Unione Europea: comunicazione e (dis)informazione

Come comunicare e informare l’Unione Europea, l’utilizzo dei social e la diffusione della disinformazione. Questi gli argomenti al centro della tavola rotonda organizzata dalla Fondazione Antonio Megalizzi con protagoniste quattro voci importanti nell’ambito.

di Ilaria Bionda

Nell’ambito della Summer School del progetto Ambasciatori della Fondazione Antonio Megalizzi si è tenuta a Trento, giovedì 20 luglio, la tavola rotonda dal titolo Comunicazione e disinformazione sull’UE. Quattro voci si sono confrontate approfondendo gli attualissimi temi del comunicare e dell’informare – l’Unione Europea e non solo – nella maniera corretta.

Moderati da Paolo Cantore, ambasciatore della Fondazione Antonio Megalizzi dell’edizione 2021/2022, si sono susseguiti Lucia Pecorario, dell’Ufficio del Parlamento europeo in Italia, Andrea Fioravanti, de Linkiesta Europea, Cristopher Cepernich, dell’Università di Torino, e Paula Gori, dell’European University Institute.

Da sinistra a destra: Gori, Cepernich, Cantore, Fioravanti, Pecorario ©Fondazione Antonio Megalizzi

Credibilità, community, coinvolgimento e campagne sono le parole chiave dell’intervento di apertura di Lucia Pecorario, nonché dell’attività di comunicazione dell’Ufficio del Parlamento europeo in Italia da lei rappresentato. “Il nostro obiettivo è quello di portare nel modo più semplice e comprensibile possibile al pubblico ciò che succede nel Parlamento Europeo”, ha spiegato Pecorario. “È una sfida poiché il tempo è poco, l’attenzione anche e i temi sono complessi”. Per questo motivo, per comunicare si utilizzano diversi profili social, per i quali uno strumento molto efficace risultano essere dei video brevi, semplici, visivi e chiari che in un minuto spiegano un determinato argomento: “Questo serve anche per accorciare la distanza tra i cittadini e le istituzioni, percepite sempre come lontane”.

Contro il fenomeno delle fake news, poi, l’Ufficio ha creato, sempre per i social, la rubrica #facciamochiarezza con lo scopo di ristabilire e diffondere la verità su questioni spinose. Ciò avviene soprattutto per mezzo di Twitter, il primo canale di comunicazione dell’Ufficio per contatto con giornalisti, politici e istituzioni, e su Instagram, il canale privilegiato per raggiungere i giovani. “A tutto ciò affianchiamo delle campagne con influencer e personaggi famosi per diffondere alcuni messaggi”, ha aggiunto Pecorario, spiegando che molte figure di spicco intervengono in qualità di testimonial su tematiche di estrema attualità, tra cui la questione ambientale, e alle quali “lasciamo molta libertà, per mantenere la spontaneità che permette loro di essere credibili”.

Nell’intervento a seguire, Andrea Fioravanti, caporedattore de Linkiesta Europea, ha approfondito il modo in cui l’Unione Europea viene raccontata e comunicata sui media. “I media online hanno tre fronti: gli utenti e le visualizzazioni, il messaggio da trasmettere, il significato che si vuole far arrivare”, ha spiegato. Secondo lui, “il pubblico italiano non ama leggere di politica, ma apprezza particolarmente le interviste, perché sono un modo di raccontare la complessità e che permette di vedere come il personaggio in questione reagisce ad essa”. L’obiettivo del lettore è, infatti, quello di “riportare questa reazione nell’archetipo della propria vita”. Pertanto, si deve personalizzare la narrazione, ossia farla passare dalle persone, dai personaggi, per avere maggiore coinvolgimento di chi legge e si informa. Questo vale anche durante il periodo delle elezioni: “Sono un archetipo particolare ma che funziona sempre secondo la sua narrazione”.

Christopher Cepernich, professore dell’Università di Torino, si è invece concentrato sull’importante tema della disinformazione. A questo proposito è fondamentale, secondo Cepernich, distinguere bene tre questioni: “La comunicazione politica che omette non è disinformazione ma propaganda; nella dialettica, la sottolineatura di tratti chiave è una forma di intervento legittimo e non è disinformazione; la costruzione e invenzione di contenuti falsi è l’unica forma di disinformazione poiché non è legittimata dalla ricerca di consenso, propria delle due questioni precedenti e parte della democrazia”.

Con i social network, negli ultimi anni, sono cresciuti la possibilità e il raggio di azione di chi fa disinformazione. Per il professore: “il giornalismo ha dunque l’obiettivo di verificare le fonti. Non è però possibile tenere il controllo totale delle comunicazioni, poiché risulta in una forma di auto-inganno. È opportuno convogliare i vari punti di vista senza temere contraddizioni e pluralismo”. Ciò si applica anche nell’ambito della partecipazione al voto, per la quale molto fa la comunicazione politica, ma molto anche l’esperienza quotidiana che non va dunque sottovalutata.

Anche Paula Gori è entrata nel merito della disinformazione, spiegando come essa faccia “leva sulle emozioni, poiché quando siamo spaventati non abbiamo senso critico, tendiamo a non pensare e a contribuire alla diffusione di notizie false”. Soprattutto dal periodo della pandemia, sui social si vedono spesso messaggi spietati che giocano con meccanismi insiti nel cervello e che rendono molto ampio il pubblico della disinformazione, anche grazie alla formazione delle cosiddette eco-chambers, ossia delle bolle settoriali che si creano a causa degli algoritmi che rimandano sempre lo stesso tipo o argomento di informazione. “Basta poco – spiega Gori –, è sufficiente decontestualizzare un’immagine o una frase per far passare un messaggio molto diverso dall’originale. Al giorno d’oggi una grande mano la da anche l’intelligenza artificiale che permette di manipolare immagini con facilità”.

© Fondazione Antonio Megalizzi