I rischi e le opportunità della rete
Seminario promosso da InformaGiovani e finanziato dal Programma Erasmus+ della Commissione Europea mette in risalto i rischi legati ai social network.
Di Marianna Malpaga
Nel quartiere di Ballarò, che ogni giorno ospita il mercato più conosciuto e colorato di Palermo, abbiamo partecipato al seminario Damlac, “Digital and media literacy for active citizenship”, organizzato dall’associazione InformaGiovani e finanziato dal Programma Erasmus+ della Commissione Europea.
Sono trenta i giovani provenienti da diversi Paesi dell’Unione Europea che hanno partecipato alla formazione, che si è tenuta nelle sale della Domus Carmelitana di via Giovanni Grasso.
Vi proponiamo alcuni spunti che abbiamo raccolto nel corso di questi giorni, durante i quali abbiamo parlato delle potenzialità e dei rischi che si corrono in rete, di hate speech, media education e attivismo digitale. Tra il 24 e il 27 novembre 2021, a Palermo, abbiamo conosciuto, e in alcuni casi visitato, alcune realtà che ogni giorno si occupano di giovani e di comunicazione.
Facebook ti conosce meglio di un amico (e a volte anche di un compagno)
Nel 2010 Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, è stato nominato “uomo dell’anno” dal giornale statunitense The Time. In quel periodo cominciavano anche le Facebook revolution, anche dette Twitter revolution, dei movimenti nati dal basso per chiedere democrazia e diritti umani organizzati proprio attraverso i social network.
Negli anni, però, tutti i rischi e le criticità legati ai social network sono stati disvelati, in particolare dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, un’azienda di consulenza che ha usato i dati raccolti su Facebook per creare dei profili psicologici degli utenti a scopi commerciali. È a Cambridge Analytica che il comitato elettorale di Trump ha affidato la gestione della raccolta dei dati per la campagna elettorale del 2016, avendo accesso di fatto a un’immensa mole di dati personali.
Lo scandalo legato a Cambridge Analytica ha fatto emergere le zone d’ombra dei social network. Il giornalista Pietro Gallucci di InformaGiovani, che ha curato la presentazione dei rischi legati ai social, ha portato un dato significativo: se l’utente mette un “mi piace” a 70 pagine su Facebook, allora il social lo conoscerà quanto lo conosce un suo amico. Se invece le pagine sono 150, allora lo conoscerà come un componente della sua stessa famiglia, mentre se sono 300 il suo “livello di conoscenza” sarà quello del partner. La “piccola” differenza è che conoscerà l’utente in maniera molto più rapida di quanto non avvenga con un compagno o una compagna.
L’esperienza che ciascuno di noi ha nei social network non è la stessa, ma è personalizzata a seconda delle interazioni e delle pagine alle quali si accede. Si creano così le cosiddette “echo chambers”, in italiano camere d’eco: il fruitore dei social si sposterà in un mondo online che gli assomiglia molto, un “mondo gemello” dove gli sembrerà che tutti abbiano la sua stessa opinione. Questi meccanismi hanno degli effetti diretti sulla vita politica, oltre che sulla diffusione di “fake news”. Uno studio dell’Università dell’Indiana, infatti, sottolinea come Facebook abbia aumentato la polarizzazione ideologica tra democratici e repubblicani, tanto che alcuni ora pensano all’altra parte politica come a una minaccia per il benessere del Paese.
L’hate speech nella rete: il network Inach, di Amsterdam
“Bringing the Online in Line with Human Rights”, Portare l’online in linea con i diritti umani, è il motto di Inach, una rete di 28 organizzazioni da tutto il mondo che lavorano per contrastare i discorsi d’odio che purtroppo sempre più spesso circolano in rete.
Inach ha sede ad Amsterdam e lavora in questo campo dal 2002, svolgendo campagne di advocacy e corsi per aumentare la consapevolezza che i diritti umani valgono anche quando si è online.
L’hate speech può essere intenzionale o non intenzionale e, per definirsi tale, deve essere fatto in pubblico. A livello internazionale non c’è una legislazione “ad hoc”: per il momento i discorsi d’odio ricadono nella legislazione sulla discriminazione, e quindi all’interno della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ma anche dei patti (vincolati) sui diritti civili e politici (ICCPR) e sui diritti sociali ed economici (ICESCR). A livello europeo, invece, ciascuno Stato ha una legislazione specifica.
Qual è la linea che definisce il confine tra la libertà d’espressione e i discorsi d’odio?
Molto spesso, infatti, la libertà d’espressione è brandita come giustificazione da parte di chi diffonde discorsi d’odio. In realtà questo diritto trova delle limitazioni, e deve essere sempre accompagnato da un senso di responsabilità. La libertà d’espressione incoraggia il dibattito e la discussione, l’hate speech incoraggia invece odio e discriminazione. Nonostante questa demarcazione, spesso discorsi d’odio e libertà d’espressione si intrecciano, e allora bisogna vedere in particolare chi è l’autore di determinati discorsi e qual è l’intenzione che ci sta dietro.
Il pericolo dei social network è che danno la possibilità agli “haters” di organizzarsi in gruppo e di rafforzarsi, e che creano un senso di impunità, rafforzato dall’utilizzo di profili falsi. C’è poi una connessione in certi casi tra chi diffonde odio online e chi agisce offline: una ricerca fatta in alcune città tedesche mostra chiaramente come, nelle municipalità nelle quali l’odio contro le persone immigrate imperversa sui social, ci sono stati anche più episodi di violenza fisica.
Alcune azioni concrete per contrastare l’hate speech online? Ammonire amichevolmente (gli haters, se trattati con la stessa moneta, non cambieranno mai idea); mostrare e chiedere empatia; umanizzare il gruppo attaccato; fare humor e satira; promuovere narrazioni alternative; fact checking e debunking; segnalare i discorsi d’odio.
Social e partecipazione: il rischio di cadere nello “slacktivism”
La maggior parte delle persone che passano un po’ del loro tempo su Facebook sono dei semplici “voyeur”. I social network danno l’impressione di attivismo. In realtà si sconfina molto spesso nello “slacktivism”: le persone firmano petizioni su Change.org o Avaaz.org e promuovono cause comodamente sedute sul divano di casa.
E qui veniamo alla presentazione delle organizzazioni che hanno preso parte al seminario DAMLAC a Palermo, che offrono servizi ai più giovani facendo uso dei social network e della rete.
InformaGiovani (Palermo), l’associazione che ha organizzato il seminario, promuove opportunità per i più giovani, che diffonde attraverso i canali social e la newsletter: si va dall’Erasmus+ ai corpi di solidarietà europei, passando anche per seminari, formazioni e volontariato. InformaGiovani ha iniziato con attività a livello locale alle quali partecipavano anche ragazzi inseriti in percorsi di giustizia riparativa, e oggi coinvolge anche persone immigrate, persone che abitano in zone rurali e con disabilità sensoriali. Ha un network di 16 organizzazioni europee che lavorano sugli stessi temi: volontariato, inclusione e partecipazione delle nuove generazioni.
Viração&Jangada (Trento), nata nel 1999 promuove progetti e attività di partecipazione attiva dei ragazzi attraverso l’uso creativo dei media e della comunicazione. Tra i suoi programmi internazionai c’è l’Agenzia di Stampa Giovanile con siti in italiano, inglese, spagnolo e portoghese, che promuovoe giornalismo da, per e con i giovani di tutto il mondo.
Association Diverse (Romania), nata per promuovere l’educazione interculturale e l’educazione in generale, soprattutto nelle aree rurali, dove le opportunità sono poche. L’associazione ha anche un interessante sito, Positive Messegers, dove promuove buone pratiche e consigli per contrastare l’hate speech, che in Romania colpisce in modo particolare i rom, gli anziani e le donne, e solo in misura minore gli immigrati.
EYCB (Repubblica Ceca), un’organizzazione non-governativa fondata nel 2007 dai giovani per i giovani, che si trova nel sud del Paese, al confine con l’Austria. EYCB promuove opportunità per i giovani all’interno dell’Unione Europea: volontariato locale, corpi di solidarietà europei ed Erasmus+.
Eesti people to people (Estonia), un’organizzazione non-governativa dedicata al dialogo interculturale.
Cisneklate (Polonia), un’organizzazione che promuove opportunità di studio, lavoro e volontariato all’estero nata quattro anni fa, con un interessante canale Tik Tok sulle tecniche di primo soccorso per raggiungere anche i più giovani tra i giovani.
Artemissziò (Ungheria), un’organizzazione non-governativa che lavora con giovani, persone immigrate e rifugiati per creare un ambiente multiculturale attraverso laboratori, feste e un centro per il giornalismo indipendente rivolto soprattutto ai giovani.
Radi Vidi Pats (Lettonia), un’organizzazione il cui nome significa “crea tu stesso il tuo ambiente”, che lavora soprattutto nel campo dell’educazione ambientale e promuove opportunità di volontariato, educazione informale ed eventi inclusivi.
Centrum Wolontariatu w Kielcach (Polonia), fondato nel 1997 come programma della Fondazione di Supporto alla Democrazia locale. Porta avanti dei progetti in Uganda e in Sud Africa, ma anche delle opportunità di volontariato attraverso i corpi di solidarietà europei.
Kolping (Polonia), parte di un’associazione presente in 60 Paesi (20 solo in Europa) che si occupa di cooperazione internazionale, con un occhio di riguardo all’educazione dei ragazzi.
Seeds (Islanda), un’organizzazione non-profit che ospita gruppi di volontari provenienti da tutto il mondo (ogni anno circa un centinaio di persone). I campi di lavoro promossi da Seeds durano tre settimane e sono legati in particolar modo ai temi ambientali.
Service Voluntaire International (Belgio), ospita e invia volontari per progetti di volontariato internazionali.
Centro TAU, un “punto luce” nel cuore del quartiere della Zisa
Non solo buone pratiche internazionali. Al DAMLAC sono state presentate anche alcune buone pratiche locali, come il Centro TAU, nato più di 30 anni fa nel cuore del quartiere della Zisa, a forte povertà educativa.
Frequentano il centro 300 ragazzi di tutte le età, dai 6 anni all’età universitaria. Molti di loro, poi, iniziano a frequentare il Centro TAU sin da quando sono piccoli e non lo “abbandonano”, ma restano come “peer educator” che propongono ai ragazzi e alle ragazze del Centro tante attività per sviluppare i propri talenti e i propri interessi.
Lavorano nel Centro TAU 24 operatori, 12 volontari del servizio civile, 8 peer educator e 16 studenti del conservatorio e dell’accademia.
Stiamo costruendo un’orchestra del quartiere
Marco Mondini, responsabile della comunicazione del Centro TAU.
Il Centro nasce per i giovani, ma si prende cura anche delle famiglie del quartiere – soprattutto quelle che hanno difficoltà a pagare l’affitto – e accoglie le persone immigrate che hanno bisogno di un punto di riferimento. Centro TAU fa da intermediario al Comune di Palermo, che supporta finanziariamente le famiglie della Zisa in difficoltà, facendo i colloqui per accedere ai finanziamenti. Il supporto che dà alle famiglie è però anche psicologico ed educativo.
Abbiamo pensato che una delle chiavi per fare un servizio utile a questo territorio fosse la chiave della bellezza
Francesco Di Giovanni, coordinatore di Centro TAU
“In un quartiere grigio, quindi, abbiamo pensato di portare un po’ di colore. Una delle dimensioni importanti del nostro lavoro – ha aggiunto – è favorire l’incontro tra i giovani da tutta Europa con i nostri ragazzi e di sviluppare processi di peer education. Abbiamo pensato che quest’incontro potesse avvenire utilizzando l’arte e la cultura come strumenti di crescita per i ragazzi e per il nostro territorio. Penso e spero che le sfide che ci accumunano siano quelle dello sviluppo sostenibile. Sono due, in particolare, gli obiettivi sui quali cerchiamo di concentrarci: la povertà educativa e la città sostenibile ed inclusiva, il quarto e l’undicesimo obiettivo di sviluppo sostenibile”.
Fino a un po’ di tempo fa, il centro era finanziato con fondi comunali, che poi si sono interrotti, provocando una crisi che ha quasi portato alla chiusura dell’attività. Oggi Centro TAU è finanziato dalle fondazioni e si occupa anche di fundraising. Da settembre del 2021, propone quattro workshop legati al mondo dei media nelle sue sale coloratissime e curate. Ci sono laboratori di podcast e web radio, scrittura creativa, graphic design e film-making.
“I workshop – ha specificato Mondini – sono solo uno strumento, per noi. L’importante è costruire un processo di comunità che coinvolga il vicinato. L’anno scorso, per esempio, abbiamo realizzato 30 podcast per raccontare come le persone della Zisa hanno vissuto il lockdown e la pandemia, e i nostri ragazzi si sono calati nel ruolo di ‘giornalisti di quartiere’”.
Centro TAU ha anche una casa discografica, e ha prodotto un brano musicale che si chiama “I love Palermo”, arricchito da un bel video girato tra le strade della Zisa.
Da questo centro sono uscite anche personalità importanti, come Jessica Nuccio, ormai una soprana affermata, e Igor Scalisi, uno street artist che, girando per le strade di Palermo, è impossibile non notare: molti dei murales che arricchiscono la città sono opera sua.
Sergio Staino, famoso disegnatore ha visitato il Centro Tau
Dalla media education agli strumenti di partecipazione attiva
Gianna Cappello, professoressa dell’Università di Palermo e presidente del MED (l’associazione italiana per l’educazione ai media).
La media education non è solamente educare i bambini a usare internet in modo corretto o usare internet e le nuove tecnologie per rendere le attività educative più efficaci. La media education – ha spiegato – consiste anzitutto nell’aiutare i ragazzi a sviluppare un pensiero critico
La professoressa Cappello ha portato l’esempio del lavoro di EU Kids Online, una piattaforma curata da Sonia Livingstone, che raccoglie dati a livello europeo sull’attitudine dei ragazzi nei confronti di internet.
“Vivere online comporta molti rischi, ma anche molte opportunità. Non c’è modo di cancellare i rischi. Quello che possiamo fare è cercare di aumentare le opportunità e diminuire i pericoli che i ragazzi corrono in rete”.
Gianna Cappello, professoressa dell’Università di Palermo
Paola Macaluso, referente del MED per la Sicilia, ha presentato le attività dell’associazione, nata vent’anni fa dall’unione di professori, insegnanti e ricercatori che lavorano nel campo dei media. Il MED promuove una summer school annuale sui temi della media education, e ha anche una rivista scientifica che esce due volte all’anno: “Media Education, Studies, Research, Good Practices” (Firenze University Press).
Infine, è stato presentato lo strumento della European Citizens’ Initiative, inserito nel Trattato di Lisbona del 2009 e implementato nel 2012, che consente ai cittadini di presentare alcune proposte che vengono poi discusse con il normale procedimento legislativo dell’Unione Europea.
Un altro processo che attualmente sta coinvolgendo i cittadini europei è la Conferenza sul futuro dell’Europa, che, avviata a giugno di quest’anno, si concluderà nella primavera del 2022. Vi stanno lavorando più di 500 persone, tra le quali 108 cittadini che sono stati selezionati casualmente. Sulla piattaforma future.europa.eu ogni cittadino può proporre un argomento e discutere delle proposte già fatte all’interno della Conferenza.