E se davvero la soluzione fosse l’utopia?

“Historia magistra vitae” scriveva Cicerone. Ma la storia può davvero insegnarci qualcosa? Una riflessione sul “moto storico”, sul suo andamento e sulle problematiche attuali partendo da dove si sono formate le radici dell’Occidente, dai classici della cultura greca e latina.
Questo è ciò che Luciano Canfora, illustre filologo classico, storico e saggista italiano, noto per le sue letture critiche alla società e il suo approccio multidisciplinare, ha donato con la sua lezione magistrale tenutasi durante la 19esima edizione di Pordenonelegge il 21 settembre 2018 al Teatro Verdi di Pordenone, un incontro basato sulle riflessioni che affronta nel suo ultimo libro “La scopa di Don Abbondio. Il moto violento della storia”. Saggio che, come rivela lo stesso sottotitolo, tratta dei processi storici del mutamento sociale.
In primis le “rivoluzioni” che caratterizzano la fine del Novecento e l’inizio del nostro secolo: nessun altro periodo storico ha assistito a così tanti mutamenti e “stravolgimenti”. Ed è proprio dal concetto di “rivoluzione” che il pensiero di Canfora prende forma: già dal titolo del libro lo si intuisce, quello che al Don Abbondio manzoniano appariva come un salutare colpo di scopa sta proprio nell’immancabile creazione di condizioni ideali per una nuova scossa conseguenti all’esaurimento di una “rivoluzione”. E questa è la lezione che ci viene mostrata da sempre dalla storia, il perno su cui focalizzarsi per la creazione di una nuova realtà.

Partendo da un’analisi della schiavitù dai tempi dei grandi imperi occidentali (greco e romano), passando per la visione aristotelica dello schiavo come “macchina parlante”, Canfora arriva al XIX° secolo dove la schiavitù nella società moderna era ormai considerata un fossile, una condizione del passato lontano. Eppure, nonostante questo progresso storico-sociale, con le politiche e le grandi imprese colonialiste la condizione della schiavitù sudista continuava ad essere considerata del tutto una cosa naturale, normale tanto che propagandisti come George Fitzhugh, noto proprietario terriero della Virginia a quell’epoca, negavano che la schiavitù fosse uno sfruttamento crudele e sostenevano che il sistema si basava su obblighi reciproci e responsabilità condivise tra un padrone e “la sua gente”, non sulla violenza a scopo di profitto. Egli affermava che gli schiavi venivano trattati meglio rispetto agli “schiavi retribuiti” che faticavano nei mulini e nelle fattorie del New England, ovvero gli operai. Si pensi inoltre che la schiavitù della gleba in Russia fu abolita solo nel 1861.

Le dipendenze etico-schiavili apparse nell’epoca moderno-contemporanea apparentemente potrebbero far pensare ad un movimento all’indietro, ma Canfora qui introduce una grande differenza con i passati periodi storici, una differenza sostanziale ed essenziale, ovvero l’esistenza tra le genti di una consapevolezza maggiore delle condizioni etiche ed umane accettabili e giuste. Questa consapevolezza ha portato nel passato a delle risposte alternative, a delle vere e proprie rivoluzioni, proprio perché il movimento storico nasce da una relazione tra sfida e risposta.
Le iniquità sociali tuttora sono alte e potenti, ma non è detto che non possano essere abbattute. Anzi, lo sono state anche se altre ingiustizie nel corso dei secoli ne hanno occupato il posto, ma anche queste cadranno sotto i colpi di zappa di una rivoluzione che per essere vera ha da essere permanente. Lo insegnano i tremila anni di storia alle nostre spalle che conosciamo in cui l’uguaglianza è stata come il bisogno animale primario, quello ineluttabile della fame.

Ed è proprio qui che sta il colpo di scopa a cui Canfora si riferisce: il futuro è sempre aperto, le esigenze di giustizia da cui sono scaturite le diverse rivoluzioni rimangono vive, acquistano con il tempo sempre più consapevolezza e non vi è restaurazione che riuscirà mai a riportare davvero una società al punto di inizio, le oscillazioni della storia sono imprevedibili e possono travolgere anche gli assetti a prima vista più solidi.                                                                                               

In passato il Mediterraneo era considerato come una grande unità da cui quasi tutto il mondo dipendeva per vari aspetti. E l’Europa, se ci pensiamo, è stato anche il punto di partenza dei più grandi sconvolgimenti storici proiettando i suoi conflitti interni sul resto del globo. E’ stato proprio l’Occidente ad avere messo il mondo a soqquadro, con profonde ingiustizie, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale ed ora la situazione sta diventando sempre più seria e grave, perché le dirigenze politiche sono orientate in senso egoistico. Agendo in tal modo Canfora afferma che i conflitti attuali di cui leggiamo e che vediamo in televisione sono alimentati da noi stessi in modo attivo o meno, cioè con azioni “sotto banco”, nascoste, passive appunto, come il fatto di fornire armi a gruppi armati in guerra, sfruttare economicamente i terreni dei Paesi più poveri, oppure attuando un’attività strategicamente direzionata nel modo di fare informazione.
Di fronte a ciò il moto naturale della storia ci porterà sicuramente ad un cambiamento, ad un nuovo equilibrio ma al giorno d’oggi una reale, concreta e soprattutto credibile leadership positiva in Europa è assente. Per il filologo, la democrazia politica è divenuto un essere dalla vita ormai breve, che a suo avviso «scivola sempre più tra le entità archeologiche». L’unica alternativa attualmente esistente alla tecnocrazia delle élite finanziarie, eurocratiche o cosmopolite, che per anni hanno avuto l’Occidente in mano, vede avanzare le forze populiste, le destre anti-establishment, che secondo lui si possono definire «movimenti fascistici».
Ma siamo sicuri che questa sia davvero un’alternativa? O è più l’altra faccia della stessa medaglia? Dopo tutto nel 2017 il governo Renzi si era fatto portatore della retorica “chiudiamo i porti” che viene ora attribuita al ministro Salvini; in occasione dell’incontro con il commissario europeo per le migrazioni Avramopoulos l’allora ambasciatore italiano presso l’UE Maurizio Massari minacciò la chiusura dei porti alle navi straniere e non facenti parte di missioni europee. La sinistra ormai si è ridotta ad un cumulo di frammenti e, come affermato da Canfora, se il Pd non si libera del presente gruppo dirigente catastrofico e velatamente di destra che lo ha portato alla rovina, la possibilità di ricomporre questi pezzi e di creare un’opposizione coesa in grado di fornire una contro risposta concreta diventa solo lontano miraggio.

Da dove ripartire allora? Dalla figura della “pagina bianca” di cui parla Arnold Toynbee nel suo libro “Il mondo e l’Occidente”, figura a cui si rifà Canfora per descrivere il necessario cambio di prospettiva, un movimento in avanti che si basi sulla condivisione dei risultati conseguiti. Questo egli lo ritrova  in una creazione di una comunità euro-africana, forse unica risposta che porterebbe ad una risoluzione e un’evoluzione positiva della situazione storica contemporanea. Tutto ciò può esser visto come utopico è vero. Ma di fronte alla storia l’utopia è l’unica via ancora davanti a noi, la strada ancora mai presa, mentre gli altri esperimenti “hanno mostrato la coda” conclude.