L’arte ai tempi del coronavirus

La pandemia sta dominando la nostra vita. Tutto è virus, i talk show, le news, l’economia, la politica. E l’arte, la musica, dove le abbiamo lasciate? Oggi, ne parliamo con voi. 

Di Giulia Fiamengo e Federica Zaffalon, nucleo di Padova dell’Agenzia di Stampa Giovanile

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Ho questa maturata impressione che la pandemia abbia arrestato il mondo, bloccato in un momento statico, in un freeze da film in cui il tempo scorre e tu resti immobile. È tutto pandemico, dal come superare il momento, a come affrontarlo, a come uscirne. Tutto è virus, lo sono i talk show, lo sono le informazioni, l’economia, la politica. E l’arte? Il cinema, la pittura, la musica, la fotografia? Limitate dalle circostanze e forse irreparabilmente condizionate. Quello che sta producendo il mondo dell’arte lo vedremo – tra poco o molto – quando ne potremo godere di nuovo, nelle strade, nelle mostre, ai concerti; sarà forse più introspettiva – è probabile – la reclusione lascia spazio a ciò che sta dentro ed esclude ciò che sta fuori. Ma lo dimentica anche? 

Questa domanda si è fatta spazio prendendo forma man mano che si faceva largo la coscienza della situazione, che ho avvertito come l’esigenza di mettere a fuoco e ripercorrere e salvare dall’oblio tutto quello che era in corso prima, per non dimenticarlo, per non relegarlo al mondo prepandemico. Di che cosa ci stavamo occupando prima? Che battaglie stavamo combattendo? 

La pandemia ci sta mostrando quanto siamo legati, interdipendenti, eppure la scena mediatica è così segnatamente ego centrata, tutta eurocentrica, e di un monotematico che dà assuefazione. Mi spaventano i momenti di torpore, tanto che mi sono chiesta quale fosse il migliore conduttore per lanciare una scossa alla mente.

È seguendo questo flusso di coscienza che ho pensato di parlare di arte, giusto per il gusto di uscire dal monotema della fase due. Il perché io voglia parlare d’arte oltre al fatto che si tratta di un mio personale diletto è che in un mondo infettato dal virus l’arte è la migliore medicina per la mente, ci consente di evadere mantenendo in funzione il cervello. E poi è il nutrimento dell’anima.

Così con la mia amica di una vita, compagna di elucubrazioni mentali, musicista di tutto rispetto e di diletto abbiamo pensato di ripercorrere insieme quello che è stato, sta avvenendo e forse anche quello che verrà, nel mondo dell’arte, della musica, della pittura, della fotografia e chi più ne ha ne metta. Ci metteremo d’impegno ogni mese per buttare due ami alla riflessione leggera, giusto per il gusto di parlare di ciò che ci sta a cuore e per metterlo a fuoco. Con buone probabilità ne usciranno osservazioni molto diverse, riflesso di quelle che sono le nostre due anime: una più attenta al fuori e una più concentrata sul dentro, una più sociale l’altra più introspettiva, intima. Una più razionale, l’altra più romantica. Saremo appunto un insieme di Ragione e Sentimento.

Brano: Foals – Sunday (2018)

I Foals sono una band capofila dell’indie rock inglese. Sono soliti definire il loro genere anche “math rock”, perché sono in grado di comporre dei pattern ritmici complessi in cui tutti gli strumenti si legano tra di loro in maniera perfetta, quasi scientifica, da qui il termine. Ritmiche che ti entrano in testa e danno un senso di appagamento e soddisfazione alle persone con tendenze ossessivo compulsive (parlo per un’amica…). A canzoni incalzanti ed energiche i Foals alternano canzoni più lente, delicate, che possono essere dei veri e propri viaggi psichedelici. In Sunday,  tratta dal loro album Everything not saved will be lost – Part one del 2019, potrete apprezzare entrambe le loro anime.

Sunday è anche uno di quei brani che riletti dopo l’esperienza dell’isolamento acquistano un significato speciale. Mentre la canzone ci trascina in un’atmosfera piacevole e di calma, ci accorgiamo che il testo è profondamente malinconico e dà voce ad un gruppo di giovani che aspettano la fine di un mondo distrutto dai loro padri.

When all is said and all is done our fathers run and leave all the damage they’ve done behind, left us with the blind leading the blind.

In un’età in cui ogni stagione può cambiarti la vita, a quanti giovani è stato rubato l’ultimo giorno di scuola, l’emozione dell’esame di maturità, l’ebbrezza della primavera? Ma, pensieri tristi a parte, nella gioventù sta anche la loro forza e fortuna, nella loro incoscienza riescono a far funzionare questo nuovo modo di vivere e avranno tempo di riprendersi il proprio, di tempo.

Time has come and time is gone cities burn, we got youth to spend and time to waste in love to live again, my friend. Through the flames and through the fire cities burn, we don’t give a damn ‘cause we got all our friends right here we got youth to spend. 

Infine, il ritornello non può che essere un mantra per il nostro isolamento: è un passaggio, un momento in cui viaggiare all’interno di sé, con un pizzico di impazienza non tanto per tornare a come eravamo prima, ma per andare avanti:

Time away from me is what I need to clear my sight and clear my head I’m coming down over it, coming down over, coming down over, I’ll be right there, I’m coming down over it coming down over again. I feel my blood, I did my time I’m deep in my head, I’m deep in my way I’m deep in my soul Here I go I’ll be right there.

Opera: Il silenzio del mondo, di Reham Amawi

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Reham Amawi è una giovane artista di Gaza, conosciuta per il suo ritratto di Yasser Mortaja, cameraman ucciso al confine israeliano durante la marcia per il Ritorno del 8 aprile 2019. Il suo tratto preciso ha una firma nostalgica surrealista dai toni tutti britannici alla Marion Adnams. I colori piani e corposi del dipinto, le forme definite, la figura ibrida e l’intera composizione metafisica ci raccontano una storia di influenze surrealiste in cui però io amo ritrovare forti tensioni esistenziali. Potrebbe essere una Lady senza volto di Adnams ma la rappresentazione è tutt’altro che immaginifica, l’evasione dalla realtà è solo agognata. 

Il mistero del cupo trascende i confini e i reticolati dell’occupazione e apre la mente a nuovi orizzonti, là dove il corpo non può arrivare il pensiero conquista la sua rivalsa, è la storia di un popolo condensata in un quadro.

Nel surrealismo del tratto, che adotta come un alfabeto per comunicare, Reham racconta la verità di una realtà tutt’altro che surreale. Ciò che nasce come espressione di un inconscio non governato da ragione si trasforma, in questo dipinto, in un manifesto ragionato. I reticolati sono reali e così i martiri che si trovano all’interno. I morti ascendono nel pensiero dei vivi.

I toni opachi e piatti cancellano ogni sorta di vibrazione e quello che ci arriva con forza è la sola denuncia. È diretta e non filtrata da nessuna drammatizzazione di colore. L’immagine entra con forza senza chiedere permesso ed instaura un dialogo con noi che osserviamo. Attraverso i toni calmi dei colori ci racconta una storia di oppressione e sofferenza, di omertà e paradosso.

Si serve del linguaggio surrealista per raccontare la storia distopica di un popolo, senza pietismo ma al contrario con crudo, onesto realismo. Il volto senza nome è quello di una patria senza terra che ci parla di cittadini senza cittadinanza, di martiri dimenticati. Resta un’umanità oltre la disumanizzazione forzata indotta dalla prigionia protratta, ma quale? Quella che Reham consegna alle colombe bianche oltre il muro, oltre il confine e oltre i reticolati. La vana speranza che arrivi un messaggio al mondo, che lo solletichi al punto da farci indignare. 

Questa Umanità resiliente è nell’arte di Reham, che ci parla con linguaggio universale che trascende i confini fisici della sua terra e anche i confini di un movimento artistico per raccontare un’Esistenza, ostaggio della Storia e degli uomini. Ecco, è qui che amo immergermi, in questo dialogo pacato e duro sull’esistenza in cui coinvolgere Jean Fautrier e la sua riflessione in Otages (Ostaggi), in cui è facile e provante lasciarsi trasportare in un flusso coscienzioso tra stili e visioni e urgenze espressive che trascendono non solo i confini ma le epoche. Un isolamento e un desiderio di evasione che oggi possiamo imparare a comprendere.