Da sempre, sostiene Freud, nell’uomo coesistono Eros e Thanatos

La percezione della guerra come alternativa all’insoddisfazione

La guerra è davvero un’alternativa possibile o rappresenta solamente il tentativo, vano, di ritrovare quel senso di appartenenza di cui la società consumistica e capitalista ci ha privati? Riflettiamoci insieme.

di Ambra Proto, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

Cosa vuol dire parlare di guerra nel 2022, ma soprattutto perché nel 2022 ci troviamo ancora a parlarne?

Gli studiosi che hanno trattato questo tema sono moltissimi e gli studi a riguardo sono molteplici. Tuttavia, in questa sede, ritengo opportuno portare avanti una riflessione sul perché la guerra, spesso, viene vista come necessaria.

Negli anni ‘30 Einstein sentì la necessità di domandare a Sigmund Freud se ci fosse un modo per liberare l’uomo dall’inevitabilità della guerra.

L’essere umano ha in sé due pulsioni: quella di conservazione, l’Eros, e quella di distruzione, il Thanatos. Queste due pulsioni si trovano all’interno di ognuno di noi e l’equilibrio si ha solo se entrambe esistono in egual misura.

Tuttavia, a parer mio, nella società contemporanea l’Eros viene identificato con qualcosa che non è realmente vita, ma è più un atteggiamento che rimanda al concetto di potere e ricchezza, i quali, a lungo andare, diventano promotori di distruzione.

Hobbes dice che l’essere umano decide di cedere una parte della propria libertà personale, al fine di  porre un freno ai propri istinti distruttivi.

Se l’essere umano continua a rincorrere i propri interessi a discapito di quelli altrui, allora si avrà sempre una condizione di tensione e, appunto, di guerra.

Hobbes parla del “Leviatano”, inteso come quella forza superiore a qualsiasi altra in grado di governare gli uomini, evitando loro il reciproco annientamento.

Ma ad oggi si può ancora parlare di Stato? E se sì, in che modo?

Le persone si sentono sempre più sole, sempre più abbandonate e non hanno più fiducia nelle istituzioni. Il senso di insoddisfazione e frustrazione che negli ultimi anni si è impossessato della vita di tutti, sta avendo ripercussioni preoccupanti nella società.

L’appartenenza è un sentimento insito in ognuno: che sia l’appartenenza ad un’associazione, ad un partito politico, o a qualsiasi altro “luogo” capace di dare un ruolo al singolo.

Quando questo di appartenenza viene meno subentra un sentimento di spaesamento, di solitudine, di impotenza e di caos interiore. Purtroppo in molti fanno i conti con tutto questo ogni giorno e sono sempre di più quelli che non riescono ad immaginare un futuro di fronte a loro.

Weber parla di Gesinnungsethik Verantwortungsethik, laddove la prima è la cosiddetta etica dei principi, mentre la seconda è l’etica della responsabilità. Tuttavia nessuna può essere considerata “l’etica più giusta”, ma le due dovrebbero convivere, proprio come l’Eros e il Thanatos di Freud, per mantenere in essere il giusto equilibrio.

Riprendendo la domanda sulla guerra, è lecito chiedersi se ad oggi ci sia effettivamente un reale problema degli equilibri.

Qual è il confine tra l’operare per uno scopo finale ritenuto moralmente corretto e il non operare verso quello scopo, se i mezzi da impiegare sono moralmente scorretti?

Si rischia l’escalation di un essere umano ego-centrato, legittimato da chi, sentendosi passivo e disorientato, gli dà potere.

Se quest’ultimo si sente insoddisfatto e senza futuro, vedrà nella guerra un’occasione di rinnovamento. Proverà un senso di eccitazione di fronte alla possibilità della scoppio della stessa, ma non sarà ugualmente incuriosito se ne verrà colpito.

Tornano quindi i concetti di autoconservazione e distruzione.

Se l’essere umano non riesce a mantenere un equilibrio all’interno della sua quotidianità, se non riesce ad essere presente per se stesso e per gli altri, avrà bisogno di cercare al di fuori di quell’equilibrio una sua collocazione.

Cercherà lo scontro quando percepirà l’incapacità della pace, di rispondere ai suoi bisogni.

In un trattato del 1919 Weber scrisse che: “Dopo una qualsiasi guerra vittoriosa, il vincitore afferma con una tracotanza priva di dignità: ho vinto perché avevo ragione.”

Dopo una qualsiasi guerra vittoriosa, il vincitore afferma con una tracotanza priva di dignità: ho vinto perché avevo ragione

Max Weber, sociologo

Se il fine giustifica il mezzo, allora viene meno quell’equilibrio di cui si parlava poco fa.

Se la guerra viene utilizzata come strumento per cercare una motivazione per andare avanti, se viene identificata come quella scarica di adrenalina necessaria, se rappresentasse davvero quella mancanza che l’essere umano percepisce, non sentendosi più padrone della sua soddisfazione, allora il problema è serio e va affrontato.

Se il soggetto non trova più la motivazione per sentirsi parte di una comunità, vedrà nella guerra la giusta alternativa per sopperire a quella mancanza.

C’è bisogno di rileggere la vita secondo un’ottica non più di consumo, ma di opportunità. Darsi quindi la possibilità di tornare ad essere soggetti attivi nella vita di tutti i giorni. Vita che va vissuta insieme agli altri e non contro di loro.

Più che rincorrere la pace nel mondo, bisognerebbe ricostruire la pace interiore; pace fondata non solo sulla tranquillità, ma sulla percezione di avere opportunità e possibilità.

Solo apprezzando la vita nel suo senso più profondo e solo allontanandosi dalla sopravvivenza, si potrà vedere la guerra per quello che è: il punto più basso a cui l’essere umano potrebbe arrivare.