Della follia della vita e di una piccola farfalla

“Tutto chiede salvezza”, un romanzo sul dolore giovane e antico, sulla speranza nella vita e sul potere della poesia e della scrittura. Di Daniele Mencarelli, Mondadori, e candidato al Premio Strega 2020.

Di Rita Qualtieri, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile

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Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli (Mondadori, 2020), candidato al Premio Strega di quest’anno è un libro da tenere sotto il cuscino per lungo tempo, uno di quei libri con il dorso che si conficca tra le costole e un po’ lacera, un po’ accarezza le corde del violino nomade che vive nascosto in ciascun essere umano. Una storia che disvela esistenze al limite e solitudini, piccoli mondi interiori disordinati e immensi rischiarati dalla memoria, dalla fratellanza e dalla durata dell’amore anche quando resta incompiuto.

Le pagine sono istoriate da parole domestiche e veraci che si stendono tra dolore, sofferenza e speranza impastate alla passione per la vita che il protagonista, giovane ventenne, trasmette al lettore con una naturalezza fluida e talvolta bruta, priva di retorica e molto attenta a coltivare la profonda sensibilità che il tema del disturbo mentale e del malessere dell’anima richiede. La voce narrante di Daniele raccoglie sguardi, odori, gesti, rituali che caratterizzano l’ospedale psichiatrico in cui il confine con il mondo esterno assume per i pazienti i tratti del muro invalicabile che separa la “vita dentro”  dalla “vita fuori”. 

Daniele Mencarelli – raicultura.it

Tutto chiede salvezza è una finestra dischiusa sulla malattia del vivere, sull’incomunicabilità profonda degli individui fragili e incapaci di esprimere concordanza con la comunità sociale che pretende comportamenti protocollati e convenzionali. Daniele cammina nella vita senza ombrello, i sentimenti e le emozioni lo inondano e lo invadono mentre in lui giganteggiano impressioni soffocanti ed ingestibili

Un giorno, nell’estate dei Mondiali del 1994, in preda ad un accesso d’ira, subisce un TSO, un trattamento sanitario obbligatorio che lo costringe ad una permanenza forzata all’interno di un reparto psichiatrico e alla convivenza con cinque pazienti accomunati tra loro dalla difficoltà a vivere incasellati dentro i quadretti della normalità. Il protagonista osserva, scruta i suoi compagni di stanza dapprima con circospezione, con disappunto e diffidenza, chiamandosi fuori da una realtà che rifiuta e disdegna. Poi lentamente legge gli sguardi, ne coglie la tenerezza e protende il suo animo ferito verso un flusso di sensazioni pervasive e misteriose come solo il pensiero e le più limpide forme d’amore sanno essere. 

Daniele impara a sostenere lo sguardo indomito di “Madonnina” che ha ingabbiato la sua espressività dentro un’unica invocazione sacra e stereotipata. Conosce il trauma di Giorgio, fasciato nel suo dolore per la perdita improvvisa della madre. Incontra la dolcezza di Mario che trascorre le sue giornate osservando e curando un uccellino che trova spesso ricovero sul davanzale della finestra  della loro camera. Accompagna i fiotti di gioia effusiva di Gianluca. E accarezza la fissità muta ed estrema di Alessandro descritta con parole trasparenti e senza spigoli: 

Ho immaginato Alessandro prigioniero dentro se stesso, lucido, cosciente, capace di sentire tutta la disperazione del padre, di sentire il dolore dei pizzichi che gli dà per provare a svegliarlo. Lui vorrebbe gridare, vorrebbe dire al mondo la sua prigionia, ma la malattia gli impedisce di comandare quello che una volta era il suo corpo, la sua bocca.

Il protagonista chiede salvezza alla poesia che gli restituisce la voce disattesa con versi incisivi e scarni. Chiede salvezza attraverso la scrittura, tentando di spiegare allo psichiatra che: “Magari lo spiego male, ma lì ho capito che la scrittura non è un gioco, ‘na noia come me l’avevano sempre insegnata, ho capito che serve veramente, e che è l’unico mezzo che può racconta’ quello che vedo, che m’esplode dentro”. 

La scrittura del giovane paziente lenisce, ricuce gli strappi della vita, riempie i silenzi della morte, delle occasioni mancate, degli amori sfiorati, della nostalgia quando “la nostalgia è un dolore fisico, [quando] colpisce in mezzo allo sterno, ai polmoni”. E chiede salvezza per la madre consumata dall’angoscia, per quei compagni di follia che rappresentano l’immenso patrimonio di un’umanità sommersa e bandita, per Valentina straziata da un amore crudele, per se stesso e per il suo modo diverso e profondo di osservare l’esistenza con i suoi uccellini e le sue farfalle: “Oggi so che non sono io a vedere grandi le cose, ma sono loro ad esserlo, io mi limito a guardarle nella loro reale dimensione. E la dimensione reale delle cose è gigantesca. Ogni singola giornata è costellata di azioni, visioni, degne di un’epopea straordinaria. Ogni persona incontrata, ogni scorcio di realtà inedito.

Ogni persona incontrata è una piccola farfalla che danza sulla nostra spalla. Ci sfiora nel silenzio della notte, ci accarezza nel vento, di tanto in tanto. Voltandoci, ne percepiamo la presenza, mentre l’essenza già ci appartiene. E non importa se trasporti lieve la follia che ci isola o quella che ci protegge dalla banalità dell’inconsistenza. Conta solo che l’incontro con quella diafana farfalla sia custodito nella memoria. Come questo libro prezioso. 

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Foto copertina di @lalettricecontrocorrente