Meloni e ambiente: le principali misure prese dal nuovo governo

Nel discorso di insediamento tenutosi lo scorso 22 ottobre, la nuova presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni ha affermato che “non c’è un ecologista più convinto di un conservatore”, eppure, nonostante queste parole, le decisioni prese nelle ultime settimane non sono sempre in linea con la salvaguardia dell’ambiente.

di Gloria Malerba, Articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

Una volta entrato in carica, uno dei primi cambiamenti che il governo Meloni ha apportato è stato il nome del Ministero dedicato alle tematiche ambientali che da Ministero della transizione ecologica (Mite) è divenuto Ministero dell’ambiente e della sicurezza, assegnato al ministro Gilberto Picchetto Fratin.
Una novità, questa, da non sottovalutare se consideriamo che il Mite era stato costituito, nel febbraio del 2021, come un unico grande ministero con il compito di rendere il sistema produttivo più ecologico e sostenibile, ponendosi in linea con molti altri paesi europei che hanno deciso di unire le politiche ambientali, energetiche e climatiche in un unico corpo. 

Successivamente, la neopresidente del consiglio Giorgia Meloni si è trovata a partecipare alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop27) svoltasi in Egitto tra il 6 e il 20 novembre, con il fine di discutere dei cambiamenti climatici e, più in particolare, di riflettere su come aiutare i paesi in via di sviluppo a fronteggiare l’emergenza. In quest’occasione, la premier ha stabilito che “l’Italia farà la sua parte nella lotta ai cambiamenti climatici e per il rispetto dell’ambiente”. In questo senso, infatti, lo Stato ha stanziato una triplicazione delle risorse finanziarie destinate alla transizione energetica, fino a 1,4 miliardi di dollari per i prossimi 5 anni, compresi 840 milioni attraverso l’istituzione dell’Italian Climate Fund, la prima piattaforma di investimento italiano specificamente dedicato allo sviluppo di tecnologie pulite.

La premier ha stabilito che il suo obiettivo non è solo quello di rientrare nei piani configurati dall’ Ue, secondo i quali è prevista una riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, ma anche di superare queste volontà. In particolare, la strategia proposta è quella di accelerare la capacità di ottenere energia da risorse rinnovabili, ma anche di sviluppare energia diversificata, in stretta collaborazione con i paesi africani. A questo proposito, è stato stretto un accordo con il presidente egiziano Al Sisi, nonostante le controversie presenti tra i due paesi, soprattutto a seguito dello sviluppo del caso Regeni. Infatti, è stata proposta una collaborazione con la società Eni, che prevede la messa in atto di un collegamento elettrico con l’Italia.

Successivamente, anche il nuovo ministro per l’ambiente italiano, Fratin, è intervenuto nella conferenza, ponendosi in linea con quanto stabilito dalla premier. Egli ha ribadito lo sblocco delle autorizzazioni per nuovi impianti di energia da fonti rinnovabili, con l’intenzione di anticipare l’obiettivo posto dall’UE dal 2030 al 2026. Ha dichiarato, quindi, di voler raggiungere i 70gigawatt provenienti da fonti rinnovabili in sei anni invece che in dieci, come era stato inizialmente previsto.

Bisognerebbe, forse, chiedersi se queste dichiarazioni siano effettivamente realizzabili e quanto, nello scenario attuale, si possano continuare a considerare le sole risorse rinnovabili come base per una transizione energetica di successo. Così come, ci si potrebbe domandare per quanto ancora si possa permettere il legame economico e politico con paesi decisamente lontani dai valori fondanti della democrazia e del rispetto dei diritti umani.

Infine, lo scorso 10 novembre, il governo Meloni ha approvato il decreto aiuti Quater. Esso contiene il via libera all’aumento delle quantità di gas estratte tramite trivelle nel Mar Adriatico. Le trivelle potranno scavare a partire da 9 miglia dalle coste adriatiche, al di sotto del 45° parallelo, con l’eccezione del ramo Goro del fiume Po. Il decreto, cosiddetto “sblocca trivelle”, porta con sé varie controversie.

Più nello specifico, i dati del MIT mostrano chiaramente che in Italia le riserve certe (riserve per le quali la probabilità di estrazione è pari al 90%) e le riserve probabili (riserve per le quali la probabilità di estrazione è pari al 50%) sono circa 70-80 miliardi di metri cubi. Questi sono distribuiti in centinaia di giacimenti separati tra loro, quindi, bisognerebbe costruire centinaia di pozzi differenti per estrarre l’intero gas. Ciò comporterebbe sia costi troppo elevati per ottenere quantità irrilevanti di gas, sia danni da non sottovalutare all’ambiente intaccato. 

Lo stesso ex ministro dell’ambiente Costa ha definito il decreto inutile, in quanto, secondo una sua recente dichiarazione, “se anche estraessimo tutto il gas dai pozzi italiani copriremmo il fabbisogno nazionale di circa due anni prima di ritrovarsi da capo ma con un territorio distrutto”. Forti anche le proteste degli ambientalisti che hanno definito le quantità di gas disponibili tra riserve probabili e certe come ridicole, in quanto si esaurirebbero in soli 15 mesi. 

Non ci resta che attendere lo sviluppo di nuove misure da parte del governo, con la speranza che siano più mirate alla salvaguardia effettiva dell’ambiente e del clima.