COP28: La grande questione irrisolta, rendere operativo il L&D fund

È compito di questa COP discutere delle specifiche operative del Loss and Damage Fund così da portarlo in vita una volta per tutte. Le Parti della Conferenza saranno chiamate a raggiungere un accordo sui dettagli esecutivi a partire da dove collocare il fondo, come amministrarlo, chi vi deve contribuire e soprattutto chi ne potrà beneficiare.

Di Federica Baldo

Dalla COP27, quando è stato raggiunto l’accordo per istituire un fondo per perdite e danni (L&D Fund), ad adesso è passato un anno. Nel corso di questi dodici mesi è stato assegnato ad un ristretto comitato politico il compito arduo e complicato di lavorare ai dettagli operativi del fondo e creare una proposta di accordo da presentare alla COP28 di Dubai. 

Il comitato in questione, composto da 24 membri, è stato chiamato Transitional Committee ad indicare la necessità di transitare dall’accordo semplicistico quale quello siglato a Sharm el-Sheikh verso un accordo definitivo e compiutamente operativo che si auspica verrà adottato a Dubai. Dopo mesi di discussioni e numerose sedute di lavoro lo scorso 4 novembre il comitato ha pubblicato la versione finale della propria proposta che verrà posta al vaglio di tutte le Parti alla COP28.

Un processo complesso

Definire dei dettagli che mettano d’accordo 198 Parti alla COP28 non è affatto semplice. Svariate sono le questioni intorno alle quali sono emersi attriti, tra tutte la composizione della lista dei contribuenti e quella dei beneficiari. 

Nel primo caso la disputa vede da un lato i paesi in via di sviluppo che premono affinché la lista dei contribuenti includa esclusivamente quei paesi definiti sviluppati sulla base della classificazione elaborata nel lontano 1992. Dall’altra parte i paesi sviluppati sono dell’idea che il bacino di donatori debba essere ampliato andando ad includere anche quelle nazioni che, seppur nel ’92 si trovavano ancora ad uno stadio di sviluppo medio-basso, ad oggi e con il passare del tempo hanno raggiunto lo status di paesi ricchi ed industrializzati (basti pensare a realtà come Singapore, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Cina, India e così via). Questo nell’ottica di sforzi congiunti e per ripartire l’onere della spesa su più paesi, unire le forze e nondimeno ampliare la quantità di denaro a disposizione. 

Il secondo terreno di lotta riguarda l’elenco di paesi aventi diritto ad usufruire del fondo. L’accordo sul L&D Fund come lo si era firmato alla COP27 prevedeva una disposizione provvisoria per cui a beneficiare del fondo fossero solo i paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili (dove comunque non è stata ancora concordata alcuna definizione comune di vulnerabilità). Con il proseguo dei lavori i paesi sviluppati hanno adottato una posizione più stringente che intende includere solo i piccoli stati insulari e i paesi sottosviluppati. Dal canto loro invece i paesi in via di sviluppo si considerano tutti vulnerabili e rivendicano per tutti il diritto di accedere al fondo.

La proposta del Transitional Committee

Il lavoro della commissione ha prodotto la seguente proposta: ad amministrare il fondo sarà un board composto come illustrato nel grafico a torta qui sotto. A contribuire al fondo sono chiamate le nazioni sviluppate mentre le nazioni in via di sviluppo ad oggi ricche e industrializzate sono solamente “incoraggiate” a farlo ma niente di più. Tutte le nazioni in via di sviluppo potranno accedere al fondo fintantoché la loro condizione sarà compatibile con le procedure che il board stabilirà più avanti. Inizialmente e temporaneamente il fondo sarà ospitato all’interno del quartier generale della Banca Mondiale a Washington, ciò ha sollevato non poche polemiche da parte dei paesi in via di sviluppo per le alte tasse e la nota influenza ideologica e procedurale degli Stati Uniti sull’operato della Banca.  

Cosa succederà a Dubai?

Le delegazioni di tutte le Parti alla COP28 saranno chiamate a discutere della proposta presentata dal Transitional Committee. Lo scenario che ci auspichiamo si verifichi è quello che vede nessuna delle Parti dichiararsi contraria a quanto presentato (valendo la regola del consenso non è necessario che tutti si esprimano a favore ma è sufficiente che nessuno si dichiari contrario). Questo perché di fronte ad una qualsiasi opposizione sarebbe necessario riaprire le trattative e ciò vorrebbe dire sottrarre attenzioni, risorse e tempo dalle tante altre questioni presenti in agenda e rischiare di far arenare il negoziato. 

La proposta, per come è stata elaborata dalla commissione, pare abbia cercato il più possibile di posizionarsi a metà, quasi in bilico tra le richieste di uno e dell’altro gruppo. Dove accoglie le istanze di una parte, tenta di soddisfare in qualche modo anche l’altra. In questo senso non appare particolarmente ambiziosa né innovativa, tuttavia è comprensibile la scelta di sacrificare questi aspetti in nome della necessità che la proposta non venga rigettata.