Cultura maschilista e gruppi incel online

In dialogo con la psicoterapeuta cognitiva Serena Valorzi l’articolo analizza il fenomeno degli incel, indagando l’influenza del mondo online nell’alimentare odio e azioni violente di matrice maschilista.

di Sara Taddeo
Mentor: Sara Marcolla

Dopo i recenti fatti di cronaca, i media italiani sono tornati a parlare di patriarcato e cultura maschilista. Poco o niente, però, si è detto degli sviluppi recenti di questa cultura, come i movimenti per i men’s rights (diritti maschili) e il fenomeno degli incel (crasi di “celibe involontario”). Quest’ultimo concetto fa riferimento a una sottocultura digitale particolarmente diffusa negli Stati Uniti, ma in espansione anche altrove.

I concetti fondamentali della cultura incel

Il termine appare per la prima volta negli anni novanta sui forum online, suo contesto di riferimento. Nascono così le prime comunità digitali che sviluppano teorie come il concetto LMS (“look, money, social status” ovvero aspetto fisico, ricchezza e status sociale) e la congettura “red pill” (pillola rossa). La base di queste due dottrine è la convinzione che il sesso rientri fra i bisogni naturali dell’uomo (secondo la piramide di Maslow). Le donne che rifiutano un uomo, quindi, stanno di fatto violando un suo diritto. E poiché secondo gli incel le relazioni sentimentali sono basate su bellezza e status socio-economico (LMS), ne vengono esclusi tutti coloro che non rientrano in queste categorie. Gli incel auspicano, quindi, un ritorno ad una società patriarcale o alla liberalizzazione della prostituzione per garantire a tutti gli uomini l’accesso a rapporti sessuali.

Dal punto di vista incel, comprendere la realtà delle cose (per come viene da loro descritta) corrisponde ad assumere la “redpill”. Questo include riconoscere che le donne sono fondamentalmente cattive e non dovrebbero avere il diritto di scegliere. L’immagine è ripresa dal film Matrix, in cui la pillola rossa permette al protagonista di scoprire la verità sul suo mondo.

La violenza nelle comunità incel

Nei gruppi online incel vengono spesso incoraggiate azioni violente concrete. A tal proposito è stata coniata l’espressione “Going ER”, un invito a emulare Elliot Roger che nel 2014 il ragazzo uccise 6 persone e ne ferì 14, prima di suicidarsi (la prima strage di matrice incel). Sono seguiti altri attentati e nel 2020 un attacco incel a Toronto è stato il primo di questi casi ad essere processato come terrorismo misogino.

Per capire meglio il mondo degli incel ho parlato con la dottoressa Serena Valorzi, psicologa e psicoterapeuta cognitiva

Esistono delle condizioni psicologiche che possano facilitare l’avvicinamento di alcuni soggetti ai gruppi incel?

Per comprendere appieno il fenomeno è necessario fare un passo indietro. La nostra specie è evoluzionisticamente programmata alla ricerca di contatto. Quando siamo apprezzati, ci sentiamo felici e al sicuro. Quando invece veniamo rifiutati, la corteccia cingolata anteriore (la zona del cervello legata al dolore fisico) si attiva, segnalandoci con il dolore che la persona o il gruppo cui ci avviciniamo non va bene per noi, oppure che non abbiamo ancora le abilità sociali che ci consentono di avvicinarci efficacemente agli altri. In caso di rifiuto, potremmo trovare conforto in persone significative (genitori, fratelli, amici) che ci aiuteranno a capire come migliorare.

Purtroppo, non tutti riescono in questa fase di apprendimento. Alcuni interpretano erroneamente il rifiuto come segno della propria inadeguatezza e inamabilità, cosa ben più dolorosa da accettare. A questo può aggiungersi il disprezzo per l’altro, perché è temporaneamente meno doloroso incolpare qualcun altro. E lì si sprigionano il livore, la “rognosità”  e l’ostilità che via via allontanerà anche gli amici più vicini.

Che tipo di influenza ha il mondo online nel facilitare il fenomeno incel?

Nel mondo reale, prima o poi trovi sempre qualcuno abbastanza onesto da dirti che se ti sembra che tutti siano contromano, forse quello contromano sei tu. E poi, magari, qualcuno aggiunge qualche suggerimento per fare inversione. Ma nella virtualità, permeata da bolle informative, questo non succede. Il gruppo si unisce e trae la sua forza dall’espressione aggressiva e colpevolizzante del dolore; cerca capri espiatori da punire decolpevolizzando se stessi, senza nessuno spazio di autoriflessione o apprendimento di abilità sociali. Ci si sente in gruppo, finalmente, e la rabbia vendicativa per il rifiuto si continua ad alimentare fino ad arrivare ad agiti aggressivi.

Le azioni violente compiute ed emulate dai gruppi incel sono in qualche modo prevedibili da un punto di vista comportamentale?

Il passaggio alla violenza è prevedibile in tutti i contesti polarizzati, in cui non si riesca ad esprimere dolore e si incoraggi rabbia e vendetta. Internet dà la sensazione di non essere soli ma amplifica lo scollamento dalla realtà: con la sua strutturazione a bolla informativa, seleziona informazioni coerenti con i nostri gusti, evitandoci le informazioni che potrebbero infastidirci (ma allargare le nostre prospettive). D’altra parte, se alleniamo il nostro cervello ad odiare tutti, quello farà. E quando guardi gli altri con occhi colmi di invidia aggressiva e odio, convinto di essere parte di un esercito e di avere una missione, prima o poi esci con le bombe.

Per concludere, fenomeni come quello degli incel possono contribuire a rafforzare convinzioni maschiliste e ad alimentare un odio violento contro le donne. È bene, quindi, prenderne contezza e ragionare su modi per contrastarli.