L’utilità dell’inutile: riscoprirci umani, riscoprirci uguali – parte 2

di Chiara Pizzulli e Chiara Taiariol, articoliste dell’Agenzia di Stampa Giovanile

Emile Cioran, noto saggista e filosofo rumeno, ci racconta che, prima di bere la cicuta, Socrate sentì l’imperante desiderio di imparare a suonare il flauto. Alla domanda A cosa ti servirà?”, il filosofo, impassibile, rispose “A sapere quest’aria prima di morire. Cioran argomenta l’aneddoto scrivendo che, a parer suo, ogni forma di elevazione presuppone l’inutile. Questa tesi è stata ampiamente discussa nei secoli da letterati, filosofi, musicisti, scienziati.

Se da una parte si pone chi, come Locke, credeva che la letteratura fosse un’arte non appagante nella vita dell’individuo, dall’altra, ci sono studiosi come il poeta neoclassico Giacomo Leopardi e lo scrittore contemporaneo Mario Vargas Llosa che hanno difeso la letteratura per tutta la loro vita, sentendo il peso di una società che scredita (e screditava) sempre più il cosiddetto “inutile”. C’è qui da fare una precisazione: con il termine “utile”, negli ultimi secoli, si tende a designare tutto ciò che ci reca un vantaggio dal punto di vista prettamente materiale. L’oggetto X è utile se ci procura denaro, è utile se risponde a bisogni fisiologici, è utile se comporta un minor sforzo fisico o mentale per un maggior profitto. L’uomo moderno ha dato sempre più adito e seguito ad una politica basata sul consumo, sulbenessere fisico, sul denaro. Questo ha inevitabilmente comportato una crisi di tutte quelle arti che invece privilegiavano l’anima, l’elevazione morale, la cultura fine a sé stessa, senza scopi o fini.

Tanti i poeti che hanno denunciato questa forma mentis, tra i quali Charles Baudelaire che, paragonandosi ad un albatro, descrive la sua posizione all’interno di una società che, nel momento in cui il poeta dal cielo scende sulla terra, lo deride poiché attratta da altri interessi. Anche Leopardi ha combattuto a lungo affinché i suoi contemporanei capissero l’utilità del cosiddetto inutile: nella sua breve vita ha tentato, più di una volta, di fondare delle testate giornalistiche che trattassero questo tema.
Non ebbe successo e, provato dalla superficialità della sua epoca, scrive ne “Il pensiero dominante”:

(…)Di questa età superba,
Che di vote speranze si nutrica,
Vaga di ciance, e di virtù nemica;
Stolta, che l’util chiede,
E inutile la vita
Quindi più sempre divenir non vede;
Maggior mi sento.(…)
(…) Io sono più grande
di questa società superba,
che si nutre di chiacchiere ed
è nemica delle virtù;
è stupida perché insegue l’utile,
e per questo non vede che la vita
diventa sempre più inutile. (…)

Dall’ottocento ad oggi le cose non sembrano essere cambiate più di tanto. L’ “inutile” viene sempre più denigrato, attaccato e offeso a favore di tutte quelle materie scientifiche che possono sicuramente assicurare all’uomo un sostentamento. Tra i tanti, a notare questo rilevante fenomeno c’è stata anche l’ex ministra dell’istruzione Stefania Giannini, che, all’inizio del suo mandato all’interno del governo Renzi, affermò di voler risollevare tutte le materie umanistiche poiché credeva fermamente che per far ripartire la scuola fosse essenziale reintegrare o aumentare le ore nei programmi dedicate all’arte, alla letteratura, alla storia, alla filosofia. Tutto ciò, però, è rimasta solo un’idea. Nel mentre, tra i banchi di scuola, si va condensando l’opinione che la letteratura ormai non serva a nulla e i grandi classici non abbiano un’utilità.

Per smentire questa teoria vogliamo partire proprio da un classico: Don Chisciotte della Mancha. Nel celebre romanzo di Cervantes, il protagonista è un nobile decaduto, amante dei libri cavallereschi medievali. A furia di leggere, si convince di voler rivivere la cavalleria errante e, così, parte. Si ritrova a dover fare i conti con le grandi ideologie capitalistiche dei potenti e popolani, ma non pare abbattersi, fermamente convinto che il suo viaggio sia giusto, seppur non apparentemente utile.

Don Chisciotte preserva i sentimenti, il coraggio, la fedeltà, rinuncia alla sua vita da benestante per mettersi in viaggio senza un evidente motivo. Don Chisciotte è l’indiscusso simbolo della rinascita grazie all’inutile, dell’epifania pensata per chi crede di avere tutto a portata di mano ma a cui effettivamente manca l’essenziale. Si tratta dello stesso essenziale di cui parlava Cicerone quando, nei Paradossi degli Stoici, si scagliava contro chi asseriva di esser ricco nonostante compiesse atti meschini e scorretti per raggiungere quella ricchezza.

Per il grande oratore romano la vera ricchezza non prevede denaro, terre, potere, bensì la grandezza morale, l’erudizione, la curiosità del sapere, poiché, per essere cittadini rispettosi, amici onesti, uomini liberi, è necessaria la cultura. È necessario studiare tutte quelle arti pensate dall’umanità per l’umanità, quelle arti che, da sempre, in silenzio, fanno sì che l’uomo abbia una coscienza e una conoscenza, quelle che eludono l’imbarbarimento dell’individuo e che ci permettono l’introspezione: la scoperta del nostro io.