Un vuoto da colmare: se l’opposizione è la società civile

Seguendo lezioni universitarie oggi, così come negli ultimi anni del berlusconismo, capita spesso di riconoscere pose quasi maliziose nell’umorismo dei professori quando si parla del governo e delle sue iniziative. Come quando c’era Berlusconi, si instaura quella tacita comprensione tra docenti e studenti che consente ai primi di esprimere dissenso evitando di esporsi del tutto. Come quando c’era Berlusconi, gran parte degli accademici si permette di porsi, rispetto alla classe politica, in una posizione di sottaciuto vantaggio, con più o meno ironia a secondo del coinvolgimento personale e, forse, della disciplina di competenza: è vero, o meglio, è significativo che i più accorati siano gli economisti e i più disillusi gli esperti di scienze umane?

Come quando c’era lui, il dissenso e la controinformazione trovano spazio nelle aule in cui si produce sapere, e, ancora come allora, evitare di esporsi esplicitamente pare far parte di una etichetta non scritta, utile, stavolta, a salvare le apparenze più che la pelle. 

A Bologna, però, è successo che l’Università si esponesse davvero, ideando e curando l’evento “Saperi Pubblici”, raccontato bene in questo articolo. “La storia non insegna, ma mostra ciclicità”, diceva Cacciari da quel palco, parlando dell’Europa alle prese con la deriva nazionalista diffusa tra i suoi stati.  I primi di ottobre abbiamo visto a Bologna le istituzioni che mettono in scena dissenso e preoccupazione e che, stavolta senza sotterfugi, rovesciano non solo i parametri educativi, ma anche quelli dell’informazione.  L’Università riempie un palco per giorni in una delle piazze principali della “Bolo antifa” e dei centri sociali e dà voce a un popolo ferito e deluso. L’istituzione si fa carico della domanda studentesca e prende posizione, chiama intellettuali e artisti e dice cose di sinistra, cose comunitarie e antirazziste. È inevitabile riconoscere il monito che l’Istituzione lancia al Governo.

Com’è, quindi, quando lo scettro del potere dominante spetta ai poteri subalterni? Com’è quando al governo ci sono forze che hanno guadagnato consensi spingendo sulla retorica dell’alternatività, della diversità rispetto a una classe politica logorata dal potere e attaccata alle poltrone? 

Come si fa controinformazione, quando metti alla presidenza della Commissione di Vigilanza Rai uno storico di Mediaset, giornalista collaboratore di Liguori e per anni ai vertici della comunicazione di Fratelli d’Italia? 

Ci sono sempre gli account sui social network, si dirà, e sono sempre attivi, sia quelli degli incaricati di governo, sia quelli dei defilati che dalle americhe continuano a professare la buona novella, maldestramente integrata alla narrazione consumata, nel mentre, in patria. Come si fa a fare controinformazione quando gli informatori “istituzionali” ti remano contro? Quando le istituzioni che crei barcollano, come ragazzi che alla prof. di storia fanno: “Ma aveva detto che oggi spiegava”? O quando i tuoi narratori incaricati ti smutandano in pubblica piazza?

Non ci interessa qua valutare le singole azioni del Governo. È però facile constatare come sia cambiato il comportamento dei suoi esponenti nei confronti del mondo dell’informazione. Pare infatti di vederli muovere in una specie di campo minato, passati dal rifiutare tout court il confronto con i giornalisti, sempre in malafede e foraggiati dai “poteri forti”, al temerlo. L’argomento della manovra economica sarà sicuramente stato materiale pericoloso nelle ultime settimane, e trattarlo ha significato esporsi a domande a volte troppo incalzanti e puntuali. Da sempre, però, i politici si sono riservati la possibilità di scegliere da chi andare ospiti, da chi farsi intervistare, chi rendere cantastorie di partito e da quali gogne pubbliche tenersi alla larga. Quello che è nuovo è vedere come l’informazione mainstream si stia trovando a riempire il vuoto lasciato adesso all’opposizione, in una situazione in cui la controparte politica non riesce ancora a trovare una voce forte e unitaria e gli unici che la voce ce l’avevano si sono fatti eleggere. Se è vero che l’unica cosa buona di avere Salvini al governo è essersi liberati di Salvini all’opposizione, è anche vero, purtroppo, che non esiste al momento nessuna forza politica con altrettante capacità comunicative di Lega e MoVimento.

In questo quadro, diventare eroi della resistenza è fin troppo facile: l’italiano medio cede il ruolo di protagonista nei racconti sensazionalistici ai migranti che, improvvisamente, non stanno più negli alberghi a 5 stelle, e anche Fanpage.it diventa controinformazione.

Qualche settimana fa il programma divulgativo di Alberto Angela, Ulisse, ha guadagnato per Rai 1 oltre il 18% di share. Un dato altissimo, considerando il sabato sera e la stretta concorrenza di Tú sí que vales e, cosa ancora più importante, vista la risonanza che il programma ha avuto sui social. Il tema del giorno era il rastrellamento del ghetto ebraico di Roma del 1943, con la testimonianza della Sen. Liliana Segre, Sami Modiano e altri sopravvissuti all’Olocausto. Il riferimento, manco tanto velato, all’attualità è risuonato su Twitter e Facebook più di quanto gli editori del programma avessero plausibilmente previsto. La gente si è infiammata,  ha probabilmente pianto con Sami e con gli altri sopravvissuti, ha colto le corrispondenze – seppure la drammaticità dei fatti successivi alla promulgazione delle leggi razziali non abbiano eguali nella storia dell’Europa occidentale – con il clima italiano odierno, e ha dato sfogo su internet non solo all’indignazione, per una volta, ma alla riflessione, e ad un’amara consapevolezza. 

Alberto Angela, come Jurij Lotman che nella Russia sovietica parla della Russia Settecentesca per evitare riferimenti diretti al regime, si fa capire bene, e da tutti. E si capiscono bene sia l’utilità della memoria storica che la necessità di prendere posizione rispetto ai fatti attuali. Anche di sabato sera, su Rai 1, e anche se ti chiami Alberto Angela. E’ bene notare infatti come il divulgatore sia andato al di là del suo dovere professionale: lui non è un giornalista, non è Damilano che dedica il numero de L’Espresso all’anniversario della vergogna delle leggi razziali. Si è sempre mosso tra siti archeologici e ricchezze artistiche. Se insieme ai suoi autori ha sentito la necessità di realizzare questa puntata, è sicuramente nel tentativo di colmare un vuoto. Lo stesso vuoto, forse, che lascia spazio alle polemiche di alcuni esponenti del Governo contro Lucano ospite da Fazio; o, meglio ancora, contro Fazio che invita Lucano. 

Questo periodo di chiusura e di buio è pur sempre il primo nell’esperienza di una 20enne in cui si parla davvero di diritti civili. I corsi e ricorsi storici ci hanno rimesso nella condizione in cui le differenze si vedono più tra gli esseri umani che tra i colori politici, in cui la dialettica politica non ha più senso perché i suoi valori hanno perso al gioco dell’inflazione.

In questa situazione, formare delle coscienze nuove è un dovere diffuso, e i temi delle disuguaglianze sociali e dei diritti civili sono materiale delicato, non più ad uso esclusivo di pubblicitari progressisti. Questo è il momento in cui si combatte e si forma la prossima generazione di persone che forse ancora vedrà infranti i propri sogni. E la partecipazione è cosa seria e necessaria.