Il premierato all’italiana arriva al Senato

L’introduzione del Premierato proposto dalla maggioranza comporterebbe una serie di problemi: dal voto degli Italiani all’estero, al sistema elettorale fino al ridimensionamento del ruolo Presidente della Repubblica. Riuscirà la maggioranza a modificare il testo correggendo almeno gli aspetti più criticati? 

di Michele Rosanelli
Mentor: Paulo Lima

In questi mesi si sta discutendo molto della proposta volta a modificare la forma di governo italiana a firma della ministra per le riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati. Il 24 aprile 2024 il testo è stato approvato dalla Commissione Affari istituzionali del Senato con alcuni emendamenti che hanno modificato la formulazione originaria. La proposta di revisione costituzionale ora passerà all’esame dell’Aula.

La proposta presenta ancora varie criticità: dal voto degli italiani all’estero al sistema elettorale, quello che ci si chiede è se riuscirà ad andare in porto con i necessari correttivi o finirà nel nulla come è stato nel caso degli ultimi due grandi referendum costituzionali.

Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, foto di Michele Rosanelli

Dall’ordine del giorno Perassi…

Il problema dell’assetto istituzionale e della forma di governo è uno dei temi che ciclicamente si ripropongono nel dibattito pubblico, sollevato soprattutto da chi ritiene che la forma di governo parlamentare attualmente vigente in Italia non garantisca la governabilità.

Le argomentazioni partono sempre dal famoso ordine del giorno Perassi, approvato il 5 settembre 1946 dalla seconda sottocommissione, quella che si occupava di organizzazione costituzionale dello Stato in seno all’Assemblea Costituente. Questo prevedeva l’adozione della forma di governo parlamentare ma richiedeva l’introduzione di “dispositivi costituzionali idonei e tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo ed evitare le degenerazioni del parlamentarismo”.

…al referendum del 2016

Molte commissioni bicamerali si sono interrogate nel corso degli anni su quale fosse l’assetto istituzionale migliore da introdurre nel nostro ordinamento o quali correttivi apportare per garantire la governabilità. Sono state istituite molte commissioni composte da membri del Senato e della Camera, in particolare vi è stata la bicamerale Bozzi negli anni ‘80, mentre negli anni ’90 abbiamo avuto la bicamerale De Mita-Iotti seguita poi dalla bicamerale D’Alema.

Negli anni duemila si sono svolti due importanti referendum confermativi, su delle proposte di riforma che riguardavano anche la forma di governo, la prima nel 2006 proposta da Silvio Berlusconi, la seconda nel 2016 da Matteo Renzi, entrambe hanno avuto un esito negativo e non sono state approvate dal corpo elettorale.

Come funziona adesso

Com’è noto, ad oggi il Presidente del Consiglio viene incaricato dal Presidente della Repubblica dopo le consultazioni con i partiti presenti in Parlamento e i Presidenti delle due Camere. Quando all’esito delle elezioni vi è una maggioranza chiara il Presidente del Consiglio sarà un soggetto indicato dai partiti usciti vincitori dalle elezioni.

Talvolta il risultato elettorale non consente di formare una maggioranza tra partiti che si sono presentati in una coalizione comune, in tal caso il ruolo del Presidente della Repubblica è più pregnante, egli individuerà, infatti, un soggetto che potrebbe ottenere la maggioranza sulla base di quanto emerge dalle consultazioni, l’incaricato potrebbe anche essere estraneo al sistema dei partiti (si parla in questo caso di governo tecnico) oppure semplicemente un soggetto che non è il leader del partito maggiore.

Il Presidente del Consiglio incaricato, propone al Presidente della Repubblica i Ministri e questi li nomina potendo anche intervenire sulla scelta in alcuni casi particolari, il governo così formato si presenta entro 10 giorni alle Camere per ottenere la fiducia e se la ottiene, dopo il giuramento di fronte al Presidente della Repubblica, entra in funzione.

In che cosa consiste la proposta di introduzione del premierato

La novità più importante è l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e la modifica delle sue prerogative. Il Presidente del Consiglio verrebbe eletto contestualmente alle Camere, a suffragio universale diretto, probabilmente con una scheda a parte.

Il Presidente eletto sarebbe “automaticamente” incaricato di formare il governo e avrebbe il potere di proporre al Presidente della Repubblica la nomina e la revoca dei ministri. Si prevede un limite di due mandati (o di tre nel caso in cui i due mandati non sono durati più di sette anni e mezzo).

Si prevede inoltre un premio di maggioranza in favore delle liste collegate al presidente del Consiglio eletto, senza però prevedere una soglia minima per l’attribuzione del premio, il che potrebbe portare la coalizione arrivata seconda, ma collegata al Presidente eletto, a essere decisamente sovrarappresentata in Parlamento grazie al premio di maggioranza.

Questi aspetti vengono lasciati alla legislazione elettorale da approvarsi in un secondo momento. Tuttavia, è ben difficile approvare una riforma così incisiva senza conoscere prima anche la disciplina elettorale alla quale sarà abbinata.

Cosa accade in caso di sfiducia 

Il governo dovrà ottenere comunque la fiducia parlamentare, dopo la sua formazione. Viene invece profondamente modificato l’istituto della sfiducia, che attualmente consente di sostituire un governo (sfiduciandolo) con un altro che ottiene la fiducia delle Camere.

La riforma prevede infatti che, in caso di sfiducia al governo presieduto dal Presidente del Consiglio eletto, vengano sciolte le Camere e quindi si torni a nuove elezioni. In caso di dimissioni del Presidente si prevede la possibilità per quest’ultimo di chiedere lo scioglimento delle Camere, da usare come arma politica per ottenere l’approvazione di provvedimenti non graditi alla sua maggioranza. Se invece il Presidente del Consiglio si dimette senza chiedere lo scioglimento il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico, una sola volta nel corso della legislatura, ad un soggetto eletto nelle liste collegate al Presidente del Consiglio eletto.

Il ruolo del presidente della Repubblica viene svuotato 

La nomina del Premier diventerebbe vincolata e la nomina dei Ministri (non più solo la proposta) diverrebbe una prerogativa sostanzialmente attribuita al Presidente eletto. Inoltre lo scioglimento delle Camere pur rimanendo formalmente un atto del Presidente della Repubblica sarà obbligatorio su richiesta del Premier dimissionario. Attualmente il Presidente della Repubblica nomina anche cinque Senatori a vita, la riforma prevede tra l’altro la loro abolizione. 

Il problema degli italiani all’estero 

Il meccanismo dell’elezione diretta del Premier comporta un problema non di poco conto. Infatti, gli italiani iscritti all’AIRE (ossia l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono circa sei milioni e attualmente eleggono otto Deputati e quattro Senatori.

Tuttavia, il loro peso aumenterebbe in maniera notevolissima nel caso di elezione diretta del Presidente del Consiglio, risultando decisivi per la vittoria di un candidato piuttosto che dell’altro. Questo si aggiunge al problema del voto espresso per corrispondenza, il quale pone già molti rischi in merito all’affidabilità, alla segretezza e alla libertà del voto.

Cosa succede ora?

L’iter per le riforme costituzionali, previsto dall’articolo 138 della Costituzione prevede che la legge di revisione costituzionale venga adottata da entrambe le Camere con una doppia deliberazione a distanza di almeno tre mesi a maggioranza assoluta (50%+1) dei componenti. Se la maggioranza sarà inferiore ai 2/3 dei componenti, entro tre mesi dalla pubblicazione, un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o 5 Consigli Regionali potranno richiedere il referendum e la parola passerà agli elettori. 

Alcune criticità

Il testo approvato in Commissione, come si può notare, è poco chiaro in alcuni passaggi e soprattutto evita di affrontare dei nodi centrali che influenzano notevolmente la forma di governo: 

  • la scelta del sistema elettorale, la cui discussione viene posticipata a data da destinarsi; 
  • il ruolo del Presidente della Repubblica che rimane sostanzialmente simbolico; 
  • la scelta di non modificare il bicameralismo perfetto e non prevedere strumenti per rafforzare il Parlamento, il quale rischia di diventare la sede di ratifica delle decisioni prese dal governo. 

Il rischio è sacrificare la forma di governo parlamentare sull’altare di una presunta superiorità della democrazia decidente, in un Paese profondamente diviso sul piano politico, che si caratterizza per un sistema di partiti multipolare, al quale andrebbe accompagnato un meccanismo di tipo consociativo. Con questa riforma si predilige invece una forma di governo di tipo competitivo che meglio si adatterebbe ad un sistema di partiti bipolare. 

Infatti, in un sistema multipolare, dove ci sono più di due coalizioni, il premierato rischia di alimentare ancora di più le divisioni politiche invece che contribuire a mitigarle.

Per approfondire

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