Una plenaria vuota e la “novità” del dialogo Talanoa

È giunto il tempo della prima assemblea plenaria di questa COP23, dopo la cerimonia di apertura di lunedì. Una plenaria che è sembrata pressoché vuota agli osservatori seduti in galleria. Ed una ragione per questa assenza generale è stata rapidamente fornita dal delegato palestinese: la plenaria e gli incontri dei gruppi regionali di coordinamento erano programmati per lo stesso orario, obbligando così a scegliere tra i due eventi, e quasi tutti a preferire i gruppi minori, dove le linee comuni di collaborazione ed azione sono discusse in un ambiente sicuramente più produttivo.

L’Accordo di Parigi, entrato in vigore il 4 novembre 2016, è stato ratificato ad oggi da 169 Paesi dei 197 membri della Convenzione Quadro. Ma le nazioni in via di sviluppo, come dichiarato dall’Arabia Saudita, stanno chiedendo per degli emendamenti che permettano loro di avere le stesse occasioni ed opportunità di sviluppo della porzione più ricca del pianeta. Si percepisce, infatti, che lo slogan “nessuno deve rimanere indietro”, divenuto virale durante la COP21, è troppo spesso facilmente dimenticato durante i negoziati, mentre dovrebbe esser considerato quale un vincolo per tutti gli Stati membri.
Dopo queste interrogazioni, è ora di iniziare la plenaria ufficiale. Il primo ministro figiano Frank Bainimarama, Presidente della COP23, dopo aver ringraziato gli Stati per l’opportunità della presidenza data alle Fiji e la Polonia per ospitare la COP24 in Katowice, va direttamente alla questione di chi andrà ad ospitare le altre Conferenze sui Cambiamenti Climatici prima del 2020. Nonostante i Paesi dell’Europa dell’Est e del Sud-America siano invitati a proporsi, nessuno osa prendere la parola su una propria candidatura, e la questione è quindi velocemente scaricata ai gruppi regionali.
Vari gruppi rappresentanti la società civile prendono poi la parola. I rappresentanti delle donne, dei giovani e delle comunità locali richiedono alla presidenza di promuovere la previsione di finanziamenti pubblici da parte degli Stati membri, in particolar modo per il supporto a progetti dai quali trarrebbero beneficio le donne e le piccole comunità, progetti di adattamento, di capacity building e di innovazione sostenibile.
Ma la principale materia di discussione durante questa plenaria è stata la modalità di dialogo facilitato scelto per i negoziati di quest’anno: il dialogo Talanoa. Ma cosa significa Talanoa? Si tratta di un concetto ed approccio tradizionale largamente utilizzato nella regione del Pacifico meridionale. È un termine che sta a descrivere un dialogo inclusivo, trasparente, orientato alla formulazione di soluzioni, nel quale le persone si ascoltano, rispettano i punti di vista altrui, comprendono ed imparano le altrui posizioni e cercano delle soluzioni da cui tutti possano trarre beneficio. Tre quesiti principali dovrebbero guidare i negoziatori: Dove siamo? Dove vogliamo andare? Come ci arriviamo?
L’obiettivo è condividere storie, creare empatia ed allargare il sapere generale. Si tratta essenzialmente di una forma di storytelling. Numerosi Paesi, come l’Australia e la Cina, hanno supportato la scelta, dicendosi d’accordo sul fatto che incolparsi a vicenda e lanciare frecciatine impedirebbe la creazione di legami di fiducia e rispetto, andando ad ostacolare la produttività dei negoziati e la stabilità e comprensione necessaria per il conseguimento di risultati.
Si spera che l’utilizzo del Talanoa faccia una differenza in positivo in queste negoziazion
i, ma viene facile chiedersi se ci sia veramente bisogno di una presidenza fijana per accorgersi che il rispetto e la comprensione reciproci abbiano un’importanza basilare nella diplomazia internazionale!