Clima: per evitare la catastrofe è necessario un “big bang” sociale

di Roberto Barbiero, climatologo dell’Osservatorio Trentino sul Clima

Occorre essere realisti: la direzione presa potrebbe portarci alla catastrofe. Questa una delle tante riflessioni di John Schellnhuber, climatologo del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK). Dopo l’Accordo sul Clima di Parigi del 2015, nonostante l’allarme espresso già allora dalla comunità scientifica, nulla di sostanziale è stato fatto per un cambio di rotta che prevedesse una drastica diminuzione delle emissioni di gas serra. Il mondo non solo non va nella direzione giusta ma ci regala presidenti come Donald Trump negli Stati Uniti e Jair Bolsonaro in Brasile. Entrambi, addirittura, negano l’evidenza dei cambiamenti climatici e sono alla guida di Paesi di straordinaria importanza dal punto di vista economico e ambientale nella lotta alle conseguenze dei cambiamenti climatici.

L’aumento stimato fino ad ora della temperatura media globale è di circa 1°C rispetto al periodo pre-industriale. Al ritmo attuale di emissioni di gas serra le temperature a fine secolo (2100) potrebbero aumentare di circa 2,5°C-4,4°C. Peggio ancora: ci sono Paesi come Cina, Russia e Canada che viaggiano a ritmi che porterebbero l’aumento delle temperature persino ad oltre 5°C. Gli scienziati sono interessati quindi a capire cosa potrebbe accadere al nostro pianeta nel caso la direzione continuasse ad essere quella sbagliata. Nel progetto HELIX (High-Ended Climate Impact and Extremes) i climatologi hanno così indagato sulle conseguenze fisiche per il Pianeta proprio in funzione di diversi scenari di aumento della temperatura che sarà comunque generalizzato.

Ciò che preoccupa maggiormente è l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi. In particolare lo stress provocato sulla vita umana dall’aumento delle ondate di calore, spesso in presenza di elevata umidità. Con un aumento di 2°C le aree colpite da ondate di calore si estenderebbero rapidamente nel mondo e a 4°C porterebbero a conseguenze drammatiche nei Tropici, soprattutto in Africa, in Sud America e nel Sudest Asiatico.

Per quanto riguarda le precipitazioni si osserveranno comportamenti piuttosto variabili in futuro con aree che saranno caratterizzate da aumenti della frequenza di eventi di siccità, altri di pioggia intensa e altre zone che saranno più soggette ad entrambi i fenomeni. La percentuale di persone colpite da alluvioni passerà dagli attuali 54 milioni, nel caso di aumento delle temperature di 1,5°C, a 97 milioni, nel caso di aumento di 2°C, e ben a 211 milioni nel caso di aumento di 4°C.

Altro problema considerevole sarà l’aumento atteso del livello del mare che potrebbe diventare estremamente serio nel caso di collasso della piattaforma glaciale Antartica. Ad attirare maggiore attenzione sono le zone del Sudest Asiatico, in particolare il Bangladesh, che sono densamente abitate e in condizioni già di forte vulnerabilità ed esposizione. È infatti qui dove si combinano sia l’aumento del livello del mare sia la presenza di tempeste e di uragani più intensi.

Tra gli elementi analizzati dai ricercatori è stato sottolineato in particolare l’aumento dei rischi per la popolazione mondiale legati alla sicurezza alimentare che viene misurata in termini di disponibilità, accesso, stabilità e possibilità di utilizzo del cibo. Ancora una volta sono l’Africa e il Sud Est Asiatico a presentare i maggiori rischi. Già con un aumento di 2°C diverse zone del Pianeta raggiungeranno valori di vulnerabilità senza precedenti.

C’è un aspetto inquietante trattato da John Schellnhuber: i processi che osserviamo in conseguenza del cambiamento climatico non sono lineari e potrebbero raggiungere i cosiddetti tipping points, punti cioè di non ritorno. Il raggiungimento in futuro delle diverse soglie di aumento della temperatura, 1,5°C, 2°C, fino a 4°C, darebbe il via infatti a progressivi processi fisici irreversibili. Probabilmente per alcuni è già troppo tardi come per il processo di fusione del Mar Glaciale Artico, dei ghiacci della Groenlandia ma anche di quelli di montagne continentali come le Alpi.>Z

Ci sono anche modifiche in corso nella circolazione atmosferica globale che preoccupano. L’aumento anomalo delle temperature dell’Artico incide, ad esempio, nel comportamento della cosiddetta corrente a getto in quota che di fatto è responsabile del tempo che si osserva in Europa. Siccità anomale, come quella della primavera e dell’estate del 2018 nell’Europa settentrionale, e le intense piogge che hanno colpito l’Italia a fine ottobre, sono conseguenze attribuite proprio alle modifiche delle correnti a getto.

La situazione è quindi estremamente critica. Certo, si può intervenire ancora, non ci sono infatti impedimenti fisici alla riduzione delle emissioni di gas serra e la tecnologia disponibile sarebbe già di grande aiuto. Ma c’è bisogno di una volontà politica che deve trovare uniti tutti i Paesi in uno sforzo immane di cooperazione e di responsabilità. È quello che ci aspetteremmo qui a Katowice.

Perché invece i negoziati vanno molto a rilento e si osserva questa resistenza? Probabilmente il sistema economico e sociale in cui viviamo manifesta tutti i suoi limiti. E se fosse appunto sbagliato questo sistema? È la domanda che pone lo stesso Schellnhuber e alla quale risponde richiamando alla necessità di provocare un cambiamento sociale che potrebbe però non riuscire a fare la Conferenza ONU sul Clima.

Sta quindi a noi, alla società civile, proporre una “nuova narrativa del mondo” e a provocare un “big bang verso un cambiamento sociale” che garantisca condizioni migliori alla vita dell’uomo in questo Pianeta.