Talanoa: dalle parole alle azioni

La Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (nota anche come COP 23) si è aperta oggi a Bonn, piccola città nel nord-ovest della Germania famosa per il suo passato di capitale tedesca durante guerra fredda e per aver dato i natali a Beethoven. Per la prima volta nella storia, la Conferenza è presieduta da una piccola isola in via di sviluppo: Fiji. Così piccola da non avere nemmeno lo spazio necessario per accogliere i più di 20mila delegati che ogni anno partecipano all’evento, e da dover chiedere ospitalità ad un altro paese per realizzarlo.
Fiji è anche uno degli stati più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici al mondo. L’anno scorso, ad esempio, l’arcipelago è stato colpito da Winston, un ciclone devastante che ha causato la morte di 44 persone e spazzato via un terzo del suo PIL. Non è un caso che costruire la resilienza delle società più vulnerabili sia una delle priorità della Presidenza figiana. Nel suo discorso durante la Plenaria di Apertura della COP, il presidente Frank Bainimarama ha sottolineato come oggi “milioni di persone soffrano” a causa dei cambiamenti climatici e che “il nostro lavoro è quello di rispondere alla loro sofferenza”. Per farlo, il presidente aveva già delineato una serie di obiettivi nella “visione per la COP23” diffusa a maggio. Essi includono: supportare gli sforzi di adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici; incrementare i fondi destinati all’adattamento; facilitare l’accesso a forme di assicurazione per i disastri; promuovere l’accesso all’acqua pulita; e sostenere forme di agricoltura sostenibile. E, dall’altra parte, continuare ad agire sulla radice del problema, riducendo drasticamente le emissioni per rimanere al di sotto dei 1.5°C di incremento della temperatura media globale rispetto al periodo pre-industriale.
La COP 23 è però chiamata anche ad una serie di compiti importanti relativi all’implementazione dell’Accordo di Parigi. Si attendono progressi sostanziali sul cosiddetto “Rulebook” dell’accordo, ossia sull’insieme di linee guida che dovrebbero renderlo pienamente operativo. Queste linee guida dovrebbero precisare il modo in cui gli sforzi di ciascuno stato in termini di mitigazione, adattamento e il supporto verranno riportati e riesaminati. Ciò è particolarmente importante per monitorare il progresso degli Stati in maniera trasparente e per poter individuare le aree dove un’ambizione maggiore è necessaria.
Nel gergo UNFCCC (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) , i piani climatici degli Stati sono chiamati “Contributi Determinati Nazionalmente” (CDN) e specificano gli obiettivi che ogni paese si impegna a realizzare per raggiungere i target dell’Accordo di Parigi. Tali CDN, però, saranno operativi soltanto dal 2020 (anno a partire dal quale l’accordo di Parigi avrà effetto). Per poter arrivare a quel momento con dei piani climatici il più ambiziosi possibile, è stato istituito nel 2018 il cosiddetto “Dialogo Facilitativo”. Si tratta di un processo che permetterà di capire quanto gli impegni nazionali siano in realtà coerenti con gli obiettivi dell’Accordo ed eventualmente per rivedere i piani al rialzo. La COP23 dovrebbe mettere in moto questo processo, ribattezzato come “Dialogo Talanoa”.  Talanoa è un concetto figiano che richiama l’importanza del condividere delle storie, costruire empatia e fare decisioni sagge per il bene comune con base in un dialogo partecipativo e inclusivo.
E di decisioni sagge ce n’è un disperato bisogno. Nella cerimonia di apertura, il presidente Bainimarama a lasciato la parola ai rappresentanti delle due principali fonti di informazione scientifica sui cambiamenti climatici nel mondo: il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) Petteri Taalas e il presidente del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) Hoesung Lee. Entrambi hanno sottolineato come l’aumento della CO2 nell’atmosfera terrestre, la crescita del livello degli oceani, temperature a livelli record e eventi estremi siano all’ordine del giorno e dimostrino quanto i cambiamenti siano già presenti. Secondo Taalas, “il 2017 sarà molto probabilmente uno dei tre anni più caldi mai registrati e sul lungo termine, indicando una chiara tendenza al riscaldamento del clima. E ciò senza neppure l’apporto del fenomeno El Niño, che invece era stato presente nel corso dei due anni precedenti”. Secondo dati resi noti dall’OMM, la temperatura media del Pianeta è stata in media di 1,1 C° più alta rispetto all’epoca pre-industriale.
Nonostante questa evidenza, c’è ancora chi pensa ad un futuro per i combustibili fossili.
L’agenda fossile di Trump alla COP sarà presentata in un side event, “Il ruolo dei combustibili fossili più puliti ed efficienti e dell’energia nucleare nella mitigazione climatica”, da un esecutivo di una delle più grandi miniere di carbone americane, la Peabody Energy, insieme ai rappresentanti dell’industria del gas e del nucleare.