Educare ad un mondo nuovo, quello digitale

In questo viaggio che ho deciso di intraprendere, vi parlerò degli aspetti positivi e di quelli negativi della rete, delle soluzioni e dei probabili pericoli. Il tutto in un itinerario in cui la parola d’ordine sarà educazione al digitale. Che ne dite, partiamo?

Di Giuseppina Varacalli, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

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Nell’ideologia collettiva, l’educazione è da sempre associata a delle pratiche volte a formare il comportamento corretto dei cittadini, le buone attitudini e soprattutto il rispetto verso sé stessi, gli altri e verso le norme sociali.
La pratica educativa riflette inesorabilmente i paradigmi della cultura del proprio paese di appartenenza: ad esempio in Europa è considerata maleducazione fare rumore mentre si mangia, mentre in Giappone far sentire il risucchio durante i pasti è segno di apprezzamento del cibo nei confronti del cuoco. 

La parola educare deriva dal verbo latino educere e allude nel suo significato originario a portare fuori. Ad oggi però si è attuato uno slittamento semantico sul termine in quanto la parola indica al tempo stesso un portare dentro come spiega bene il termine inglese education. 

Di che tipo di educazione voglio parlarvi in questo mio articolo? Perché l’educazione è oggi al centro di molti dibattiti? 

La risposta a queste domande è al stessa. L’educazione tratta una materia che pensiamo di avere sempre sotto controllo perché alla portata di tutti: mi riferisco al digitale. In un mondo segnato da un crescente e progressivo aumento del versante innovativo della tecnologia e con essa del digitale, penso che sia doveroso e necessario parlare di un’educazione al digitale principalmente per due motivi:

  1. Usare il digitale quotidianamente non vuol dire capirne tutti i meccanismi interni (cosa che si dà per scontata, ahimè), sapere ogni strategia comunicativo-visiva che c’è ad esempio dietro un post o essere in grado di decriptare l’entità dei gesti ormai automatici che facciamo sui social media;
  2. I bambini e i giovani, che formano la cosiddetta generazione Z o millennials, sono coloro i quali hanno meno strumenti per avere coscienza del digitale e perciò i più vulnerabili ed esposti ai pericoli che si possono celare dietro questo mondo che in apparenza può sembrare solo virtuale ma che a volte ha ricadute proprio nel reale. 

La Media Education

Una delle discipline che si approccia a questo stile educativo nuovo è la Media Education, disciplina che si diffonde in tutti i paesi esteri trovando però qualche resistenza in Italia. Infatti, non esiste  ancora come materia ufficiale di studi.

Cosa si propone di fare?

Tramite la sua struttura ad interdisciplina tra scienze dell’educazione e scienze della comunicazione si pone l’obiettivo di formare figure essenziali nella scuola di domani, i media educator, che diano delle forti basi sia educative che comunicative ai giovani e non solo per quanto riguarda l’ambito del digitale! Si propongono di ridare spirito critico alle azioni che oggi facciamo in modo automatico sul web e mettono in allerta/responsabilizzano soprattutto i giovani su eventuali rischi e pericoli che la rete pone loro davanti senza che se ne possano accorgere. 

Altro versante educativo che da un po’ di tempo cattura l’attenzione di piccoli e grandi è rappresentato dai servizi televisivi che vengono fatti da Striscia la Notizia sull’educazione al digitale grazie a Marco Camisari Calzolari, un noto divulgatore italiano che si occupa di tematiche molto importanti ma poco discusse, soprattutto in televisione. I temi trattati nei suoi servizi sono diversi: dal cyberbullismo, alle difficoltà delle aziende nel passare al digitale, alle truffe online, a consigli pratici su come scegliere un nuovo pc o evitare sprechi col digitale ecc. Insomma, un’educazione a portata di televisione, che cattura tanti telespettatori.

Nello schema dei miei futuri interventi, il focus di ogni articolo dispari sarà un resoconto sugli aspetti positivi della rete, mentre gli articoli pari indagheranno ciò che di negativo si annida nell’immenso mare fatto di big data.

Al prossimo articolo “pericoloso” (n. 2) sull’educazione digitale!