“Generalmente frustrante”

Questo è il verdetto degli esperti sul clima su ciò che è – e non è – cambiato dalla COP27. Si stanno gettando le basi fondamentali per il fondo loss and damage. Però, quest’anno, dovrebbero essere approvati 43 miliardi di barili di giacimenti petroliferi.

Di Lottie Limb

Traduzione di Chiara Carra

Articolo tratto da: euronews.com, consultabile qui in lingua originale

Sono passati sei mesi dalla COP27, da quando i leader mondiali e i delegati si sono incontrati per concordare un aggiornato piano per frenare il cambiamento climatico. I titoli dei giornali durante quelle intense due settimane in Egitto sono stati dominati dalle discussioni su un fondo per perdite e danni per risarcire i paesi in via di sviluppo colpiti dai disastri ambientali. Le speranze degli attivisti sono state alimentate dal fatto che la questione sia entrata nell’agenda già all’inizio del vertice sul clima delle Nazioni Unite.

Ma non c’è stato spazio per rilassarsi fino a quando, domenica 20 novembre, non è caduto il martelletto finale, a conferma che i termini di questo fondo a lungo cercato sono stati accettati da tutti i blocchi.

“È stata una vittoria incredibile ottenere quel risultato”, ricorda Teresa Anderson, responsabile della giustizia climatica presso l’ente benefico per la povertà e l’ingiustizia ActionAid, “Finalmente sembrava che l’UNFCCC stesse facendo quello che doveva fare”.

Ma meno lacrime di sollievo sono state invece versate per l’accordo più ampio – il “Piano di attuazione di Sharm el-Sheikh” – che non è riuscito a imporsi sull’uso dei combustibili fossili. Tuttavia, ci sono state altre vittorie oltre alla svolta in ambito perdite e danni.

Ero alla COP ed è stata piena di drammi di alto livello, oltre che di fruttuosi accordi collaterali, discorsi produttivi nei padiglioni e vivaci proteste. A metà strada tra la COP27 e la COP28 a Dubai, che si terrà alla fine di novembre 2023, facciamo il punto sui progressi compiuti finora e su ciò che deve ancora accadere sulla strada per un accordo sul clima più sicuro.

Quanto è stato significativo il fondo loss and damage concordato alla COP27?

Il finanziamento per perdite e danni è stato inizialmente richiesto nel 1991 dal primo presidente dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS). “Questa è la durata di una richiesta”, afferma Michai Robertson, negoziatore finanziario senior di AOSIS, confrontando i 31 anni necessari alla creazione di questo fondo con il tempo necessario per diventare un adulto.

Ma il nuovo fondo deve ancora lasciare il segno dove è più necessario: “Una persona a un paio di miglia da me [ad Antigua e Barbuda] non capirebbe ancora la gravità e non sentirebbe l’impatto di questi accordi di finanziamento”, dice a Euronews Green. “Ma in un certo senso si pone la domanda: se solo avessimo deciso un accordo simile 30 anni fa?”

Il fondo loss and damage, prima di essere realizzato in modo più completo alla COP27, era già stato trattato nelle conferenze precedenti e alcune soluzioni erano state abbozzate. Ad esempio, alla COP25 nel 2019 è stato istituito “The Santiago Network” con l’obiettivo di fornire assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo per far fronte a perdite e danni. Questo è stato inquadrato come un precursore dell’effettiva implementazione delle attività del fondo, come spiega Robertson, tra cui creare strumenti per quantificare perdite e danni o eseguire studi di fattibilità per comprendere gli aspetti economici o sociali di una determinata azione.

Dopo alcuni anni nell’entroterra politico dell’UNFCCC, la rete è stata finalmente adeguatamente istituita alla COP27, con le parti che hanno concordato di creare un comitato consultivo diversificato e reale.

“[Perdite e danni] è uno spazio strano a cui pensare”, aggiunge Robertson. Una sua ex collega, la professoressa Lisa Vanhala dell’University College di Londra, il mese prossimo terrà una conferenza sull’argomento intitolata “governare la fine”. La frase gli è risuonata, poiché riassume l'”arte realistica” di sperare nel meglio mentre si pianifica per il peggio.

“Ci saranno perdite e danni che accadranno, che sono irreversibili, che stanno accadendo”, dice, e “un approccio ordinato e cooperativo è l’unico modo per affrontarli”.

Quanto tempo ci vorrà per far funzionare il fondo per perdite e danni?

Il piano è quello di rendere operativo il nuovo fondo durante la COP28. A tal fine, è stato nominato un Comitato di Transizione (CT) incaricato di proporre come il fondo funzionerà esattamente.

 Il primo incontro a Luxor, in Egitto, alla fine di marzo, è stato relativamente tranquillo, un buon segno di fiducia secondo gli attivisti. Sebbene non sia qualcosa di sensazionale, sono state prese decisioni procedurali necessarie.

“Dopo sei mesi, non hanno completato il 50% del lavoro necessario; hanno fatto un quarto o anche meno”, dice Anderson, “Ma è stato probabilmente saggio che abbiano dedicato la prima sessione a esaminare a fondo il panorama delle risposte al cambiamento climatico, delle necessità e delle diverse modalità di finanziamento e azione”.
Sono previsti altri tre incontri del Comitato prima della COP28, che offriranno spazio per formulare ulteriori raccomandazioni cruciali, come ad esempio quali paesi contribuiranno e beneficeranno del fondo.

Tuttavia, coloro che si impegnano per la giustizia climatica non possono avere semplicemente “fiducia cieca” che i paesi sviluppati si muoveranno alla velocità e nella misura necessarie.
O che il settore privato si presenterà come richiesto. Una discussione obbligatoria sul suo ruolo è in arrivo, ma, chiede Robertson, “perché queste aziende non si presentano spontaneamente a dire: ‘Vediamo che state cercando di creare questo fondo. Riconosciamo il nostro ruolo da una prospettiva di solidarietà globale, vogliamo collaborare, ecco alcuni impegni iniziali che stiamo prendendo come entità del settore privato’.

“Non credo che ci sia mai stata una tale narrazione – su di loro che lo facciano di loro spontanea volontà – che abbia davvero preso piede nel pubblico più ampio”.

In quale altro modo sono progrediti i finanziamenti per il clima?

Un’altra grande parte dell’agenda del CT riguarda le modalità di finanziamento: si cerca di capire come il nuovo fondo si inserirà nell’ecosistema più ampio del finanziamento climatico.

Qui, i paesi in via di sviluppo sono ansiosi di evitare di ripetere le stesse vecchie conversazioni sulla necessità del fondo per perdite e danni. “Se finora non hanno capito quali sono le lacune, allora sono più stupidi di quanto crediamo”, afferma Anderson.

“Perché tutti sappiamo che il Fondo Verde per il Clima è lì per fornire finanziamenti per la mitigazione e l’adattamento. E sappiamo che i finanziamenti umanitari sono lì per fornire fondi subito dopo un disastro”.

Il Fondo Verde per il Clima (GCF) è il fondo climatico più grande del mondo, istituito nel 2010 ha acquisito maggiore importanza dopo l’Accordo di Parigi nel 2015. Ha lo scopo di sostenere i paesi in via di sviluppo nella riduzione delle emissioni e nell’adattamento ai cambiamenti climatici.

Il fondo Loss and damage copre molti altri impatti economici e intangibili che le crisi climatiche causano ai paesi vulnerabili. Dagli eventi a insorgenza lenta come l’aumento del livello del mare che consuma le coste e i mezzi di sussistenza, alla degradazione della dignità, della biodiversità e persino della sovranità.

Attualmente, il GCF sta chiedendo ai paesi una terza serie di promesse per rimpinguare il fondo istituito nel 2010. Gli Stati Uniti hanno annunciato di recente un contributo aggiuntivo di 1 miliardo di dollari (circa 90 miliardi di euro): il loro primo contributo in sei anni. Mentre Robertson, anche lui a favore del GCF, è “contento di vedere il segnale”, ma afferma che non è ancora chiaro se il miliardo sia un nuovo impegno da parte di Biden o una parziale adempimento dei 3 miliardi promessi da Obama e disattesi da Trump.

All’inizio del mese di maggio, la Germania ha promesso 2 miliardi di euro: la più grande contribuzione singola nella storia del Fondo. Nel frattempo, le nazioni ricche sono destinate, quest’anno, a soddisfare il loro ritardato impegno di 100 miliardi di dollari di finanziamenti climatici ai paesi in via di sviluppo, con tre anni di ritardo rispetto a quanto promesso.

“È sinceramente imbarazzante che non sia stato ancora possibile mobilitare questi soldi, soprattutto tenendo conto che in realtà, quando si è onesti, abbiamo bisogno di trilioni”, ha detto Dan Jorgensen, ministro danese per la politica climatica globale e lo sviluppo, a Reuters. Un nuovo obiettivo collettivo sul finanziamento climatico è attualmente in discussione e dovrebbe essere deciso entro novembre 2024.

Quali progressi sono stati compiuti a favore di una transizione giusta?

Uno degli altri primati notevoli della COP27 è stata la creazione di un “programma di lavoro per una transizione equa”, abbreviato JTWP. Si tratta di un flusso di lavoro dedicato che esamina come il passaggio all’energia pulita, nell’ambito dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, possa procedere in modo equo, affrontando anziché aggravando le disuguaglianze.

“C’era un elemento che era trasversale a tutto per noi, ed erano i percorsi di transizione equa”, ha detto Mohamed Nasr, negoziatore capo sul clima dell’Egitto, ai giornalisti nel mese di marzo.

“Abbiamo parlato molto di ridurre, eliminare, incrementare gradualmente e tutte queste belle fasi, ma non siamo passati oltre la fase di esaminare i fattori abilitanti di queste transizioni. E da nostro punto di vista, un programma di lavoro per una transizione equa era molto necessario.”

I “tavoli rotondi ministeriali di alto livello” annuali fanno parte del piano, con il primo che si terrà alla COP28 l’anno prossimo. I copresidenti di una consultazione informale dello scorso mese hanno segnalato di essere “molto soddisfatti dell’attiva partecipazione delle Parti” finora.

La prossima conferenza intersessionale sul cambiamento climatico a Bonn, nel mese di giugno, fornirà una maggiore struttura al JTWP.

“Una transizione equa ha il potenziale di attrarre realmente le persone verso il cambiamento anziché costringerle ad esso”, afferma Anderson. Anche Nasr ha parlato della necessità di un approccio basato sulla “carota” piuttosto che sul “bastone” per persuadere i paesi a seguire un percorso allineato a 1,5°C. “Deve essere accelerata, ma si tratta di una transizione equa – sociale ed economica, nell’ambito del cambiamento climatico”, ha detto.

La Confederazione Sindacale Internazionale (CSI) è in contatto con i negoziatori governativi e chiede un JTWP che coinvolga attivamente i sindacati. “La decisione della COP27 fa riferimento al ‘dialogo sociale’, che significa coinvolgere le organizzazioni che rappresentano i lavoratori. Il JTWP che verrà deciso alla COP28 dovrebbe includere la rappresentanza dei lavoratori”, afferma Bert De Wel, negoziatore di politiche climatiche globali della CSI.

La COP28 vedrà finalmente una progressiva eliminazione dei combustibili fossili?

La COP27 non è riuscita a intervenire sui combustibili fossili. Nonostante un’alleanza di oltre 80 paesi che cercava di dichiarare la progressiva eliminazione di tutti i combustibili fossili, l’accordo si è limitato a mantenere l’intesa raggiunta alla COP26 per ridurre gradualmente il carbone. Questo potrebbe essere in parte attribuito all’influenza dei 636 lobbisti dei combustibili fossili che hanno partecipato al vertice, un numero superiore al totale combinato dei dieci paesi più colpiti dal cambiamento climatico.

“Un numero sempre maggiore di paesi sta spingendo affinché la COP28 richieda una progressiva eliminazione equa di tutti i combustibili fossili. Questa sarà una delle principali battaglie alla COP28”, afferma Kelly Trout, co-direttrice della ricerca presso Oil Change International (OCI), a Euronews Green.

“Dove la COP27 non è riuscita a chiedere una rapida e equa eliminazione della produzione e dell’uso di combustibili fossili, la COP28 deve riuscirci”.

Tuttavia, sono stati sollevati dubbi sulla probabilità che gli Emirati Arabi Uniti, che ottengono la metà dei loro ricavi dai combustibili fossili, fornissero la leadership necessaria su questo fronte. Il presidente designato Sultan Al Jaber è stato criticato dagli attivisti per non aver rinunciato al suo ruolo di amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Adnoc, che ha grandi piani di espansione nel breve termine.

Mentre i Paesi continuano il loro lavoro vitale lontano dai riflettori della conferenza, l’industria dei combustibili fossili sta silenziosamente continuando con i suoi affari. Nel 2023, Rystad Energy (un’azienda di consulenza norvegese considerata lo standard di riferimento per i dati del settore) ha previsto che stavano per essere approvati nuovi campi per lo sviluppo contenenti 34 miliardi di barili equivalenti di petrolio. Ciò rappresenta quasi il doppio del volume di riserve approvate per lo sviluppo lo scorso anno, secondo OCI.

Sebbene le COP finora non siano riuscite a ridurre le emissioni a livello globale, sono stati compiuti progressi significativi con l’Alleanza Oltre il Petrolio e il Gas (BOGA). I membri fondatori di questa coalizione internazionale, fondata da Danimarca e Costa Rica, hanno promesso di porre fine all’estrazione di nuovi petrolio e gas e di fissare una scadenza in linea con gli obiettivi di Parigi per la produzione di petrolio e gas nel loro territorio. E BOGA ha guadagnato slancio nei mesi successivi alla COP27, con l’ingresso di Vanuatu nel mese di aprile.

Nel frattempo, i firmatari della Dichiarazione di Glasgow, ora nota come Partnership per la Transizione verso l’Energia Pulita, stanno (in parte) attuando il loro impegno di porre fine al finanziamento pubblico per progetti legati ai combustibili fossili.  Paesi come Canada, Regno Unito e Finlandia stanno già spostando 5,7 miliardi di dollari (5,2 miliardi di euro) all’anno fuori dai non rinnovabili, riporta OCI.

Le COP sono sufficientemente rapide per porre fine alla crisi climatica?

“È generalmente frustrante”, afferma Robertson riguardo al ritmo dei cambiamenti. “A causa del modo in cui prendiamo decisioni, basate sul consenso, e del processo multilaterale e dell’UNFCCC, devi davvero adattarti al ritmo della persona più lenta.”

Ma ciò conferisce anche una legittimità unica “che forse nessun altro processo al mondo” può ottenere, afferma. Come nell’attesa di 30 anni per un fondo per le Perdite e Danni: “circa 190 paesi si sono uniti per dire che sì, siamo d’accordo su questa via”.

I sostenitori stanno monitorando attentamente i dettagli delle discussioni durante questo periodo inter-COP. Tuttavia, comprendere il funzionamento altamente tecnico dell’UNFCCC non è un requisito indispensabile per agire sul clima. “In definitiva”, dice Trout, “il maggior impulso si trova ancora al di fuori del processo ufficiale dell’UNFCCC, con persone e comunità che combattono e bloccano nuovi progetti di espansione e spingono i propri governi ad agire.”

Quasi 6 mesi esatti dopo, a metà della COP27, centinaia di persone hanno marciato attraverso il luogo ufficiale di Sharm El Sheikh, un fatto senza precedenti nella storia dell’UNFCCC..

“Il pubblico esterno… ci ha aiutato molto, penso, a ottenere quella decisione [su Loss and Damages] a Sharm”, dice il rappresentante di AOSIS. “È stato molto merito dei media, della società civile e delle persone comuni sul campo che ci hanno dato quell’impulso. Quindi penso che continuare ad avere ciò alle spalle mentre mettiamo in pratica il nostro obiettivo sarà estremamente importante.” La potenza delle persone sarà essenziale per “rendere responsabili molti attori molto potenti” nei mesi e negli anni a venire, aggiunge.