L’accordo europeo sui rider

Un accordo a livello europeo per maggiori tutele in favore dei lavoratori delle piattaforme digitali, non solo quelli addetti alle consegne a domicilio è stato quasi raggiunto. Il provvedimento mira anche a regolare l’utilizzo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro.

di Michele Rosanelli
Mentor: Paulo Lima

A dicembre 2023 sembrava raggiunto l’accordo che avrebbe previsto una presunzione di lavoro dipendente al ricorrere di alcune condizioni a favore dei rider e dei lavoratori delle piattaforme valevole in tutti i Paesi europei. Ma l’opposizione di alcuni Stati membri, tra cui Italia e Francia, ha portato a congelare la proposta.

Pochi giorni fa è stato raggiunto un nuovo accordo, che però non prevede una normativa uniforme a livello europeo, lasciando grande discrezionalità agli Stati nel recepire la direttiva a livello nazionale.

Cosa prevede la bozza dell’accordo? 

La direttiva prevede una presunzione di lavoro dipendente al ricorrere di fatti indicanti controllo e direzione da parte del datore di lavoro, secondo la normativa nazionale e i contratti collettivi vigenti. Secondo le stime della Commissione Europea circa 5,5 milioni di lavoratori vedrebbero una riqualificazione del loro contratto di lavoro da lavoro autonomo a subordinato.

La presunzione di lavoro dipendente ha come obiettivo riequilibrare il rapporto di forza tra lavoratore e impresa, ma sarà ammessa una prova contraria (ossia volta a dimostrare che il lavoratore sia autonomo) da parte del datore di lavoro.

Nessun lavoratore potrà essere licenziato sulla base della decisione di un algoritmo e le piattaforme avranno degli obblighi di trasparenza con riferimento al funzionamento dell’algoritmo stesso e al modo in cui il comportamento del lavoratore incide sulle decisioni algoritmiche.

Il dibattito attorno alle tutele dei rider

I rider sono da anni al centro di un dibattito che riguarda soprattutto le condizioni di lavoro e la disparità di potere tra singolo rider e le grandi piattaforme di food delivery. I sindacati e parte della classe politica hanno spinto in questi anni per far sì che venisse riconosciuta una particolare tutela a questi lavoratori della gig economy anche in considerazione di algoritmi poco trasparenti. 

Le controversie sul rapporto di lavoro

La condizione dei rider è stata oggetto di moltissime controversie di diritto del lavoro, spesso culminate con sentenze della Corte di Cassazione. Tra le più significative si può ricordare il caso Foodora (Corte di Cassazione sentenza n.1663/2020) che ha visto la vittoria dei rider che avevano chiesto la riqualificazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il giudice supremo ha infatti riconosciuto il coordinamento e della etero-organizzazione del datore di lavoro (Foodora) nella fase di esecuzione del rapporto di lavoro, che portano a qualificarlo come lavoro subordinato.

È di dicembre la notizia di una sentenza del Tribunale di Torino con la quale un rider Glovo ha ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato, grazie alla riqualificazione del suo contratto come contratto di lavoro subordinato, effettuata dal giudice del lavoro. La retribuzione sarà di 1440 euro lordi al mese e potrà beneficiare di ferie, malattia, permessi, Tfr e mensilità aggiuntive. 

Il problema del ranking

Una delle tematiche più controverse è il sistema del ranking, ossia la valutazione che viene data al rider dall’algoritmo della piattaforma. Questo ranking tiene conto della valutazione del ristorante, di quella del cliente e di altri fattori come tasso di accettazione delle consegne e altri bonus, come aver accettato consegne nonostante il maltempo. 

I rider come lavoratori subordinati 

Piattaforme come Just Eat hanno deciso di cambiare il loro modello di business e assumere i rider come lavoratori dipendenti (quasi tutti part-time) e applicare loro il Contratto Collettivo Nazionale Trasporti, Logistica e Spedizioni.

Altre società hanno invece preferito aderire al contratto collettivo nazionale stipulato da Assodelivery (Confindustria) con UGL-Rider, che applica la fattispecie del lavoro autonomo, ma applicando alcune garanzie come il preavviso di recesso il divieto di discriminazione, assicurazione antinfortunistica e godimento diritti sindacali.

La voce di un rider

Per approfondire ulteriormente l’argomento e la situazione sono andato a parlare con Axel, 24 anni, che fa il rider come secondo lavoro. Gli ho chiesto come mai ha deciso di fare il rider e ha affermato: “lo faccio per passione perché mi piace stare a contatto con i clienti e guidare.” Quando gli ho chiesto dell’ipotesi di introdurre una presunzione di lavoro dipendente si è mostrato scettico: “Il fatto di renderlo un lavoro dipendente ti vincola tantissimo e si snatura il lavoro del rider, che funziona se c’è flessibilità”.

La sua posizione non è sicuramente isolata, soprattutto tra chi lo fa per arrotondare, mentre altri vorrebbero le garanzie derivanti dal rapporto di lavoro subordinato come le ferie e la malattia pagate.

La tutela dei lavoratori delle piattaforme

Il raggiungimento dell’accordo a livello europeo comporta un buon passo in avanti per la regolamentazione dei rapporti di lavoro dei riders e degli altri lavoratori della gig economy e cerca di limitare la grave disparità di potere contrattuale e asimmetria informativa, che caratterizzava questi lavoratori.

La regolamentazione non sarà uniforme a livello europeo come si era auspicato inizialmente, ma solamente armonizzata, ossia seguirà dei principi comuni stabiliti dalla direttiva. Intanto un primo passo è stato fatto, ma quello che è certo è che ne serviranno molti altri.

Per approfondire

Per saperne di più sull’argomento leggete Ultimo miglio. Lavoro di piattaforma e conflitti urbani a cura di Maurilio Pirone, fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2023, Milano. E per approfondire la tematica dei diritti dei lavoratori, o meglio, delle lavoratrici, vi consigliamo la lettura dell’articolo “Donna e lavoro: quanto fatto e quali gli obiettivi“.