Jordi Penner: dal Trentino ad Hollywood una sceneggiatura alla volta

A tu per tu con il regista di Amore Cane e Pietre Sommerse

Direttamente dalla Val di Ledro, Jordi Penner è uno sceneggiatore, regista e professore di cinema presso il liceo artistico di Rovereto. Ha scritto e diretto Amore Cane, corto vincitore di una menzione speciale al RIFF di Roma e selezionato all’Oscar qualifying IN THE PALACE FILM FESTIVAL. L’ultimo corto realizzato è stato Pietre Sommerse nel 2023.

di Patrick Lasta
Mentor: Marianna Malpaga

“Motore, ciak, azione!”: formula magica attraverso cui numerosi storyteller hanno creato mondi fantastici e storie dalle più variopinte tonalità. Ma da dove hanno iniziato questi autori prima di essere chi sono oggi? Come si diventa regista e cosa significa esserlo in Trentino Alto Adige? Ne parliamo con  Jordi Penner in questa intervista.

Penner, ci racconti dei suoi inizi. Ha sempre voluto fare il regista? Qual è stato il suo percorso? 

Sono sempre stato appassionato di narrazione. Sono cresciuto in Val di Ledro che ai tempi non offriva particolari intrattenimenti intellettuali; mi rifugiavo così nella lettura di romanzi, fumetti e guardando film. Il fumetto è stato il mio primo amore: collezionavo e divoravo tutto quello che arrivava nella tabaccheria del paese ed ero un assiduo frequentatore della biblioteca. Lì c’era anche una piccola videoteca dove potevi indossare le cuffie e goderti il tuo film, in privato. All’inizio mi interessava il disegno ma mi resi presto conto di non avere particolare talento nella resa su carta di immagini “statiche”. Al contrario, mi riusciva facile scrivere e così, per divertimento, iniziai a scrivere racconti. Tentai anche con un primo romanzo verso i 15/16 anni scritto su un quaderno che è andato purtroppo perduto. La mia prima pubblicazione sarebbe arrivata anni dopo con il romanzo “Pieno Controllo”, pubblicato nel 2010 grazie alla mia ragazza di allora. Fu lei a mandarlo a diverse case editrici per farmi una sorpresa. Il libro finì per essere pubblicato da una piccola casa editrice veneta che mi diede l’opportunità di presentarlo in giro per l’Italia. Oltre a letteratura e fumetti, ho sempre avuto la passione per il cinema.

Finite le scuole superiori ho infatti scelto il DAMS di Bologna, indirizzo cinema, televisione e produzione multimediale: un corso che ibrida lo studio classico delle scienze umanistiche con il cinema.  L’incrocio perfetto tra letteratura e cinema è la sceneggiatura, il linguaggio che mi interessa di più fin dall’inizio. Entrambe le mie tesi di laurea triennale e specialistica si sono focalizzate infatti sulla scrittura per il cinema. Lungo i miei studi ho avuto la possibilità di viaggiare molto all’estero dove ho potuto fare esperienza in diversi ruoli dalla pre alla post produzione. Ho fatto l’assistente di produzione, l’operatore di macchina, il montatore, la comparsa, insomma qualsiasi cosa mi dessero l’opportunità di fare.

Dopo anni da videomaker indipendente poi mi sono sentito pronto per mettere insieme quanto imparato e occuparmi della mia prima vera regia, ho chiesto ai The Bankrobber di dirigere un video musicale per loro e ne è uscito “Closer” che nel 2018 venne riconosciuto come secondo miglior video indipendente italiano al Vic Festival di Milano. Per troppo tempo mi ero illuso che sarebbero stati i produttori a interessarsi ma la verità è che bisogna rimboccarsi le maniche e proporsi. Per questo motivo cerco sempre di passare questo messaggio ai miei studenti: “Nessuno vi viene a cercare. Dovete essere voi a proporvi”.

Un’altra cosa fondamentale è studiare anche il lato economico dell’audiovisivo. Io ci sono arrivato dopo tanti anni di iperfocalizzazione sugli aspetti creativi. La verità è che senza fondi e gestione degli stessi non si fa cinema. Una buona via per cominciare un lavoro strutturato cinematografico è, secondo me, l’autoproduzione. 

A 28 anni quando ho cominciato a lavorare al liceo artistico come insegnante, ho finalmente avuto il tempo e le risorse per fare un mio primo cortometraggio autoprodotto. Grazie all’aiuto di un’associazione del territorio, la Compagnia delle Nuvole e il piccolo contributo di un piano giovani di zona  abbiamo potuto così realizzare “Amore Cane” (2020).

Una volta fatto non sapevo come distribuirlo. Trovai online il numero di telefono di un regista con un ottimo percorso, Andrea Corsini, e senza conoscerlo lo chiamai per un consiglio. Fu molto simpatico e disponibile. Mi consigliò Zen Movie che mi diede risposta positiva e “Amore Cane” fu inserito nel catalogo Tiny Distribution. Il corto andò bene, debuttando a Roma con una menzione speciale al RIFF per poi venir selezionato a un Oscar qualifying e un’altra ventina di festival. Ecco, questo credo sia stato più o meno il percorso per arrivare alle mie prime regie. Oggi credo che un ingrediente fondamentale sia lo studio della recitazione ma come si dice, meglio tardi che mai. 

Nel suo percorso formativo ha trascorso un periodo all’estero in America, presso la Film studies della University of California. Come è andata quell’esperienza?

Quell’esperienza è stata fondamentale. Sono andato lì grazie ad una borsa di studio Overseas che ha coperto buona parte delle spese.  Normalmente un anno di studi lì può costare tra iscrizione e spese varie anche 60-70.000 dollari. Io ricevevo invece addirittura un piccolo contributo mensile dall’Unione Europea. 

L’University of California è ben fornita di servizi, i corsi sono per un numero ristretto di persone e vieni seguito molto. Una volta arrivato in America ci hanno fatto un corso in Cultural Shock, dove si preparano gli studenti che vengono dall’estero all’impatto con la cultura americana. A dire il vero  pensavo che lo shock culturale non mi potesse capitare. In fondo avevo già viaggiato e trascorso periodi in diversi Paesi, ma effettivamente quelle fasi le ho attraversate: si inizia dall’esaltazione, la continua comparazione tra la cultura ospitante e la cultura propria, poi arrivano il rifiuto, la depressione, la voglia di scappare e infine l’accettazione e l’assimilazione. Non penso di aver mai raggiunto l’assimilazione, ma all’accettazione ci sono arrivato.

Alla University of California mi iscrissi subito a tutti i corsi possibili  di regia, sceneggiatura e materie connesse. Grazie ai voti ottenuti durante l’anno e l’aiuto di una docente, ebbi la possibilità di iscrivermi anche alla classe di sceneggiatura di lungometraggio, riservata solo agli studenti dei master. 

In riferimento alla sua tesi universitaria, “La formula americana in sceneggiatura: ideazione, sviluppo del personaggio, struttura, stesura. Il mestiere dello screenwriter hollywoodiano”, quali sono le principali differenze tra sceneggiatura italiana e sceneggiatura americana?

In Italia la cultura della sceneggiatura per fortuna sta riprendendo piede. Un tempo c’erano dei grandi maestri, come Cesare Zavattini,  il quale aveva detto che, se non si fosse continuato ad insegnare e a dare valore alla figura dello sceneggiatore, la cinematografia italiana sarebbe destinata a fallire… E così, secondo me, è stato. Da uno dei movimenti più importanti della storia del cinema, il Neorealismo, si è andati verso la Commedia all’italiana, che tanti difendono ed un calo generale di qualità del cinema nostrano a livello internazionale. Fortunatamente ci sono stati grandissimi autori che ci hanno salvato di tanto in tanto, però la qualità generale è scesa perché teoria e tecnica della sceneggiatura sono andate nel dimenticatoio per tanti anni. È come per la musica: prima di comporre devi conoscerne la storia. La sceneggiatura ha una marea di regole, strutturate già dagli anni Trenta, che vanno studiate prima di poter scrivere e fare cinema sperimentale. 

Un altro  problema, a mio parere gigantesco, in Italia è che la figura dello sceneggiatore è sottopagata e sottostimata: pochi si ricordano il nome di uno sceneggiatore, mentre tanti ricordano il regista. Eppure senza lo sceneggiatore il film non esiste. Pochi sanno che film d’autore significa che è stato scritto e diretto dalla stessa persona.  Quando insegno sceneggiatura chiedo spesso: “Qual è la differenza tra Spielberg e Tarantino?”. La risposta è che Spielberg è prima di tutto un regista e poi uno sceneggiatore. Gran parte dei suoi successi sono adattamenti da romanzi di successo riadattati da sceneggiatori strapagati, non idee originali. Tarantino invece è prima di tutto un grande scrittore. Scrive solo sceneggiature originali mettendo su carta il film che ha in testa per poi realizzarlo. Lui è, che piaccia o meno, un autore.

Ci sono dei film che hanno particolarmente ispirato la sua visione autoriale?

Devo dire che è sempre una lista in costante aggiornamento, ogni anno cambia.

A 15-16 anni avrei detto Tarantino, adesso direi Darren Aronofsky (P, Requiem for a Dream) o Ruben Östlund (Triangle of Sadness – 2022 NDR.). “Parasite” di Bong Joon-ho è secondo me uno dei più grandi film degli ultimi vent’anni. Ci metterei poi Park Chan-wook, regista dell’indimenticabile “Oldboy”. 

Come è nato “Pietre Sommerse”,? Ed in generale come nascono le sue idee per un corto? 

Il mio primo corto, “Amore Cane”, nasce da un fatto realmente accaduto a dei miei amici, che per errore chiusero il cane fuori dall’ascensore. Mi  sono immaginato cosa sarebbe accaduto se fosse andata male quel giorno. Il corto ha ottenuto una buona ricezione. Sono contentissimo di come è  andata, perché ho avuto la possibilità di lavorare con due grandissimi attori: Giovanni Anzaldo (“Il Capitale Umano”, “Razza Bastarda”) e Gaia Messerklinger .

“Pietre sommerse” nasce invece da un ricordo, un gioco che facevo da ragazzino, camminare sul fondo del lago con una pietra tra le mani. 

I corti più apprezzati e di maggiore effetto sono quelli più autentici e personali. Per la scrittura del secondo corto “Pietre Sommerse” mi è venuto in mente il ricordo di un gioco che facevo da bambino, quando correvo con una pietra tra le mani sott’acqua. Un’immagine molto potente, perché è metafora di tutte le persone che si portano dentro un peso per tutta la vita. Da lì è arrivata l’idea di parlare di dipendenze, malattie mentali e successivamente di rendere protagonisti di un mio corto due fratelli, uno dei quali convive con un grande trauma che lo fa andare avanti e indietro da un centro di recupero. Prima di realizzarlo ho chiesto a psichiatri specializzati di analizzare il testo e mi hanno confermato la credibilità della vicenda. L’ho poi proposto al Centro Trentino di Solidarietà Onlus che ha scelto di patrocinare il progetto.

Come è stata l’esperienza ai festival a cui ha partecipato? Ha incontrato qualche collega particolarmente conosciuto? 

La parte più interessante dei festival, più che la popolarità dell’evento o quella che puoi avere partecipando, è fare rete e conoscere gente con cui costruire un rapporto che può durare anche tutta la vita. Ad un festival in cui presentavo il mio primo corto, per esempio, ho avuto la possibilità di conoscere Giulia Grandinetti, che mi ha aiutato con il casting e nel coaching degli attori su “Pietre Sommerse. Lei poi è stata selezionata col suo meraviglioso corto “Tria” alla sezione Orizzonti del Festival del cinema di Venezia, una delle più importanti selezioni al mondo. Giulia ha un gigantesco talento in tutto: come scrittrice, regista e attrice. Spero di poter collaborare ancora con lei in futuro. 

Com’è stato girare in Trentino? 

Per il primo corto ho scelto di girare qui perché avevo un budget molto limitato. Era stato scritto per essere girato nel mio appartamento, una location sempre a disposizione e gratuita. Io e la mia compagna abbiamo lavorato mesi per realizzare una scenografia adeguata. “Amore Cane” è stato girato infatti con un budget quasi nullo. La macchina da presa l’avevo comprata io per altri lavori da videomaker più che per il corto. Tutti coloro che hanno lavorato al film lo hanno fatto gratis o per compensi minimi. I 1.500 euro di contributo sono serviti a pagare attrezzature e attori.
Il secondo corto invece ho scelto di girarlo in Trentino sia per motivi narrativi di autenticità che per valore produttivo. E’ ambientato sulla stessa spiaggia dove facevo quel gioco subacqueo. Sul territorio poi ho sviluppato nel tempo una buona rete che è servita a rendere possibile il progetto. “Pietre sommerse” è stato prodotto da due produzioni e supportato da Trentino Film Commission, Cassa Rurale di Ledro, Comune di Ledro e un’ampia rete di realtà locali. Al corto è stata riconosciuta anche l’etichetta Green Film perché è stato realizzato nel pieno rispetto della natura. 

Credo che bisogna far tesoro del proprio territorio.

Quali sono le differenze tra girare un video musicale ed un corto?

Un video musicale indipendente offre di solito più libertà di espressione ma per contro anche budget più risicati. Si gira in un paio di giorni al massimo e con una mini troupe, se non si parla di nomi di primo piano nella musica internazionale o italiana. Nel caso di artisti famosi  c’è un “mondo intero” dietro al video di una canzone. Ho lavorato come aiuto regista ad un video di Francesco Gabbani (Il sudore di appiccica – 2020 NdR.) e il budget era diverso. C’erano crane, steadycam, un intero team di ballerine e tanto altro. E’ stata una bella sfida trovarmi a gestire quel marasma di risorse.

Il cortometraggio invece è come un film compresso in pochi giorni. Ciò che secondo me separa un cortometraggio amatoriale da un cortometraggio professionale sono prima di ogni altra cosa storia e attori. Poi conta moltissimo anche quello che viene chiamato Production Value ovvero la qualità  di costumi, scenografa, trucco, parrucco e tutto ciò che ne consegue. Però puoi avere tutte le risorse che vuoi o anche una estetica fenomenale, ma se la storia non attira cambieresti canale dopo un minuto

Si è occupato anche del casting?  

Per “Amore Cane” ho scelto io gli attori. Per un intoppo abbiamo dovuto cambiare all’ultimo l’attore protagonista e Gaia mi ha suggerito il nome di Giovanni Anzaldo. All’inizio ero titubante, pensavo che non avrebbe mai risposto. Anzaldo ha fatto un film con Giovanni Veronesi (Non è un paese per giovani – 2017 NdR), “Il capitale umano” di Paolo Virzi. Quando Gaia gli inviò la sceneggiatura, però, rispose quasi immediatamente: era entusiasta della sceneggiatura e pronto a partire.

Per quanto riguarda il secondo cortometraggio mi ha aiutato Giulia Grandinetti proponendomi dei nomi tra cui quelli che poi sono diventati i protagonisti di Pietre Sommerse: Gabriele Falsetta e Michael Schermi. Il ruolo di Elia era previsto per Giovanni Anzaldo con cui volevo tornare a lavorare ma un impegno su un lungometraggio lo ha impossibilitato a partecipare. Poi con Gabriele e Michael è andata alla grande. Sono molto felice del risultato.

Data la sua esperienza, c’è un consiglio che potrebbe dare agli aspiranti storyteller? 

Il mio consiglio per un giovane autore è di essere il più personale e autentico possibile. L’autenticità si percepisce e risuona. Questo vale sia per il cortometraggio che per il lungometraggio.

Nel lungo ovviamente è tutto più strutturato. Di conseguenza anche il  messaggio deve essere più strutturato. Occorre dire qualcosa di più forte e più complesso.

Anche i film di intrattenimento leggero si basano su una su una forte premessa. 

Come diceva il grande drammaturgo ungherese Lajos Egri, che ha scritto “L‘arte della scrittura drammaturgica”,  la chiave sta nell’avere “la premessa giusta, il messaggio giusto”. Egri fa l’esempio dell’high concept (Concetti di alto livello NdR), come “l’amore vince anche la morte”, che è usato nella storia di Romeo e Giulietta. Per il lungometraggio la domanda da farsi è: “posso riassumere ciò che voglio dire in un’unica frase?

Adesso ha qualche progetto all’orizzonte? 

Sto lavorando a due lungometraggi. In questo periodo mi sto effettivamente concentrando solo sulla scrittura. I due titoli, al momento provvisori, sono “Crepi l’avarizia”, che spero in un giorno di trasformare anche in uno spettacolo teatrale, e “Re Boia”.