“La felicità non è geografica”

La storia di Paolo, studente erasmus in Norvegia, ci racconta che è possibile “trovare una casa anche in un posto diverso da quello in cui sei nato”.

di Elena Rosetti
mentor: Sara Marcolla

Erasmus+ è il programma dell’Unione Europea per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport in Europa. Il programma 2021-2027 pone un forte accento sull’inclusione sociale, sulla transizione verde e digitale e sulla promozione della partecipazione dei giovani alla vita democratica.

In una società in continuo cambiamento, sempre più multiculturale e digitale, i cittadini europei devono essere in possesso di conoscenze, abilità e competenze sempre migliori. Trascorrere un periodo in un altro paese per studiare, formarsi e lavorare dovrebbe diventare la norma, e l’opportunità di apprendere altre lingue oltre alla propria lingua madre dovrebbe essere offerta a tutti. La promozione dell’apprendimento delle lingue e della diversità linguistica è uno degli obiettivi specifici del programma, che infatti, offre un sostegno per l’apprendimento delle lingue ai partecipanti che svolgono un’attività di mobilità.

Un’altra sfida che il programma Erasmus si pone, riguarda le tendenze, registrate in tutta Europa, relative a una partecipazione limitata alla vita democratica e alla scarsa conoscenza di questioni europee e del loro impatto sulle vite di tutti i cittadini dell’UE. Sono numerosi coloro che esitano, o incontrano difficoltà, a impegnarsi o partecipare attivamente nelle proprie comunità o nella vita politica e sociale dell’Unione. Il rafforzamento dell’identità europea e della partecipazione dei giovani ai processi democratici è estremamente importante per il futuro dell’Unione Europea.  

Fare un’esperienza Erasmus+ che opportunità offre? Per un giovane quali prospettive si aprono? Che impatto ha questa esperienza formativa sulla sua vita lavorativa e sociale? Vi raccontiamo l’esperienza di Paolo Lo Biundo, un ragazzo italiano che ha fatto l’Erasmus a Trondheim, in Norvegia, e che ora lavora nel Pese Scandinavo.

Perché hai scelto di fare l’Erasmus in Norvegia?

Ho fatto l’Erasmus a Trondheim, in università chiamata NTNU: si tratta dell’università della tecnologia e della scienza norvegese e quindi della principale università tecnica del paese. In realtà non ho scelto io direttamente di fare l’Erasmus a lì, perché io applicando per un bando di doppia laurea non avevo molta scelta: ho selezionato i paesi nordici che mi davano la possibilità della doppia laurea ed è uscito Trondheim, che era una città in cui sarei voluto andare e quindi sono partito. In realtà non conoscevo nessuno che ci fosse stato e in più era periodo Covid quindi ero un po’ incerto, ma mi sono buttato. All’inizio è sempre dura. Per molti i primi giorni sono difficilissimi: soprattutto chi arriva senza un gruppo di amici si sente molto solo, ma il vantaggio di chi arriva senza un piano è che così sei più aperto ad incontrare tutti.

Dopo questa esperienza hai scoperto qualcosa in più su di te o sul mondo?

In realtà, più che fare delle scoperte è stato un lavoro di verifica. I miei genitori si sono conosciuti all’estero poi si sono spostati in Italia dove sono nato anche io; quindi, l’idea di poter trovare una vita e una felicità all’estero non è sempre stata una possibilità aperta per me. L’Erasmus a Trondheim, per me è stato il primo periodo in cui ho vissuto per così tanto tempo all’estero e senza conoscere nessuno; tramite questa esperienza ho verificato che la felicità non è geografica: puoi trovare una casa anche in un posto diverso da quello in cui sei nato. Certamente ci sono dei contesti che posson essere più o meno ostici: parlando di Norvegia, tante persone non si trovano bene con il mood locale, con il buio o con il clima. Per esempio, d’inverno ci sono periodi in cui ci sono solo 4 ore di luce al giorno quindi, se una persona si deprime con il buio non è divertente stare lì. 

Cosa intendi per mood locale?

Per mood locale intendo che i norvegesi sanno essere complicati. Nonostante tra i popoli nordici si dice siano i più calorosi, non sono particolarmente amichevoli al primo impatto. In più, dato che sono molto timidi, si aggregano per interesse; quindi, si conoscono per esempio, perché fanno parte di un determinato club, come quello di ballo. Dunque, se una persona che viene da fuori non lo sa e cerca di fare amicizia con loro è difficile che ciò avvenga; se invece ti unisci a qualcosa che stanno facendo loro e ne diventi parte allora riesci a conoscerli e poi l’amicizia continua anche fuori da quel determinato ambiente che frequentate. 

Quindi l’inizio è stato difficile ma quando capisci che tipo di persone sono è più facile ambientarsi?

Sì, io ho avuto la fortuna di trovare un’amica importante che mi ha presentato il suo gruppo di amici. È nata una storia, sono diventato molto loro amico e per questo, nonostante ora molti non li frequenti più perché si sono spostati più a sud o sono studenti e io ora sono lavoratore, se ho bisogno di un consiglio li chiamo e mi aiutano, e viceversa. Siamo amici veri.
Penso che il “problema” dell’Erasmus sia che si tende a rimanere nell’ambiente Erasmus: quanta convenienza c’è nell’investire su una persona che sta nel tuo paese per solo 6 mesi? È una sfida sia per noi che arriviamo che per i norvegesi, perché gli studenti Erasmus sono persone con una cultura diversa dalla loro e che dopo poco andranno via. Io personalmente ho visto che ne vale la pena per me e anche loro hanno visto che ne vale la pena accogliere queste persone perché sono comunque una ricchezza culturale.

Perché dopo l’Erasmus hai deciso di continuare il tuo percorso di studi e/o a lavorare in ambito internazionale? Pensi che la tua esperienza di Erasmus abbia contribuito a rafforzare le tue prospettive di carriera e ad aumentare la tua occupabilità?

Io ho fatto doppia laurea, per cui ho fatto la tesi sia in Italia che in Norvegia e la professoressa di Trondheim mi ha dato l’opportunità di continuare ad approfondire gli stessi argomenti tramite una posizione di dottorato. Questa possibilità mi avrebbe permesso di essere un dipendente statale (non un borsista come in Italia) in un ambiente che mi interessava e in cui ero cresciuto durante la tesi; quindi, ho deciso di accettare e poi di rimanere lì a lavorare.
Per quanto riguarda le prospettive di carriera, il vantaggio di fare l’Erasmus è che poi hai dei contatti in un paese estero e soprattutto con dei professori, questo è molto valido soprattutto in Norvegia in cui il rapporto tra professori e studenti non è troppo formale.

Dopo aver completato la tua esperienza di Erasmus ti senti cittadino europeo e/o cittadino del mondo? 

Anche prima mi sentivo un cittadino europeo, ma ora sono ancora più convinto che un Europa unita, sia una buona cosa per il periodo storico in cui stiamo vivendo. Quindi sì mi ritengo più europeista dopo tale esperienza. Inoltre, nonostante la Norvegia non sia parte dell’Unione Europea ho sperimentato che gli accordi europei come, ad esempio, l’area Schengen siano molto utili.

Dopo tale esperienza hai più consapevolezza riguardo all’ambiente e vorresti cambiare le tue abitudini per renderle più sostenibili?

Si. Penso che in Italia siamo molto limitati per quanto riguarda le tematiche ambientali. Credo che non sia una questione di cui la politica si interessa troppo. Invece ho percepito che in Norvegia la politica e in generale le persone si interessano di più all’ambiente, in particolare per l’aria che respiriamo. È vero, tuttavia, che a Trondheim, quando sono arrivato io, non erano molto sensibili alla raccolta differenziata e viene sprecata l’energia elettrica, perché ne hanno troppa. In generale, l’energia costa poco e si tratta di energia idroelettrica e questo si riflette anche sul tipo di industria e di riscaldamento: loro riscaldano tutto in modo elettrico e ci sono molte industrie metallurgiche che usano molta energia che si trovano alla fine dei fiordi dove c’è il capo idroelettrico.  

Dopo questa esperienza hai una maggiore consapevolezza della diversità della società e sei più incline a lottare contro le discriminazioni e il razzismo?

Per me il razzismo è sempre stato un controsenso, è come andare contro la mia storia della mia famiglia, infatti, mia madre viene dalla Cina e mio padre è italiano. La società norvegese molto tollerante mi ha aiutato a conoscere più culture. Infatti, toccare e conoscere aiuta a eliminare il limite che ti viene posto dall’ignoranza e dalla la xenofobia, che alla fine è una paura di ciò che è sconosciuto.
Dall’altra parte la Norvegia ha rigide politiche di immigrazione: lì tutto funziona perché se c’è qualcosa che non va possono allontanare le persone. Ma il fatto che queste regole funzionino non significa che siano etiche o giuste. Più che limitare il flusso, ritengo che si dovrebbe puntare sull’integrazione.