L’attivista kenyota Elizabeth Wathuti ha scritto una lettera per chiedere un sistema di “Loss and Damage”

Elezioni, la parola ai giovani sul “Loss and Damage”

Italian Climate Network sta facendo girare un questionario sul “loss and damage” rivolto ai giovani tra i 18 e i 30 anni in vista delle elezioni del 25 settembre. L’idea è nata dalla lettera dell’attivista kenyota Elizabeth Wathuti, che chiesto ai governi di stanziare dei finanziamenti per i Paesi poveri, i quali subiscono maggiormente l’impatto del cambiamento climatico pur non essendone i maggiori responsabili.

di Marianna Malpaga

“Le persone che hanno contribuito meno alla crisi climatica ne subiscono ora gli impatti peggiori. È una grave ingiustizia. Chiedo ai leader di agire ora e di fornire alle comunità in prima linea l’aiuto di cui hanno bisogno, stanziando i finanziamenti necessari per far fronte alle perdite e danni subiti”.

Cosa pensano le persone che hanno tra i 18 e i 30 anni di quest’affermazione, che mette nero su bianco l’annoso tema dei “loss and damage”? La citazione viene da una lettera scritta da Elizabeth Wathuti, attivista per il clima kenyota, ai capi di Stato e di governo, ed è stata ripresa a inizio agosto da Italian Climate Network, una rete online di attivisti e scienziati diffusa in tutta Italia, che in queste settimane sta facendo girare un questionario per chiedere ai giovani italiani il loro parere sui “loss and damage” in vista delle elezioni del 25 settembre.

“Si parla di stanziare dei finanziamenti per riparare i danni che la crisi climatica provoca nei Paesi più vulnerabili”, ci spiega Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network. “Un tema che, assieme alla finanza climatica, difficilmente viene affrontato alle Conferenze ONU sul clima. Sembrava che la Cop27 di Sharm El-Sheikh potesse essere un’occasione per parlarne, ma probabilmente non sarà così. Quindi come Italian Climate Network abbiamo proposto questo tema ai giovani italiani, e porteremo le loro risposte ai candidati per le prossime elezioni”.

Il questionario rimarrà attivo fino al 15 settembre. “Cominceremo a parlarne con i partiti politici prima, quando avremo raccolto informazioni sufficienti – dice Bencini -, e porteremo i risultati finali al prossimo governo. È un modo per pungolare la politica, per dire: ‘I giovani la pensano così’. La loro opinione è importante, visto che alcuni di loro parteciperanno anche alla prossima Conferenza ONU sul clima in veste di osservatori”.

E i giovani hanno fiducia rispetto alla risposta che i candidati alle prossime elezioni daranno nei loro programmi alla voce “clima”? “Già nel 2018 abbiamo notato un’attenzione maggiore”, fa presente il policy advisor di Italian Climate Network, che oggi conta una 40ina di attivisti e volontari – in maggioranza under 35 – che partecipano alle Cop sul clima e alle Conferenze sulla biodiversità. “Con la legge elettorale in vigore oggi in Italia, però, bisogna far presente che ogni programma politico sarà mediato dagli interessi di coalizione. E sicuramente l’Italia rischia di non essere in linea con gli Accordi di Parigi, che pure sono al ribasso rispetto a quello che ci sarebbe da fare. Su quest’argomento c’è un articolo molto interessante di Climalteranti che spiega come sono affrontati questi temi in campagna elettorale e come muoversi tra i programmi”.

Di seguito, riportiamo la lettera dell’attivista kenyota Elizabeth Wathuti, che è ancora possibile sottoscrivere qui

Gentili Ministri Sharma e Shoukry,

detenete congiuntamente la responsabilità della guida dei prossimi negoziati delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in quello che è un momento cruciale nella storia dell’umanità.

Vi esorto ad affrontare questa sfida con compassione e coraggio, che è ciò che di cui abbiamo bisogno per raggiungere l’obiettivo di +1,5°C di temperatura previsto dall’Accordo di Parigi.

Le perdite e i danni già subiti dalle comunità in prima linea nella crisi climatica sono tristemente aggravati dagli impatti dalla guerra e della pandemia globale.

Le persone che hanno contribuito meno alla crisi climatica ne stanno patendo gli effetti peggiori, e un senso morale richiederebbe che venissero mobilitati urgentemente i finanziamenti necessari a sostenerle attraverso uno strumento per ricompensare delle perdite e dei danni subiti.

Quest’anno ho dedicato del tempo a comprendere l’esperienza vissuta da queste comunità in prima linea.
Di recente ho visitato la contea di Wajir, che si trova a circa un giorno di macchina a nord-est della mia casa a Nairobi, in Kenya.

Ciò a cui ho assistito è stato un esempio profondamente impattante della sofferenza che le crisi climatiche, naturali e alimentari interconnesse stanno portando in tutto il continente africano.

Quattro stagioni consecutive di piogge mancate hanno portato a livelli spaventosi di insicurezza alimentare e idrica in tutta la regione.

Ho visto con i miei occhi le terribili sofferenze che la comunità di Wajir sta vivendo, e non potrò mai scordare le storie che la gente del posto ha condiviso con me.

La maggior parte della popolazione di Wajir dipende dal bestiame per il proprio sostentamento, ma migliaia di animali stanno morendo di sete e di fame.

Le ragazze sono costrette a lasciare la scuola perché le loro famiglie non possono più permettersi di pagare le rette scolastiche.

I neonati non possono crescere sani, perché le loro madri patiscono la fame e non riescono produrre abbastanza latte per nutrirli adeguatamente.

Una siccità implacabile ha completamente decimato le popolazioni di animali selvatici locali.

E gli ecosistemi naturali, che dovrebbero essere una fonte di vita per tutti, sono stati spinti oltre il punto di rottura.

Ciò che mi ha colpito di più, però, è stato sentire che alcune delle persone che ho incontrato si sentono senza speranza per la loro situazione – che solo la loro fede li fa andare avanti mentre pregano Dio per l’arrivo delle piogge.

La maggior parte delle persone che ho incontrato a Wajir non sa che le decisioni prese in luoghi lontani potrebbero avere delle conseguenze sulla situazione che stanno affrontando.

Cosa farebbero se sapessero che le azioni di altri – nazioni ricche e ad alto tasso di emissioni nel nord del mondo – hanno a che fare con la loro situazione?

Pregherebbero semplicemente Dio perché le piogge arrivino, o avrebbero qualcosa da dire ai leader mondiali e alle grandi aziende che sono responsabili dell’aumento della probabilità e dell’intensità di questo tipo di disastri?

Le comunità in prima linea nella crisi climatica, come le persone che ho incontrato a Wajir, non sono responsabili di questa crisi ma ne stanno subendo gli impatti proprio ora, ben oltre le loro possibilità di adattamento.

La comunità globale non può abbandonarli al loro destino.

Per questo è fondamentale che i negoziati della COP27 sui cambiamenti climatici, che si terranno in Egitto alla fine dell’anno, prevedano uno strumento finanziario dedicato ad aiutare le comunità in prima linea a far fronte alle perdite e ai danni che stanno già subendo e che, come sappiamo, non potranno che peggiorare.

Non si tratta solo di denaro, perché il denaro non potrà mai sostituire ciò che le persone che ho incontrato a Wajir hanno già perso.

Si tratta di giustizia.

Si tratta di costruire fiducia e solidarietà.

Questo è ciò di cui la comunità globale ha bisogno, se vogliamo risolvere insieme le crisi della natura e del clima.

Cordiali saluti,

Elizabeth Wathuti