Intifada studentesca chiede la fine della cooperazione con Israele

Un movimento studentesco senza precedenti sta prendendo piede nelle università italiane, unendo gli studenti da nord a sud del paese in solidarietà con la Palestina e chiedendo la fine della cooperazione accademica e militare con Israele. 

di Paulo Lima
Le foto documentano la manifestazione di Firenze e sono di Emanuele Rippa

Senza timore, essi innalzano le loro bandiere palestinesi, distribuiscono volantini, appendono striscioni nei corridoi e occupano con le loro tende gli atrii delle università in solidarietà con la Palestina e per porre fine alle relazioni e agli accordi di cooperazione con le università e con il governo israeliano.

Da nord a sud

Questo è l’argomento principale che, da giorni, unisce gli studenti universitari delle principali città italiane: Trento, Padova, Venezia, Torino, Milano, Bologna, Firenze, Pisa, Siena, Roma, Napoli, Palermo… Da nord a sud, gli studenti si stanno mobilitando in un’azione coordinata, seguendo una “linea nazionale di mobilitazione”, spiegano gli attivisti. Hanno adottato molti slogan per esprimere la loro indignazione e un unico motto – “Intifada Studentesca” – preso in prestito dalle proteste negli Stati Uniti.

La Nakba

Questo movimento ha guadagnato forza negli ultimi giorni, man mano che sempre più università si uniscono alla causa. È uno sforzo per commemorare il “Giorno della Nakba“, una data che i palestinesi non dimenticano, ricordando l’inizio del conflitto tra Israele e Palestina il 15 maggio 1948, che ha portato all’esodo forzato di oltre 750.000 palestinesi. Nakba è il termine che i palestinesi hanno dato a quel giorno, una parola araba che significa “catastrofe”. La Nakba segnò l’inizio di cambiamenti radicali e, finora, irreversibili nella storia del popolo palestinese. Il suo principale risultato sono stati i campi profughi che, a causa dell’inerzia della cosiddetta comunità internazionale, sono diventati permanenti, vere e proprie città di apolidi dove l’esilio perdura per generazioni.

In questo 15 maggio, i manifestanti sono concentrati non solo nel ricordare il passato, ma anche nell’evidenziare gli orrori del presente. Nei loro volantini e discorsi, i manifestanti ricordano una nuova “Nakba”: dal 7 ottobre, più di 35.000 palestinesi sono morti, inclusi circa 15.000 bambini, senza contare tutte le persone scomparse e ferite. “Ciò che stiamo osservando è un vero e proprio genocidio e il silenzio delle istituzioni e del mondo accademico è assordante e complice”, spiegano.

A Trento

Accampati da sabato 10 maggio nel parco centrale di Trento e, da ieri, nel vestibolo della Facoltà di Economia, gli studenti universitari chiedono non solo “la fine delle collaborazioni accademiche, ma anche di ogni tipo di progetto di cooperazione militare, tecnologica e finanziaria con il colonialismo israeliano”. Per gli studenti che da sei mesi si ritrovano ogni lunedì presso la Facoltà di Sociologia, “gli accampamenti dagli Stati Uniti all’Australia, dall’America Latina all’Europa sono, oggi, un segno forte e concreto di un movimento internazionalista di cui ci sentiamo parte“. Durante questi giorni di accampamento, riempiono il tempo con discussioni, riunioni politiche per definire iniziative di sensibilizzazione all’interno dell’università e l’organizzazione di cineforum aperti al pubblico.

Ieri, in una manifestazione davanti al Rettorato dell’Università di Firenze, gli studenti hanno ricordato la repressione avvenuta durante le manifestazioni negli Stati Uniti e “la risposta non poteva che essere pacifica attraverso i campi che si stanno moltiplicando in tutto il mondo. Siamo qui per porre fine alle relazioni che la nostra università ha con Israele e vogliamo che questo movimento vada oltre la nostra classe studentesca e raggiunga tutti i lavoratori”.

Appoggio militare

Ricordiamo che, contrariamente alle dichiarazioni del primo ministro Giorgia Meloni, nel 2023 l’Italia avrebbe venduto armi e munizioni a Israele per un valore di 13,7 milioni di euro, con un aumento nell’ultimo trimestre, quando la guerra contro Hamas era già in corso. I dati sono ufficiali e forniti dall’Istat (Istituto nazionale di statistica).

In un articolo per la rivista Altreconomia, Giorgio Beretta, esperto dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (Opal), evidenzia un dato estremamente significativo rivelato dall’Istat: “Nella categoria di merci ‘Aeromobili, veicoli spaziali e dispositivi correlati’, da ottobre a dicembre 2023 sono stati esportati in Israele 14,8 milioni di euro (circa 82 milioni di reais) di materiali”. Questi dati smentiscono le affermazioni dei vertici del governo, che in più occasioni hanno dichiarato pubblicamente di aver “sospeso” e “bloccato” l’esportazione di armi verso Tel Aviv dal 7 ottobre 2023.

Nella lista dei principali esportatori di armi verso Israele, l’Italia occupa il terzo posto, dopo la Germania e gli Stati Uniti. Secondo i dati del SIPRI (Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma), un’istituzione indipendente di ricerca sui conflitti e sul controllo delle armi, durante l’ultima decade, il 65,6% delle armi acquisite da Israele proviene dagli Stati Uniti, il 29,7% dalla Germania e il 4,7% dall’Italia.

Arena della Pace 2024

Anche le manifestazioni per la pace e la giustizia saranno al centro dell’Arena di Pace 2024, un evento che si terrà nell’anfiteatro romano di Verona nei giorni 17 e 18 maggio e che mira a riunire circa 10.000 attivisti provenienti da tutta Italia. All’incontro sarà presente Papa Francesco, che risponderà a alcune domande emerse dalle tavole rotonde che si sono riunite negli ultimi mesi per approfondire cinque aree tematiche legate al tema del giorno: “Giustizia e pace si baceranno”. Questi gruppi di lavoro hanno discusso di Migrazioni, Ecologia Integrale e Stili di Vita, Lavoro, Economia e Finanza, Diritti e Democrazia e Disarmo. 

All’Arena della Pace parteciperanno vari rappresentanti di movimenti sociali e attivisti come João Pedro Stédile del Movimento dei Senza Terra in Brasile, l’attivista palestinese Aziz Abu Sarah, l’attivista israeliano Maoz Inon, l’attivista africana Vanessa Nakate e la giornalista afghana Mahbouba Seraj.

Per approfondire

La questione israelo-palestinese è stata approfondita dagli articoli Polarizzazione nel conflitto israelo-palestinese: cause e implicazioni mediatiche, “Alla radice siamo tutti uguali”. La storia di Lara Musalam, studentessa italo-israeliana, Prospettive per uno Stato palestinese.