La COP28 si conclude con un accordo
Con un solo giorno di ritardo si è conclusa la ventottesima edizione della Conferenza ONU sul Clima. A Dubai è stato raggiunto un accordo, ma è veramente soddisfacente?
di Ilaria Bionda
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Il 13 dicembre 2023 sarà una data da ricordare per i negoziati sul clima e, si spera, per il futuro del nostro Pianeta. Nelle prime ore della mattina di mercoledì, a Dubai, è stato raggiunto l’accordo sul documento finale della ventottesima edizione della Conferenza ONU sul clima, Cop28.
Il momento dell’accordo
È stata questione di attimi. Il documento, atteso in realtà per la serata del giorno precedente (i negoziati, infatti, da calendario ufficiale avrebbero dovuto concludersi il 12), è stato pubblicato alle ore sei, dopo un’intensa notte di lavoro per i delegati alle prese con la prima, insoddisfacente, bozza. La plenaria di condivisione e confronto del testo era fissata per le 9.30. Pochi minuti dopo era tutto finito, la plenaria, la Cop28, la decisione per il futuro del Pianeta. Il testo – dal titolo First global stocktake, che corrisponde al primo bilancio dei progressi fatti rispetto all’Accordo di Parigi del 2015 – ha ricevuto il consenso unanime di tutti i 197 Paesi membri dell’UNFCCC più la rappresentanza dell’Unione Europea ed è quindi stato approvato.
Un notevole passo avanti
Si tratta, questa, di una svolta storica per un motivo importante: per la prima volta i fossil fuel, i combustibili fossili, sono entrati in un accordo di tale portata. In ventotto edizioni di Cop mai erano stati citati, e il ruolo cruciale di essi nella crisi climatica sembrava quindi non riconosciuto, in secondo piano. Solamente a Glasgow, al termine della Cop26 del 2021, era stato menzionato il carbone. La presenza, quest’anno, del termine generale che comprende carbone, petrolio e gas è un notevole passo avanti. Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che tale traguardo sia stato raggiunto negli Emirati Arabi Uniti, uno dei Paesi maggiori esportatori di petrolio.
Non solo luci, anche ombre
Tuttavia, l’accordo di Dubai nasconde delle ombre che non lasciano spazio solo ai festeggiamenti, ma anche a profonde riflessioni. La vera domanda da porsi, dopo aver appurato l’entrata dei combustibili fossili nelle trattative è “come?”. Come, quindi, carbone, petrolio e gas sono stati inseriti nel testo? Quali gli impegni da parte dei Paesi in questo ambito?
È necessario sottolineare che in documenti di questo tipo è cruciale il linguaggio che viene utilizzato. Le ore e ore di negoziazioni tra delegati e delegate, prima della pubblicazione del testo finale, avvengono proprio sulla scelta delle parole da utilizzare e sull’organizzazione delle frasi all’interno dei blocchi testuali che vanno a comporre il documento. All’interno della Cop28, non si è dibattuto tanto sull’ingresso del termine combustibili fossili (che comunque, ripetiamolo, è una grande conquista), quanto su come comportarsi con essi.
Transitioning away
La discussione si è incentrata largamente sull’inserimento del cosiddetto phase out, ossia l’eliminazione totale, seppur graduale, di petrolio, gas e carbone; negli accordi precedenti si era, invece, parlato di phase down, ossia della sola riduzione di essi. In questi ultimi tredici giorni erano molte le parti a spingere per l’utilizzo del termine phase out, che però non è arrivato. L’espressione utilizzata è stata l’inedita transitioning away che si può tradurre in italiano con fuoriuscita progressiva. Un termine che lascia spazio all’interpretazione, soprattutto per l’assenza di una data entro la quale mettere in atto questa – indebolita – eliminazione.
Un punto cruciale in documenti di questo tipo è difatti anche la presenza, o meno, di date che risultino termini entro i quali agire. L’assenza di esse risulterebbe come un nulla di fatto, come un impegno preso ma senza alcun termine. In questo caso è presente la data del 2050, entro la quale l’obiettivo è quello del net zero, ossia dello zero emissioni. Ma rimane tutto un po’ vago ed è proprio su questo punto che molti dei commenti ai risultati della Cop28 si sono ancorati.
Le reazioni all’accordo
Come per ogni momento cruciale, infatti, sono arrivati i commenti da tutto il mondo. Al Jaber, Presidente della Cop28, lo ha definito chiaramente un “momento storico”, galvanizzato dai 3 minuti di applausi che hanno seguito il consenso all’accordo e dalla probabile sensazione di riscatto rispetto alle direzioni non positive che stava prendendo la Conferenza di Dubai. Dalla società civile, dall’Unione Europea, così come da molti dei Paesi più vulnerabili, invece, emerge una contentezza più mite. L’accordo viene sicuramente visto come un passo avanti, come un riconoscimento fondamentale, ma non sono in pochi ad ammettere che non si tratta dell’accordo “di cui si aveva realmente bisogno”.
Sono ancora presenti molte delle cosiddette “false soluzioni” – tra cui la cattura del carbonio e i combustibili di transizione – che sono definite “distrazioni” che allontanano dal vero obiettivo di eliminare completamente i combustibili fossili. Inoltre, poco è stato approfondito riguardo i temi chiave di finanza climatica e adattamento ai cambiamenti climatici, così come sull’approccio differenziato alla transizione energetica, una richiesta del Sud del mondo per i quali passare alle rinnovabili non è cosa da poco.
Un compromesso
In sintesi, l’accordo di Dubai è un compromesso, che non scontenta del tutto nessuna delle parti. Da un lato i Paesi maggiori produttori ed esportatori di petrolio ai quali era inviso il phase out, dall’altro gli altri Paesi e la società civile che invece premevano per un’eliminazione totale. È comunque un accordo che arriva in quello, il 2023, che è l’anno riconosciuto da evidenze scientifiche come il più caldo mai registrato. Un accordo, dunque, da cogliere nei suoi lati positivi, come il passo avanti che si può e si deve fare, se si decide veramente di collaborare.
Articolo pubblicato su Il T quotidiano del 14 dicembre 2023.