Photo by Matt Palmer on Unsplash

Il nuovo rapporto IPCC lancia l’allarme clima

Nel corso dell’ultimo summit del Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC ) di Stoccolma, è stato presentato il nuovo rapporto: “I cambiamenti climatici sono rapidi e si stanno intensificando. Se non cambiamo direzione c’è il rischio di conseguenze irreversibili”.

Di Roberto Barbiero

_

Ennesimo richiamo all’urgenza di agire di fronte all’emergenza climatica da parte degli scienziati del clima espresso il 9 agosto in conferenza stampa dagli esperti dell’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite. Forse nulla di nuovo per gli esperti del settore ma tanta consapevolezza e preoccupazione in più.

Il clima sta cambiando in maniera più rapida e intensa del previsto mentre le azioni intraprese a livello globale per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, rallentare il riscaldamento globale e affrontare la crisi climatica, sono ancora del tutto insufficienti. Questo in sintesi è quanto emerso da parte dell’IPCC nel presentare al mondo i risultati del rapporto del primo gruppo di lavoro che contribuirà al Sesto Rapporto di Valutazione sul clima globale. Questo primo rapporto sarà infatti seguito nei prossimi mesi da altri importanti rapporti sul tema della mitigazione e riduzione delle emissioni di gas serra e dell’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici.

Quello presentato il 9 agosto è il rapporto sulle basi scientifiche – The Physical Science Basis -, frutto del lavoro di 234 scienziati provenienti da 66 paesi, che dopo aver revisionato circa 14000 pubblicazioni scientifiche fornisce un quadro condiviso sullo stato attuale del clima, il modo in cui sta cambiando e il ruolo dell’attività umana, lo stato delle conoscenze sui possibili scenari climatici futuri, le azioni necessarie per limitare il cambiamento climatico indotto dall’uomo.

Il rapporto ha consentito di consolidare le conoscenze scientifiche e di confermare la preoccupazione degli scienziati che rilanciano un’ulteriore allarme di fronte alla reazione della comunità internazionale troppo lenta e assolutamente non all’altezza di affrontare l’emergenza climatica in corso.
La Terra ha osservato infatti un aumento della temperatura media globale di circa 1,1 °C rispetto al periodo pre-industriale (1850-1900), con un’accelerazione drastica negli ultimi 50 anni circa.

I dati disponibili confermano come si siano verificati cambiamenti rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera con effetti diffusi in tutte le regioni del mondo su sistemi fisici, ecosistemi e settori socio-economici. Cambiamenti che sono valutati senza precedenti nel corso di molti secoli se non di migliaia di anni e che sono in parte giudicati potenzialmente irreversibili in un orizzonte di secoli o millenni, in particolare per quanto riguarda i cambiamenti nell’oceano, nelle calotte glaciali e nell’innalzamento globale del mare.

La responsabilità delle attività umane nel riscaldamento di atmosfera e mari è ritenuta inequivocabile dagli scienziati. Nel 2019, le concentrazioni atmosferiche di CO₂, il più importante tra i gas climalteranti e prodotto perlopiù dall’utilizzo di combustibili fossili e dalla deforestazione, sono state le più alte degli ultimi 2 milioni di anni, e le concentrazioni di metano (CH₄) e protossido di azoto (N₂O), provenienti perlopiù dall’agricoltura e dagli allevamenti intensivi, sono state le più alte degli ultimi 800.000 anni.

Il cambiamento climatico indotto dall’uomo sta già influenzando molti eventi meteorologici estremi in ogni regione del mondo come del resto è cronaca ormai quotidiana: dalle disastrose alluvioni di Germania e Cina alle ondate di calore e agli incendi in Italia e nel Mediterraneo, in Siberia e in California.
I diversi scenari climatici futuri adottati nel rapporto, indicano che la temperatura superficiale globale continuerà in generale ad aumentare, almeno fino alla metà del secolo, e che le soglie di 1,5°C e 2°C indicate come limite da non superare dall’Accordo sul Clima di Parigi siglato nel 2015, potranno essere raggiunte durante il 21° secolo a meno che non vi siano drastiche riduzioni delle emissioni di gas serra nei prossimi decenni.

Molti cambiamenti nel sistema climatico aumenteranno in relazione diretta all’aumento globale delle temperature, il cui tasso di crescita dipenderà a sua volta dal grado di riduzione delle emissioni di gas serra. Scenari con elevate emissioni di gas serra significano infatti un maggiore aumento delle temperature e un aumento preoccupante della frequenza e dell’intensità di eventi estremi come ondate di calore e forti precipitazioni, di siccità, di cicloni tropicali, nonché un’ulteriore riduzione dei ghiacci continentali, del ghiaccio marino artico e dell’innalzamento del livello del mare. Particolare attenzione viene rivolta nel report alle modifiche indotte sul ciclo globale dell’acqua con conseguenze che potrebbero sentirsi pesantemente anche in aree di montagna come le Alpi dove proseguiranno la perdita dei ghiacciai, la riduzione della copertura nevosa e della durata della neve al suolo e il degrado del permafrost.

Il rapporto di oggi è un codice rosso per l’umanità”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. “I campanelli d’allarme sono continui e le prove sono inconfutabili: le emissioni di gas serra dovute ai combustibili fossili e alla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta e mettendo a rischio miliardi di persone”.

La via indicata dagli scienziati è ormai nota: occorre ridurre drasticamente le emissioni di gas serra il prima possibile per raggiungere le emissioni nette zero di anidride carbonica (CO₂) entro il 2050 insieme comunque a forti riduzioni delle emissioni di altri gas serra. Come ha ricordato sempre il segretario dell’Onu Guterres questo impone la fine della dipendenza dai combustibili fossili, lo stop a nuove centrali a carbone, alle nuove esplorazioni e produzione di combustibili fossili e il rapido trasferimento degli investimenti e dei sussidi al settore delle energie rinnovabili.

Le novità e i progressi scientifici sul clima contenuti nel nuovo rapporto dell’IPCC forniscono un contributo enorme ai negoziati sul clima. Siamo infatti ormai prossimi alla COP26, la Conferenza della Parti sul clima della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc), che si terrà a Glasgow, nel Regno Unito, dall’1 al 12 novembre, con un importante ruolo dell’Italia nella sua preparazione e conduzione. Quello della COP26 è ritenuto probabilmente l’ultimo appuntamento utile per prendere decisioni definitive per gestire la crisi climatica in corso che ormai ha assunto i toni di un’emergenza globale.

La scienza ha fatto la sua parte. Ora la palla è nelle mani della politica e del mondo delle imprese che devono avere il coraggio di intraprendere una radicale modifica del modello produttivo e di consumo. Bisogna avere il coraggio di intraprendere una necessaria transizione del sistema energetico, economico e produttivo che elimini definitivamente la dipendenza dai combustibili fossili: carbone, petrolio e anche gas, il cui utilizzo non può essere più considerato come scusa per il necessario passaggio ad una economia free carbon. La società civile e i giovani in particolare guardano a Glasgow ancora con speranza ma con la consapevolezza che il tempo sta per scadere e scuse non servono più a nulla.

La presentazione del rapporto dell’IPCC è avvenuta il 9 agosto, in cui si celebra la giornata internazionale dei popoli indigeni, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1994. Una coincidenza non casuale. Oggi affrontare l’emergenza climatica obbliga infatti l’occidente a riscrivere il suo rapporto con l’ambiente e la natura e ciò non implica solo un cambiamento economico ma anche un profondo cambiamento culturale. Prendere ad esempio il rapporto con il naturale che hanno molti popoli indigeni può essere oggi una chiave di successo per risolvere la crisi climatica.