La Femmina italiana: uno stereotipo abusato

In Italia, c’è chi ancora associa il concetto di “femminile” a quello di “apparenza”. Così, oggettifica la donna e ne svilisce i diritti. La situazione è molto preoccupante quando si considerano i suoi diritti sessuali: secondo uno studio di Amnesty, il consenso femminile a un rapporto sessuale non è necessario mentre lo stupro può essere giustificabile. 

Di Carlotta Zaccarelli, articolista e traduttrice dell’Agenzia di Stampa Giovanile

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Nel corso di una sua recente intervista radiofonica, lo psichiatra e psicoterapeuta Raffaele Morelli ha dichiarato che “la donna è la regina della forma” e che “la donna suscita il desiderio. Guai se non fosse così!”. Alcuni giorni dopo, Michela Murgia lo interroga sul significato di quelle sue affermazioni. Morelli risponde rievocando il contesto più ampio in cui sono state fatte: stava parlando del femminile, “il luogo che trasmette il desiderio e della sua centralità nel processo evolutivo della donna”. Murgia incalza per capire meglio, Morelli batte in ritirata perché non riesce a spiegare bene cosa vogliano dire le sue stesse parole. Ne nasce una lite. Morelli insulta Murgia e, alla fine, lascia la conversazione in malo modo. 

Si potrebbe commentare l’accaduto in mille modi e da mille prospettive. La più importante è probabilmente quella che riflette sulla definizione di “femminile”.  Morelli non si stava inventando nulla mentre spiegava che il femminile è fondamentale per la realizzazione della donna: esistono numerosi testi psicologici (come questo) che sostengono esattamente quella tesi. Morelli stava però facendo un discorso sbagliato, riduttivo, sessista, offensivo quando confinava il femminile alla forma. Le sue parole dicevano chiaramente che il femminile è una questione di vestiti, di bambole, di attrazione fisica, di piacere. Nulla dicevano delle risorse intellettuali e delle abilità psicologiche che il femminile regala alla donna (sia lei biologicamente o psicologicamente tale). 

Un’idea simile del femminile corrisponde all’oggettivazione e allo svilimento della donna, dipinta come una bambola attenta solo al proprio aspetto e preoccupata solo dalla necessità di attrarre sguardi maschili. É una visione pericolosa, oltre che retrograda. E lo è soprattutto alla luce di quanto emerso da uno studio di Amnesty International Italia sul tema del consenso al rapporto sessuale

Un rapporto sessuale non fondato sul consenso è pertanto uno stupro. 

Amnesty parte dalla constatazione che avere un rapporto sessuale deve essere una scelta libera, volontaria e informata di entrambi i partner. Entrambi i partner devono poter esprimere liberamente la propria volontà di stare insieme all’altro. Il consenso consiste nel dire in modo esplicito di voler fare quell’esperienza. Un rapporto sessuale non fondato sul consenso è pertanto uno stupro. Eppure, in Italia c’è chi non crede che sia così. 

Il sondaggio di Amnesty sottolinea infatti che il 31% della popolazione italiana crede che la donna dica di no “solo per farsi desiderare”. E quando il rifiuto della donna al rapporto sessuale è esplicito – ossia quando avviene uno stupro, il 32% lo giustifica se la donna ha fatto uso di alcolici, se ha avuto atteggiamenti intimi prima della violenza, se non ha detto esplicitamente di no. E si rincara ancora la dose, perché il 39,3% degli intervistati sostiene che “se davvero lo vuole, una donna può evitare lo stupro”, il 23,9% che “se l’è cercata: guarda com’era vestita” e il 6,2% che “le donne serie non vengono stuprate”. Addirittura un 10,3% è convinto che “spesso le accuse di violenza sessuale sono false”. 

Insomma, in Italia è naturale che una ragazza ubriaca in discoteca, un’altra non ancora pronta o sicura di voler stare con un partner, una terza incapace di urlare “no” siano abusate. È logico che la donna che nega il suo consenso lo faccia per gioco. È assai probabile che la donna che denuncia una violenza sessuale lo faccia per ripicca, per esagerazione, per vendetta. 

In realtà, tutto questo significa una cosa sola: in Italia, lo stupro è normalizzato a meno che non sia un atto visibilmente violento. La legislazione italiana segue questo solco. Il nostro codice penale definisce “violenza sessuale” solo quegli atti basati su violenza, forza, minaccia, coercizione. La necessità del consenso non è considerata, nonostante l’Italia sia tra gli Stati in cui è valida la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (o Convenzione di Istanbul). È, questa, il primo trattato internazionale mirato a prevenire e punire la violenza subita dalle donne. Afferma che qualsiasi violazione della donna, dei suoi diritti e del suo benessere è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. Il suo Articolo 36 definisce in modo esplicito che l’atto sessuale non consensuale è una forma di violenza (sessuale) da perseguire. Cosa che in Italia non accade, appunto perché la legge non prevede che un atto non consensuale sia paragonabile a uno stupro. 

Sono considerazioni preoccupanti da inserire in un contesto ancora più preoccupante. Gli ultimi dati disponibili sul femminicidio e sulla violenza di genere (febbraio 2018) hanno sottolineato che circa la metà degli imputati per questi reati sono assolti. Le vittime rimangono spesso le uniche colpevoli di aver indossato una minigonna, di aver cambiato idea troppo tardi, di essersi lasciate andare. 

Occorre cambiare le cose. A livello legislativo, è necessario il pieno riconoscimento dei diritti sessuali delle donne. Tradotto: la legge deve punire anche gli abusi sessuali causati dal mancato consenso. Ma serve una svolta pure culturale, perché ci si lasci finalmente alle spalle lo stereotipo secondo cui l’essere umano femminile è un oggetto a disposizione costante del piacere maschile. Sono passi urgenti e profondamente collegati: la legge non ammetterà mai la necessità del consenso se, prima, la società non accetterà che una donna è libera di negarsi. Sono passi urgenti e profondamente collegati alla dignità umana: nessuna persona può essere veramente rispettata finché i suoi diritti sessuali sono violati. 

Per chi volesse fare un passo oltre Morelli, Amnesty International Italia ha lanciato la campagna #Iolochiedo per chiedere l’introduzione del consenso al rapporto sessuale nel codice penale italiano: si può firmare qui.