Trump non renderà l’America grande di nuovo

Il bello della Conferenza internazionale dei giovani sul clima (COY) è anche questo: poter incontrare ragazzi provenienti da diversi paesi del mondo e scoprire cosa fanno per affrontare i problemi correlati ai cambiamenti climatici.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il giovane americano Rock Aboujaoude Jr., rappresentante dell’ONG “Campus Climate Corps”. La sua associazione organizza programmi di interscambio e sensibilizzazione alla tematica dei cambiamenti climatici per studenti internazionali. Gli alunni che arrivano negli USA potranno essere inseriti in un progetto locale come stagisti, e il loro lavoro sarà utile non solo a loro stessi, ma anche alla comunità locale.

Le politiche climatiche del presidente americano Donald Trump sono piuttosto chiare. Ci incuriosiva quindi capire meglio qual è la posizione americana riguardo i cambiamenti climatici e come sta agendo l’associazione Campus Climate Corps per affrontare il riscaldamento globale.

Come mai hai deciso di venire alla COY?
Semplicemente per lavorare e interagire con studenti provenienti da tutto il mondo. Lavorare a livello internazionale, ovvero assieme a persone con diversi background, è un’opportunità unica che non si presenta spesso negli USA.

Come sono percepiti i cambiamenti climatici dalla gioventù americana ?

E’ una domanda difficile, poiché siamo 50 Stati diversi e i problemi della Florida non corrispondono, ad esempio, a quelli dello Stato di New York o Virginia. In ogni caso, il cittadino americano medio è consapevole dell’esistenza dei cambiamenti climatici, ma non è disposto a fare qualcosa di concreto per affrontarli. Un esempio lampante è rappresentato dall’azienda Amazon: il suo CEO Jeff Bezos porta avanti una politica capitalistica volta a soddisfare le esigenze dei consumatori che, pur di acquistare in tempi brevi e spendendo poco, tendono ad ignorare gli impatti ambientali dei loro ordini, rinviando così i problemi a domani.
Il fatto è che questa è una caratteristica intrinseca della cultura americana ma, per avere il cambiamento, abbiamo bisogno di persone attive e determinate e di comunità internazionali pronte a collaborare per far capire agli americani che anche loro possono rendersi utili.

Non possiamo però non farti una domanda su Trump. Sinceramente, come valuti le sue politiche climatiche?

Lo riassumerei in un’unica frase. “Non sta rendendo l’America grande di nuovo”. Per rendere l’America grande di nuovo, dobbiamo ricordarci tutti che i cambiamenti climatici esistono e vanno affrontati il prima possibile.

Ma stiamo parlando del Presidente degli Stati Uniti. Fino a che punto Trump può influenzare le politiche di ogni singolo Stato americano?
Posso dirvi che ci sono movimenti, tra cui il nostro di “Campus Climate Corps”, che si stanno battendo affinché ciascuno Stato della federazione americana possa firmare singolarmente l’Accordo di Parigi. In questo modo, la decisione della firma spetterebbe a ogni singolo stato anziché alla nazione. Sicuramente Trump è un catalizzatore, qualcuno che inevitabilmente sta influenzando l’immagine dell’America; tuttavia, ci sono tanti miei concittadini che stanno riconoscendo il problema, consapevoli che dobbiamo fare qualcosa come individui singoli e come Stati.

Secondo te, in che modo parteciperanno gli USA durante questa COP? Cosa ti aspetti personalmente?
Gli USA saranno prevalentemente rappresentati da aziende americane che stanno diventando sostenibili. In altre parole, aziende che vogliono esaudire le richieste dei propri consumatori, i quali stanno richiedendo di investire sul clima e le risorse rinnovabili. Perciò, le aziende che parteciperanno alla COP saranno le stesse che hanno inquinato per anni, ora non lo fanno più ma solamente per soddisfare le esigenze dei consumatori in quanto consapevoli che per guadagnare di più, i bisogni dei clienti devono essere in ogni modo appagati. Gli USA illustreranno quindi una prospettiva capitalistica e basata sul consumo.