Elisabetta e Irene alla Conference of Youth: “Le soluzioni alla crisi climatica esistono, dobbiamo metterle in atto”

Elisabetta Reyneri e Irene Delfanti sono due giovani delegate italiane alla Conference of Youth, la conferenza dei giovani sul clima che precede COP27. Fra ambientalismo istituzionale, proteste nate dal basso, trattati internazionali e piccole azioni quotidiane, ci hanno raccontato come stanno vivendo questa esperienza e come portano avanti la loro attività di sensibilizzazione e lobbying sul tema del cambiamento climatico.

di Francesco Bevilacqua

Sharm el-Sheikh, Egitto. Avrà inizio qui domenica la COP27, la ventisettesima conferenza sul clima delle Nazioni Unite in cui si ritroveranno i potenti della Terra per prendere – in teoria – decisioni cruciali sul futuro del nostro pianeta. Ma mentre i riflettori di molti media non si sono ancora accesi sulla località egiziana, centinaia di delegati e delegate sono già al lavoro. Sono i partecipanti alla Conference of Youth, conferenza della gioventù sul cambiamento climatico, a cui giovani di tutto il mondo partecipano con lo stesso obiettivo della COP: assicurare un futuro, possibilmente sostenibile, all’ecosistema e a chi lo abita.

Elisabetta Reyneri e Irene Delfanti sono le due giovani che rappresentano l’Italia alla Conference of Youth. le abbiamo sentite il giorno in cui sono iniziati i lavori per farci raccontare il loro percorso, le loro aspettative e il clima – non solo meteorologico – che si respira a Sharm.

Presentatevi: chi siete, quali sono i vostri interessi e le vostre competenze e come siete arrivate alla Conference of Youth?

Elisabetta: Ho 29 anni e sono avvocato ambientale, quindi esperta in diritto ambientale in particolare europeo e italiano. Sono anche autrice del libro Crisi climatica: Istruzioni per l’uso. Sono molto appassionata di tematiche ambientali e climatiche, amo fare sport, viaggiare e leggere. Sono alla COY17 (Conference of Youth) per rappresentare, assieme ad altri ragazzi, i giovani italiani per le tematiche che riguardano i cambiamenti climatici.

Irene: Sono una designer e attivista e il mio focus è il cambiamento sociale e ambientale; al momento lavoro per un’organizzazione che si occupa dei diritti delle popolazioni indigeni da un punto di vista culturale e diplomatico. Il mio percorso non è stato – e credo continuerà a non essere – lineare. Ho finito il liceo scientifico volendo studiare arte e ora faccio design per ricerche di stampo diplomatico. Credo la domanda fondamentale del mio percorso sia verso la società in sé: siamo tecnologici o progrediti? La cultura del Nord del mondo si ritiene superiore alle altre, eppure siamo noi che abbiamo creato un sistema che è fondamentale rotto alla base.

Che aria si respira in Egitto, viene percepita l’importanza di questi giorni?

Elisabetta: COY17 è un evento che precede la COP27 di qualche giorno, dunque al momento si vede che c’è fermento, ma non si respira ancora l’importanza cruciale dell’incontro. È come se COY17 fosse un momento preparatorio a quello che sarà il “grande evento”. Ed è un peccato, perché ai giovani competenti dovrebbe essere data grande importanza, soprattutto quando si incontrano per discutere argomenti fondamentali come i cambiamenti climatici.

Irene: La motivazione tra i giovani è tanta, ma lo è anche il realismo. È ormai chiaro che il cambiamento climatico non solo è in atto, ma che dobbiamo pianificare le nostre azioni per un mondo che probabilmente sarà più caldo di 2°C. Noi giovani sentiamo che le azioni che dobbiamo prendere non possono essere dettate solo dalla nostra volontà, ma devono essere filtrate dalle azioni drastiche che il mondo deve prendere ora.

Qui in Egitto la prima cosa che vedi sono i manifesti sulla finanza climatica e le macchine elettriche. Vai in città e tutto ciò scompare, quasi nessuno sa della COY né della COP. Ho letto ieri che le proteste saranno autorizzate solo in una zona recintata apposita e non saranno tollerate in altre zone della città o del paese. Gli egiziani sono giustamente fieri di ospitare “la COP africana”, ma chiaramente gli interessi politici dietro sono ben diversi dalle persone che abbiamo intorno e che si stanno dimostrando incredibilmente ospitali.

Che effetto vi fa rappresentare milioni di giovani italiani in un incontro che potrebbe rivelarsi decisivo per il loro futuro?

Elisabetta: Personalmente mi sento grata e onorata di questa opportunità. Rappresentare, assieme ad altri, i giovani italiani è molto importante e mi impegno e continuerò a impegnare nei prossimi giorni perché le nostre necessità e priorità legate agli effetti dei cambiamenti climatici vengano ascoltati. La particolarità di COY17 è che sono presenti giovani di tutto il mondo ed è impressionante vedere  come la maggior parte, se non tutte le nostre richieste, collimino. Le preoccupazioni, l’urgenza, le paure, la frustrazione, le speranze e l’impegno sono qualcosa che ci accomuna tutti. 

Irene: Do del mio meglio basandomi su quello che ho studiato e la mia esperienza. È una rappresentanza un po’ particolare, nessuno di noi è stato eletto, siamo qui perché crediamo in quello che facciamo e conosciamo questo tipo di eventi, che credo sia pubblicizzato troppo poco ed è un peccato.

Dal punto di vista operativo, su quali temi vertono i lavori della Conference of Youth?

Elisabetta: I lavori si sostanzieranno nella creazione di uno Youth Statement, ossia un documento ufficiale con le istanze dei giovani di tutto il mondo da presentare il 10 novembre alla COP27, in modo che le nuove generazioni  trovino rappresentazione in un ambito solitamente riservato ai potenti. COY17 si dipana in tre giorni pieni di conferenze, workshops, capacity building e networking. È un evento che riunisce giovani impegnati, attivisti per il clima, professionisti nei settori più disparati e attivi nella lotta al cambiamento climatico. 

Irene: Oltre a quello ufficiale, c’è tutto l’aspetto di educazione e conoscenza: conoscere persone e le loro esperienze, creare contatti tra giovani da tutto il mondo per trovare soluzioni comuni. Ci sono eventi e workshop di vario tipo. Nel programma c’è molto su finanza climatica ed energie rinnovabili, temi importanti ma non tra i più scottanti. Personalmente sento la mancanza di temi quali la rappresentanza e le soluzioni che possono nascere delle culture indigene e locali, ma anche delle riforme legali che servono per attuare tanti dei cambiamenti di cui tutti parlano.

Qual è stato il percorso compiuto finora dai delegati della Conference of Youth e quali gli obiettivi del meeting di Sharm?

Elisabetta: Oggi [ieri, ndr] si è tenuto il primo giorno di COY, dunque i lavori sono solo all’inizio. Ci siamo riuniti per discutere le nostre richieste da portare alla COP27, il ruolo della finanza climatica, lo strumento del loss and damage, l’importanza della giustizia climatica. Abbiamo anche avuto la possibilità di seguire alcune conferenze sui temi della biodiversità e della protezione degli ecosistemi, l’intersezionalità della questione di genere e infrastrutture ed edifici green.

Irene: Per i giovani aver ottenuto un’occasione di incontro prima della COP è una grossa vittoria, anche se la realtà è che siamo ancora fuori dalla vera conferenza. È dentro alla COP che gli Stati e le grosse compagnie si siedono ai tavoli ed è lì che possono decidere di ignorarci. Alcuni dei delegati COY andranno alla COP, ma solo quelli che sono con le delegazioni ufficiali potranno effettivamente prendere parte alle negoziazioni, il resto sono eventi di networking che sono importanti, ma non abbastanza per farci sentire rappresentati. In ogni caso, sono conquiste da celebrare. D’altro canto la COY ha un altro grosso vantaggio: è un metodo per dare forza ai giovani e formarli.

Personalmente cosa vi aspettate dalla COY e dalla COP?

Elisabetta: Dicono che questa sarà la COP dell’attuazione – implementation. Personalmente spero con tutto il cuore che sia così. Che vengano rinnovati gli NDCs e che rimangano saldi gli obiettivi di riduzione delle emissioni come stabilito dall’Accordo di Parigi. Vorrei davvero che non ci fosse più “bla bla bla”, ma azioni concrete, una rivoluzione sistemica che ci permetta di vivere su un pianeta in salute. 

Irene: Schiettamente, mi aspetto molto greenwashing. Lo vedo succedere giorno per giorno e continuerà, visto che la comunicazione della COP è curata da Hill+Knowlton Strategies, una delle agenzie che aiuta le compagnie petrolifere a gestire la loro immagine. Dicono che questa sarà la COP dell’implementazione, io lo spero con tutto il cuore, ma perché ciò avvenga serva più pressione internazionale di quella che c’è ora e con le proteste bloccate dal Governo centrale credo sarà più facile per i politici aggirare alcune questioni.

Qualche progresso si farà, ma credo il lavoro climatico effettivo si faccia tra una COP e l’altra, non nella settimana di negoziazioni. Scendere in piazza, chiedere ai Governi soluzioni serie e investire parte del nostro tempo durante l’anno sono azioni che generano più cambiamenti di una settimana di negoziati. Dopotutto, da quando le COP esistono le emissioni sono sempre e solo salite.

Le preoccupazioni, l’urgenza, le paure, la frustrazione, le speranze e l’impegno sono qualcosa che ci accomuna tutti

Da dopo gli Accordi di Parigi la disillusione nei confronti di questo tipo di iniziative istituzionali è cresciuta molto, a vostro avviso quali sono le strade e i canali più efficaci per produrre azioni concrete che affrontino i cambiamenti climatici?

Elisabetta: A mio avviso, in qualità di avvocato, credo che costruire una cornice normativa efficace che affronti il problema della crisi climatica sia fondamentale. Adesso si parla del Fossil Fuel Non Proliferation Treaty, che mira a contenere la produzione di combustibili fossili, in parallelo all’Accordo di Parigi che invece punta direttamente alla riduzione delle emissioni. Un altro elemento che secondo me è fondamentale è l’approccio top-down, dunque permettere alle comunità e agli esperti locali nonché agli indigeni di insegnarci le tecniche migliori per gestire certi territori che necessitano di essere tutelati. 

Irene: Bisogna agire dal punto di vista locale e conoscere i responsabili di questa crisi. Personalmente il più grosso progresso l’ho visto con le grosse proteste di Extinction Rebellion a Londra: in dieci giorni sono riusciti a far dichiarare al Governo l’emergenza climatica e mettere abbastanza pressione perché altri Stati seguissero l’esempio. Nessun articolo accademico ha mai ottenuto tanti risultati, loro hanno deciso di bloccare una città e ci sono riusciti. Abbiamo bisogno di più spirito di iniziativa e speranza.

Le soluzioni esistono, dobbiamo metterle in atto. Personalmente una cosa che mi ha aiutato ad uscire dall’inattività è trovare un motivazione personale per farlo. In fisica si dice che il lavoro è energia: quando lavoriamo 40 ore alla settimana per qualcosa, chiediamoci che tipo di energia stiamo immettendo nel sistema e che effetto avrà sul futuro.