Ripensare la moda

Quando si parla di crisi climatica, raramente si pensa alla moda. Eppure, è la seconda industria più inquinante al mondo. Ma c’è una buona notizia: tu puoi fare la differenza e noi ti diciamo come.  

Di Veronica Wrobel, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile 

Tradotto da Carlotta Zaccarelli

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Sapevi che le emissioni di gas serra prodotte dalla produzione tessile ammontano alla somma delle emissioni dei voli internazionali e delle navi? Sì, hai capito bene: l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di anidride carbonica e se nulla cambierà, la cifra aumenterà fino a raggiungere il 26% nel 2050. Significa che tra trent’anni la produzione tessile emetterà un quarto dell’anidride carbonica prodotta a livello globale. Inoltre, il fashion usa incredibili quantità d’acqua nella fase di produzione e colorazione e gran parte dei capi contribuiscono a inquinare gli oceani con la plastica.

Ti chiedi come un solo settore industriale possa avere un impatto così distruttivo sul nostro pianeta? La maggior parte degli indumenti è fatta di poliestere o altri materiali sintetici. Prova a guardare ciò che indossi e che tieni nel tuo armadio. Molto probabilmente, i tuoi vestiti sono fatti (del tutto o in parte) di poliestere. Nell’ultimo secolo, i materiali sintetici sono diventati molto popolari e sono oggi i meno costosi, ma anche i più inquinanti perché prodotti del carbon fossile. Quindi, ecologicamente parlando, sono il peggior materiale che si possa usare sia per la grande quantità di anidride carbonica coinvolta nel loro processo di produzione sia per il loro lunghissimo tempo di decomposizione (più di due secoli). Questo significa che la tua maglietta di poliestere sarà ancora da qualche parte quando il tuo pro-pro-pro nipote nascerà. 

Altro fatto allarmante è il ruolo delle fibre sintetiche nell’inquinamento da plastica. Ogni volta che si lavano capi di questi materiali, particelle quasi invisibili si staccano dai tessuti e finiscono nell’acqua di scarico. I sistemi di filtraggio non sono in grado di catturare queste particelle, chiamate microplastiche, che finiscono nei fiumi e da qui negli oceani. Finiscono nei sistemi digerenti degli animali marini che ti mangi con tanto gusto, ritornando a te e chiudendo il cerchio.

Potresti pensare di comprare solo cotone, ma anche la cosa è quasi altrettanto deleteria. Anche se è una fibra naturale e compostabile, il cotone è una coltura che impiega moltissima acqua. Per produrre una maglietta, ci vogliono 2.700 litri di acqua: in prospettiva, è quanto bevi in due anni e mezzo.

In sintesi, la maggior parte della produzione tessile sta distruggendo il nostro pianeta. La quantità di risorse usate nel settore è una grossa parte del problema, ma una questione ancora più urgente è il consumo individuale medio nei Paesi occidentali. Solo negli ultimi vent’anni, la domanda è cresciuta del 60%. Siamo una società assuefatta al fast fashion, la moda rapida per cui marchi come H&M e Zara lanciano una nuova linea ogni settimana – 52 nuove linee in un anno! La qualità peggiora con l’abbassarsi del prezzo, ma questo ha determinato un giro d’affari più veloce e ampio per i marchi multinazionali: la loro strategia è venderti indumenti che durano circa una stagione così da creare continuamente domanda.  

Fortunatamente, negli ultimi anni la consapevolezza di questo meccanismo è cresciuta e i consumatori sono diventati più attenti ai loro acquisti costringendo le grandi compagnie ad adeguarsi. H&M produce una “conscious line” dichiarando la volontà di muoversi verso un futuro più sostenibile: purtroppo, però, la linea “coscienziosa” costituisce meno dell’1% di ciò che il brand produce. Secondo la mia opinione, si tratta di una strategia di marketing – anche conosciuta come greenwashing, adottata anche da molti altri marchi: le multinazionali della moda distraggono i loro clienti concentrando la loro attenzione su un fatto positivo, mentre continuano il loro business come al solito. 

Non possiamo parlare di moda senza parlare anche di giustizia sociale. Ci dimentichiamo spesso che l’altra faccia della medaglia è quella di persone sfruttate nell’industria tessile, che le obbliga a 12 ore di lavoro consecutive (se non di più) 365 giorni all’anno in stabilimenti dove non c’è nessun tipo di controllo o protezione sindacale. Questi operai producono vestiti che persone privilegiate come me e te usano un paio di volte e poi buttano via.

Quindi, cosa puoi fare?

Il primo passo, quello che ha anche più impatto, è evitare di comprare nuovi vestiti. Se non crei domanda, puoi smettere di finanziare l’industria tessile coi tuoi acquisti. Ricorda che voti con ogni moneta che spendi. Evitare di comprare nuovi vestiti non significa evitare di comprare vestiti! Puoi ancora indossare capi alla moda facendo shopping in negozi di indumenti di seconda mano. O, ancora meglio, puoi cominciare a condividere i tuoi vestiti. Alle superiori ho sempre condiviso il mio guardaroba con le mie amiche ed ero felicissima quando ho scoperto che esiste un’app che permette di fare la stessa cosa. The Nu Wardrobe è stata appena lanciata a Londra per facilitare lo scambio di vestiti con altri utenti: è il posto giusto per trovare il vestito speciale per un’occasione speciale. Condividere i vestiti e indossare abiti di seconda mano significa non solo risparmiare soldi, ma anche contribuire a salvare il pianeta!

Il secondo passo è adottare una mentalità slow fashion. Se hai davvero bisogno di comprare qualcosa di nuovo, concentrati sulla qualità e acquista qualcosa che irradi gioia, come dice Marie Kondo. (Questa regola vale bene anche per i vestiti di seconda mano!). Spendere un po’ di più aiuta a risparmiare soldi nel lungo periodo, dal momento che gli indumenti saranno più resistenti. Cerca sempre fibre ecologiche come il bambù (rayon), canapa, lino, lyocell (o tencel) – che sono migliori anche sulla tua pelle perché sono composti di fibre naturali che lasciano traspirare il corpo.

Terzo passo: informati e crea consapevolezza, ogni volta che puoi. Proprio come abbiamo bisogno di cibo, noi tutti abbiamo bisogno di vestiti per coprirci: tutti dovrebbero fare la loro parte. Puoi cominciare guardando il documentario The True Cost, leggendo articoli e condividendo le tue scoperte sui social media (sì, anche se i tuoi followers sono pochi!). Unisciti a un gruppo di attivisti o, ancora meglio, creane uno. Alza la voce e smetti di finanziare l’industria della moda coi soldi che hai impiegato tanto per guadagnare. Condividi i tuoi abiti e smetti di comprarne di nuovi. E se vuoi cambiare davvero la tua vita, impegnati a non comprare nuovi indumenti o tessuti per 52 settimane. Qualsiasi cosa tu faccia, FALLA ORA!

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