Le parole tra noi accoglienti

I 10 comandamenti della comunicazione non ostile sono piccole regole di stile utili a migliorare il comportamento di chi sta in rete e a combattere le fake news. 

Di Rita Qualtieri, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile

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Quando ho pensato come poter presentare Il Manifesto della comunicazione non ostile, ho recuperato nella memoria un verso di Eugenio Montale che recita così:

Le parole tra noi leggère cadono.

Ti guardo in un molle riverbero.

È in questo modo che mi piace immaginare la comunicazione reale e virtuale tra le persone, come una danza di parole delicate che possono adagiarsi al suolo, lasciando spazio anche al silenzio comunicativo e a sguardi illuminati. Sì, perché la parola illumina e non nullifica, accoglie e non annienta, impreziosisce e non svilisce. 

Il Manifesto della comunicazione non ostile nasce proprio dalla volontà di rendere la comunicazione virtuale leggera (non superficiale), leale, grata per le opportunità di conoscenza e di scambio che la rete offre. È frutto di un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza di parole che spesso nel web indossano il passamontagna dello schermo e aggrediscono e feriscono gli interlocutori, incuranti degli effetti rovinosi sull’area emotiva delle vittime. 

Il Manifesto è promosso dall’associazione no-profit Parole Ostili, nata nel 2016 a Trieste dalla volontà di docenti, manager, filosofi, educatori ed esperti di comunicazione social media che hanno messo a disposizione dei cittadini le proprie competenze e il proprio entusiasmo per rendere il mondo della rete “un pianeta socialmente sostenibile”, basato su princìpi di etica e di morale espressiva. 

Il leitmotiv ispiratore risiede in una rappresentazione linguistica che esclude categoricamente qualsiasi espressione di odio, di rifiuto e di emarginazione, aprendo il linguaggio ad un percorso di ospitalità e di confronto disteso e costruttivo, laddove il fluire del pensiero è finalizzato alla crescita più raffinata. In buona sostanza, il Manifesto può essere concepito come una sorta di “Zona di Sviluppo Prossimale” del pedagogista russo Vygotskij, ovvero un sostegno per ottenere il più corretto ed esteso livello di sviluppo potenziale della comunicazione. 

La ricaduta nella sfera sociale è corposa: l’attenzione oggi rivolta all’hate speech è altissima e mira all’affermazione di una pedagogia dell’espressione capace di generare benessere interiore e relazioni civili e democratiche. In ragione di tali presupposti, il Manifesto, con la discrezione incisiva che lo connota, ha conquistato ampie fette di interesse negli ambienti della pubblica amministrazione, dell’istruzione, della politica e della sfera scientifico-intellettuale. A questi ambiti Parole Ostili ha dedicato specifiche versioni utilizzabili come canovaccio di riflessione collettiva e di orientamento verso una comunicazione consapevole e fruttuosa. 

Nel suo cammino, il documento ha incontrato i favori di scrittori e intellettuali che hanno consolidato il valore sociale dei suoi dieci princìpi costitutivi, invitando la comunità virtuale ad applicare modelli di scambio sempre più responsabili. Il tessuto sul quale è stato imbastito tende a favorire la realizzazione di “ponti di mediazione espressiva” in grado di sciogliere le tensioni verbali nella rete, di abbattere i muri invisibili dell’intolleranza e di seminare piantagioni di parole accoglienti che trasformino la relazione con l’altro in un incontro profondo

Ed è il secondo “comandamento” del manifesto a restituire contezza dell’immensa responsabilità di cui siamo portatori durante l’atto comunicativo: “Si è ciò che si comunica”. Le nostre parole ci appartengono intimamente e consegnarle agli altri non ci priva della proprietà. Trasferiamo con esse un frammento della nostra personalità dentro la struttura collettiva che noi contribuiamo a determinare. 

Le nostre parole ci rappresentano, pennellano sulla tela del mondo reale e virtuale i tratti della nostra essenza e del nostro pensiero, come sostiene Erich Fromm in Avere o Essere?, dove viene spiegato quanto il preciso utilizzo sintattico e lessicale del linguaggio sia capace di provocare cambiamenti sostanziali nel processo di maturazione individuale. L’esercizio ad una comunicazione propositiva crea legami peculiari nell’impianto del pensiero umano orientato all’accettazione e all’inclusione delle posizioni altrui con cui ricostruire una nuova “ermeneutica del linguaggio”, quella fusione di orizzonti predicata dal filosofo tedesco Gadamer, atta a concretizzare una società civile e solidale. 

Il quinto comandamento del Manifesto sintetizza con prorompente efficacia la necessità esistenziale di un cambio di registro linguistico: “Le parole sono un ponte per scavalcare il filo spinato dell’indifferenza e dell’individualismo. 

Il Manifesto è un testo rivoluzionario per la semplicità dei suoi nuclei fondanti. Vuol porre l’accento sulla forza creatrice della parola e sulla necessità che questa sia sempre strumento ed espressione di gratitudine e di riconoscenza come la Poesia dei doni di Borges ci insegna. La scommessa del Manifesto è che ciascuno, mediante le proprie parole, possa sempre aggiungere un verso alla sua straordinaria opera: Ringraziare voglio…