“Alla radice siamo tutti uguali”. La storia di Lara Musalam, studentessa italo-israeliana

“C’è bisogno di tante persone, di dialogo in ascolto dell’altro, di ricordarsi che dall’altra parte c’è una persona come te che soffre come te. Quello che secondo me si può fare è cercare di guardarci l’un l’altro con empatia”. Me l’ha detto Lara Musalam, una giovane studentessa italo-israeliana che ora studia in Italia e che ho avuto la fortuna di conoscere. In questa intervista ci racconta la sua storia e come vive il conflitto israelo-palestinese dall’Italia.

di Elena Rosetti
Mentor: Sara Marcolla

Ciao Lara, chi sei e da dove vieni? Raccontami la tua storia 

Ciao, mi chiamo Lara Musalam, sono nata a Nazareth sono cristiana araba israeliana italiana; questo significa che sono cresciuta in una famiglia religiosa cristiana cattolica in cui mio babbo è arabo cristiano e mia mamma è italiana. So quattro lingue: l’italiano, l’arabo, l’inglese, l’ebraico e sto imparando all’università lo spagnolo. Quando mi chiedono se mi sento italiana, dico sempre che io sono 100% italiana e 100% araba, queste due culture fanno parte allo stesso modo della mia identità.

Spesso mi chiedono perché nonostante le mie origini so così bene l’italiano e soprattutto ho un accento veneto, e rispondo sempre che ho imparato l’italiano parlando con mia mamma e i miei nonni; infatti, sono sempre venuta in Italia almeno una volta all’anno e, da piccola, venivo addirittura un mese o due e restavo a casa dei miei nonni che abitano a Verona. 

Perché hai deciso di venire a studiare proprio in Italia?

Per me l’Italia è come una seconda casa, quindi scegliere di venire a studiare qui non è come andare a studiare in America o all’estero. Ho scelto una facoltà vicino a Verona anche per avere sempre una casa a cui tornare. Non sono rimasta a studiare in Israele, perché pur essendoci eccellenti università ho preferito studiare in una delle mie lingue madre, ovvero arabo e italiano. 

Come vivi il conflitto israelo-palestinese dall’Italia?

Quando ho scoperto dello scoppio della guerra ero appunto in Italia; quindi, mi sono sentita molto distante e in colpa di poter vivere nel lusso e lontana dai fatti. Il mio pensiero è andato immediatamente alla mia famiglia, nonostante comunque loro abitino a Nazareth che è lontana dai luoghi del conflitto, e ai miei amici che sono nell’esercito israeliano e mi sono sentita molto sollevata sapendo che stavano bene e che il giorno dell’attacco non erano in servizio (in Israele tutti i cittadini ebrei sono tenuti a prestare il servizio militare, che dura 32 mesi per gli uomini e 2 anni per le donne). 

In questi ultimi anni, prima che cominciasse la guerra era diventata la mia missione indagare su cosa esattamente stesse succedendo attorno a me, nel mio paese, quindi mi informavo, facevo molte ricerche, cercavo di capire perché quella determinata persona con quella storia e quell’origine aveva una certa opinione. Spesso, infatti, non era chiaro cosa stesse accadendo, perché al telegiornale veniva detta una determinata cosa, mentre altre fonti sostenevano altro: era molto difficile avere informazioni prive di bias; quindi cercavo di andare a fondo della realtà per scoprire la verità, per capire cosa stesse realmente succedendo.

Poi sono arrivata a un punto di burn-out, perché avevo capito che non importava la quantità di informazioni che io avessi, le mie competenze, o quante ore studiassi per cercare di capire cosa stesse succedendo attorno a me, non importava quanto io mi sforzassi per poter avere un’opinione più fondata o più credibile, non era mai abbastanza perché io avessi una voce credibile. Quindi ho capito che quello non poteva essere il modo di affrontare la cosa.

Ci sono persone che potrebbero dire che questo significa arrendersi, ma per me significava decidere di tornare a vivere. Alla fine, quanto può fare una ragazza come me se non ci sono anche altre persone? C’è bisogno di tante persone, di dialogo in ascolto dell’altro, di ricordarsi che dall’altra parte c’è una persona come te che soffre come te. Quello che secondo me si può fare è cercare di guardarci l’un l’altro con empatia, sapendo che chi hai davanti è una persona come te e tutto ciò che sostiene lo pensa perché ha una certa origine e educazione, una determinata religione e ha fatto determinati incontri. Alla fine, anche se io sono araba e tu sei per esempio ebreo e quindi la pensiamo diversamente, nella vita abbiamo tutti gli stessi desideri e gli stessi sogni: alla radice siamo uguali.

Vedi aumentare le estremizzazioni che porta con sé questo conflitto? Nel senso che in Europa e nello specifico in Italia si tende a prendere le parti o di uno o dell’altro

Si certo! Vedo crescere sempre di più il prendere posizioni estreme riguardo al conflitto israelo-palestinese e, ciò non permette alle persone di avere il tempo di assorbire le informazioni ed esercitare il proprio giudizio critico. Invece, ogni volta che viene fuori una informazione nuova sul conflitto israelo-palestinese, bisognerebbe mettere in dubbio tutto, verificare nuovamente tutto e in base a questo crearsi una nuova opinione. 

La guerra non è o bianca o nera, non è come una partita di calcio in cui tu tifi una squadra o l’altra, ma specialmente quando non si è direttamente coinvolti nella guerra, ma la si sta guardando da fuori, quello che bisognerebbe fare è informarsi e ogni volta che succede qualcosa di nuovo rianalizzare tutta la situazione e decidere cosa si vuole fare rispetto a questa situazione. 

Hai qualche consiglio su come informarsi?

Secondo me il modo migliore per informarsi è non prendere le cose at face value, nel senso che non bisogna sempre fidarsi di ciò che ci viene detto, ma è necessario verificare i fatti tramite ulteriori ricerche, bisogna chiedersi sempre perché.