiseiesima Cop grazie al progetto triennale “Visto Climatico”, promosso dall’associazione Viração&Jangada con il sostegno dell’assessorato competente alla cooperazione allo sviluppo della Provincia Autonoma di Trento, in collaborazione con il Centro Europeo Jean Monnet, l’associazione Mazingira (MUSE), la Fondazione Fontana e il portale Unimondo, l’associazione in Medias Res, e con il supporto scientifico dell’Osservatorio Trentino sul Clima.

Il racconto della Cop26 dei giovani trentini

I dieci partecipanti di “Visto Climatico” stanno raccontando quotidianamente i lavori “dentro e fuori” la Cop26, tra i capi di Stato e di governo ma anche all’interno della società civile. I mezzi utilizzati sono il sito e le pagine Facebook e Instagram dell’Agenzia di Stampa Giovanile, che permettono di raccontare in modo fresco e rapido i lavori di Glasgow, senza però tralasciare una parte di approfondimento.

Venerdì 5 novembre, le ragazze e i ragazzi hanno organizzato una diretta dalla Cop26 con tre ospiti: Elisa Calliari, ricercatrice dello University College of London, Lavinia Lait di Appa Trento (Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente) e Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network.

Erano collegate ben 79 classi di 25 scuole provenienti da 11 città sparse per tutta Italia.

Il nostro obiettivo è farvi entrare all’interno della Cop26 di Glasgow usando un linguaggio il più semplice possibile

Daniele Saguto, uno dei coordinatori del progetto.

“L’ultima chiamata ad agire per il futuro del pianeta e delle comunità umane”

Lavinia Lait di Appa è partita parlando dei dati emersi dal sesto rapporto presentato da Ipcc. “Questo documento ci permette di conoscere ciò che è accaduto ma anche quel che potrebbe avvenire in futuro”, ha spiegato.

Il dato di fatto è che la temperatura globale è aumentata di 1,1°C rispetto al periodo della rivoluzione industriale (18501900). “Se guardiamo però alla zona nella quale viviamo, tra il bacino del Mediterraneo e le Alpi, il riscaldamento è ancora maggiore”, ha aggiunto Lait. “Sulle Alpi si sono registrati circa 2°C di aumento della temperatura dal periodo industriale ad oggi. E le proiezioni future ci dicono che, se non agiamo, a fine secolo, nel 2100, vivremo con una temperatura più alta di 2,7°C”.

Sono cifre che, se non contestualizzate, non si capiscono. Lait ha quindi spiegato che mezzo grado in più significa “ghiacciai che si sciolgono, livello del mare che si alza, ecosistemi che si modificano, specie animali e vegetali che scompaiono e attività economiche messe in difficoltà (agricoltura e turismo in prima battuta)”.

Lo vediamo tutti i giorni. Le inondazioni, alluvioni, frane ed erosioni costiere che hanno colpito la Sicilia sono solo uno degli ultimi esempi che balzano alla mente considerando solamente il territorio italiano. Proprio in questo periodo, poi, ricorre il terzo anniversario della tempesta Vaia, che è fresco nella memoria di chi vive vicino alle Alpi.

Per tutti questi motivi che emergono vicino a casa nostra così come a livello mondiale, è necessario e impellente ridurre la CO2, ma anche altri gas serra meno conosciuti, come il metano. Ed è tutto legato al consumo di energia e alla produzione di cibo, ragion per cui è necessario modificare le nostre abitudini di vita per rimanere al di sotto della soglia dei 1,5°C di aumento della temperatura per il 2030, così come era stato previsto dall’accordo di Parigi.

Lavinia Lait

Dopo il 2015, anno in cui i capi di Stato e di governo si sono incontrati nella capitale francese, è arrivata quindi la Cop di Glasgow, secondo Lait (e non solo) “l’ultima chiamata ad agire in fretta e in maniera incisiva per il futuro del pianeta e delle comunità umane”.

Dai tecnici ai capi di Stato e di governo: come funziona una Cop

Elisa Calliari, ricercatrice dello University College of London, ha illustrato il funzionamento delle conferenze tra le parti. La durata è di due settimane, ma ci sono dei lavori preparatori a monte che sono durati tutto l’anno. Di queste due settimane, poi, la prima è dedicata ai tecnici che portano le loro conoscenze perché in seguito, nel corso della seconda settimana, i politici possano decidere avendo più cognizione di causa.

C’è un però. “In questo caso i padroni di casa, quindi la Gran Bretagna, hanno deciso di chiamare a raccolta i capi di Stato e di governo fin dai primissimi giorni della Cop26. C’è stato il World Leader Summit, durante il quale sono state messe nero su bianco le priorità dei Paesi nella lotta ai cambiamenti climatici”. I grandi assenti erano la Cina, il Brasile, la Turchia e la Russia. “Un dato preoccupante, perché sono tra i Paesi che emettono di più”, ha spiegato Calliari.

Le premesse sono buone. Tutti hanno convenuto sull’obiettivo di cercare di limitare il riscaldamento il più possibile, limitando l’innalzamento – come fissato dall’accordo di Parigi – a un grado e mezzo per il 2030. “Quest’obiettivo richiede naturalmente sforzi enormi – ha specificato la ricercatrice – anche a livello di finanza climatica per supportare i Paesi in via di sviluppo”.

Giovani e Cop: l’impegno di Italian Climate Network

Tutte le giornate della Cop26 hanno un tema specifico. Il 5 novembre è stata la giornata dedicata ai giovani. Jacopo Bencini di Italian Climate Network ha spiegato quindi il ruolo dei giovani all’interno della conferenza delle parti di Glasgow.

I cambiamenti climatici, inutile dirlo, avranno un impatto sulle generazioni future e noi abbiamo tanta voglia di fare la nostra parte. I ragazzi e le ragazze possono assistere ai negoziati dall’interno, come osservatori, ma anche dall’esterno. È una conquista incredibile, se pensiamo che fino a un decennio fa questi negoziati erano inaccessibili a chi non fa parte degli ‘alti livelli’. Sicuramente hanno contribuito movimenti come i Fridays for Future ed Extinction Rebellion, che hanno spinto la politica a impegnarsi di più e hanno fatto sì che questi temi arrivassero al grande pubblico con più frequenza

Jacopo Bencini

Se nel preambolo dell’accordo di Parigi del 2015 possiamo leggere un rimando anche alla giustizia intergenerazionale, questo lo dobbiamo anche ai giovani che sono “entrati” nelle stanze della Cop.

Dimentichiamo l’ansia climatica e agiamo con determinazione passo dopo passo

Elisa Lunardelli e Irene Tromibini di Agenzia di Stampa Giovanile hanno raccontato le loro emozioni nel partecipare ad un evento così importante. “Stiamo cercando di raccontare dalla nostra prospettiva, una prospettiva bottom-up quindi, la Cop26”, ha detto Elisa, che ha preso parola per prima e ha presentato il progetto “Visto Climatico”. “È un giornalismo, il nostro, che vuole aiutare le persone a guardare i dettagli della Cop, quelli che probabilmente non troverete sugli altri giornali”.

L’Agenzia di Stampa Giovanile copre tutte e due le aree della Cop: la “Green Zone” e la “Blue Zone”. Nella prima, aperta a tutta la cittadinanza, si incontra la società civile, mentre nella seconda si può accedere solo con un apposito badge. “È la zona calda, dove avvengono i negoziati”, ha spiegato Irene, che, a fine diretta, ha detto:

Quando si legge di un problema così grande come i cambiamenti climatici ci si sente quasi scoraggiati. Sentiamo parlare spesso di ‘ansia climatica’. Secondo me dobbiamo dimenticarla. L’hanno detto anche gli scienziati dell’Ipcc presentando il sesto rapporto sui cambiamenti climatici: è un’emergenza, certo, ma c’è ancora spazio per agire