Terza Repubblica: realtà o illusione?

Spesso bastano semplici numeri per semplificare la complessa matassa dell’analisi post-elettorale: le elezioni politiche italiane del 4 marzo hanno decretato chiaramente due vincitori: il Movimento 5 Stelle con Di Maio e la Lega di Salvini.
Il 5 marzo il capo politico dei pentastellati ha trionfalmente annunciato la morte della Seconda Repubblica e la nascita di una Terza, nel nome di un radicale cambiamento istituzionale.  Da quel giorno in poi diverse voci rispettabili in ambito politico e giornalisti ha commentato, analizzato e discusso il risultato del voto rapportandolo alla dichiarazione di Di Maio.
Per evitare sterili commenti fini a se stessi, è ora necessario evidenziare almeno tre indicazioni fondamentali derivanti dal voto: il crollo dei partiti storici dell’ultimo ventennio, l’evidente divisione territoriale dell’elettorato e la mancanza di una maggioranza assoluta o quantomeno relativa con la forza sufficiente per governare stabilmente il Bel Paese. Queste tre linee di lettura del voto sono fondamentali ai fini di una comprensione dei risultati del 4 marzo.
Se il primo punto, l’evidente crollo dei partiti storici, è pienamente in linea con l’analisi post-elettorale di Di Maio, gli altri due richiedono un’analisi più approfondita. La coalizione di centrodestra, capitanata dalla Lega, ha un dominio pressoché assoluto nel nord Italia e, sorprendentemente, risulta vincitrice in alcune storiche regioni rosse. Similmente si può dire dei grillini che si attestano con percentuali simili (40-45%) nel Sud Italia.
La storia politica italiana dell’ultimo secolo sottolinea la novità di questi risultati: Toscana ed Emilia Romagna, storicamente legate alla sinistra, hanno in molti casi dato un segnale di forte distacco affidando il proprio mandato alle due nuove forze politiche anti-establishment.
Il Sud, prima monarchico e successivamente governato dal clientelismo democristiano, ha gridato tutta la sua frustrazione affidandosi al Movimento 5 Stelle con percentuali quasi bulgare.
Il Nord industrializzato, più in linea con i risultati storici, ha spostato la sua preferenza da Forza Italia alla Lega, partiti comunque appartenenti alla stessa coalizione.
Questi indicatori potrebbero trarre in inganno e risultare compatibili con le parole di Di Maio, ma il tema fondamentale non sta nel contenuto bensì nella sovrastruttura. Il voto italiano oggi descrive infatti una situazione clamorosamente primo repubblicana distruggendo così il sogno bipartisan Blairiano, il cui l’ultimo alfiere è stato Renzi. Osservando molte elezioni italiane a partire dagli anni ’50 fino a Tangentopoli, si evidenzia che, seppur cambiando il tipo di partiti supportati, la divisione territoriale in Italia rimane una costante impedendo così la piena conciliazione politica dell’elettorato. Tale mancanza di unità politica in Italia era ed è tutt’oggi un tratto tipico del nostro paese. Infatti, le percentuali stesse, in un sistema nuovamente proporzionale, sono sovrapponibili a quelle della DC per il Centrodestra, e del PCI per i 5 Stelle.
Ed è proprio il nostro sistema elettorale di tipo proporzionale l’eclatante evidenza della forzata necessità di un ritorno al dialogo fra partiti differenti e distanti ideologicamente allo scopo di creare un governo con una parvenza di stabilità. Necessità tipica della Prima Repubblica.
Nel merito invece le stesse proposte dei partiti vincitori sono riconducibili al passato del Paese. Oltre al sempreverde abbattimento delle tasse, tema questa volta cavalcato fruttuosamente da Salvini e non da Berlusconi, chi ha vinto le elezioni, proponendo fantomatici redditi di cittadinanza o abolizioni di leggi per necessità economica non abolibili, vedi legge Fornero, si ricollega al filo rosso della politica italiana della Prima Repubblica. Ha vinto chi ha proposto un aumento della spesa pubblica ed un miglioramento del welfare. Iniziative mascherate da novità, ma in linea con la politica legislativa italiana della seconda metà del novecento; aumento delle pensioni, abbattimento della pressione fiscale e, nel caso del reddito di cittadinanza, un aiuto diretto dello Stato alle popolazioni nelle zone più disagiate, una Cassa del Mezzogiorno 2.0.
La stagione politica italiana non è altro che un “Ritorno al Futuro”, con tanto di novello tentativo di “compromesso storico” fra 5 Stelle e Centrodestra. La cartina con i risultati dei collegi elettorali dell’Italia del 5 marzo 2018 non è distantissima dalla sua antenata del 2 giugno 1946; un Nord profondamente diverso dalla sua controparte meridionale.
Le divisioni storiche del nostro paese non sono scomparse il 4 marzo, ma si sono semplicemente evolute, come è naturale che sia del resto dopo più di un secolo e mezzo dall’unificazione del Paese. L’Italia risulta oggi ingovernabile a causa degli stessi motivi che la rendevano ingovernabile dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il crollo dei partiti storici dell’ultimo ventennio sembra figlio, più che di una ventata di cambiamento, di una sostanziale riluttanza intrinseca del paese ad un radicale sconvolgimento politico, istituzionale e sociale. Piuttosto che celebrare l’avvento della cosiddetta “Terza Repubblica” bisognerebbe osservare con ampio sguardo le ceneri della Seconda, che, oscurate da facili demagogismi e da sirene di cambiamento, potrebbero in realtà nascondere la fenice della Prima.