Diritti LGBTQI in Italia, espressione di libertà o conservatorismo?
Nonostante i progressi in materia di diritti civili, oggi in Italia la minoranza LGBTQI vive ancora in una situazione di profonda disparità e disuguaglianza. Questa condizione affligge l’ambito sociale e culturale creando un clima di discriminazione che si riflette anche nell’ordinamento giuridico del paese. Infatti, malgrado i grandi passi avanti, non si è ancora giunti ad una situazione di concreta e reale parità.
Ripercorrendo le tappe dello sviluppo giuridico italiano in materia è possibile notare come un primo grande traguardo sia stato raggiunto nel 1982 con l’introduzione della legge 164, che determinò la possibilità giuridica di cambiare il proprio sesso di appartenenza previa approvazione del tribunale (prima di questa le uniche persone che potevano effettuare questa conversione erano quelle aventi problematiche legate all’ermafroditismo). Prima dell’82 chiunque avesse voluto intraprendere l’iter del cambiamento di sesso, non avrebbe avuto alcun supporto giuridico in quanto considerata una pratica illegittima. L’introduzione di questo articolo ha quindi offerto la possibilità giuridica di una simile operazione determinando, però, anche una serie di obblighi. Ad esempio, quello di sottoporsi a cure psico-fisiche obbligatorie, la cessazione automatica del matrimonio o ancora il dover necessariamente rientrare pienamente nei canoni estetici maschili o femminili tramite interventi estetici invadenti.
Di fatto questa legge non riconosce le persone transgender e il diritto alla libera identità sessuale, bensì forza gli individui a reinserirsi all’interno dei canonici binari uomo-donna, non tenendo conto che non sempre l’equilibrio di una persona è raggiunto tramite il cambiamento di sesso. La legge esclude il fatto che possano esistere delle ’vie intermedie’. Quindi, quella che dovrebbe essere una legge che tutela la libertà di autodeterminazione diventa uno strumento di ’normalizzazione’ e trasforma libere scelte in obblighi.
Un secondo importante passo è stato compiuto con l’introduzione della legge 76/2016, meglio conosciuta come legge Cirinnà, che comporta il riconoscimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e della convivenza di fatto. Questa legge è importante perché disciplina tutta una serie di relazioni fino ad ora mai riconosciute né tutelate, non solo di interesse per le coppie omosessuali, ma anche eterosessuali. Nonostante ciò rimane comunque incompleta in quanto non prevede la possibilità di avere un figlio tramite la pratica dell’utero in affitto, o di effettuare la stepchild adoption – possibilità da parte di un partner di adottare il figlio dell’altro.
Si può vedere come queste due leggi chiave siano in realtà solamente parziali rispetto alla parità e all’uguaglianza giuridica rivendicata dagli LGBTQI. La loro richiesta è quella di riuscire ad apportare modifiche sia alla 164 che alla legge sulle unioni civili in modo che l’uguaglianza sia effettiva e totale invece che apparente e parziale, ma non solo. Nella loro agenda politica c’è anche l’introduzione del reato di omofobia, rimasto un disegno di legge fermo dal 2013 in Senato.
In definitiva le loro rivendicazioni sono orientate ad ottenere una concreta e reale situazione di parità e uguaglianza in ogni ambito della vita quotidiana. A partire dal piano sociale e culturale sino ad arrivare a quello puramente giuridico e normativo, contribuendo a creare una nuova ’normalità’ fondata sul rispetto reciproco, autodeterminazione e libertà individuale.