Sicurezza umana: quello che lo Stato dovrebbe fare
La recente pandemia è solo l’ultima conferma della necessità di riconsiderare il concetto di sicurezza internazionale come sicurezza di tutti gli individui. Ma cosa si intende esattamente per sicurezza umana?
Di Camilla Perotti, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile
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Oramai non possiamo più negarlo: nell’attuale contesto internazionale è il concetto di sicurezza umana a fare da padrone (o almeno lo dovrebbe). Se non ce lo hanno fatto capire i cambiamenti climatici, le grandi ondate migratorie, la povertà e la fame nel mondo, la carenza di risorse naturali, questa nuova pandemia causata dal coronavirus è solo l’ultima delle conferme.
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa sia questa “sicurezza umana”. Tutto inizia con la caduta dell’Unione Sovietica e la fine del sistema bipolare USA-URSS che aveva caratterizzato il mondo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Per quasi cinquant’anni il mondo era stato diviso in due blocchi, ciascuno continuamente minacciato dalla possibilità che l’altro iniziasse una guerra nucleare.
La fine di questo dualismo è stato solo uno dei cambiamenti radicali che il mondo ha vissuto negli anni ’90: l’avvento di internet permetteva non solo che persone e culture di tutto il mondo potessero iniziare a comunicare con facilità e pressoché in tempo reale, ma favoriva enormemente l’economia, dando la spinta necessaria alla globalizzazione. I capi di stato dei Paesi membri della Comunità europea (ora Unione Europea) decidevano di agevolare il proprio mercato interno garantendo la libera circolazione di persone, servizi e beni e la creazione di un’unione monetaria. Tutti questi sviluppi a livello mondiale hanno fatto sì che si spostasse l’attenzione dalle nazioni ai singoli individui, che iniziarono a muoversi, lavorare, studiare e comunicare anche al di fuori dei confini nazionali.
Ciò ha conseguentemente portato ad adottare un nuovo approccio anche nei confronti della sicurezza internazionale: suo soggetto non è più la singola nazione, concentrata sulla difesa dei propri confini territoriali, ma ogni singolo individuo. Di conseguenza, le stesse minacce alla sicurezza internazionale devono essere riconsiderate: cambiamenti climatici, epidemie e pandemie, scarsità di risorse, povertà, fame, inquinamento, crisi finanziarie sono minacce alla sicurezza di ogni singolo individuo, indipendentemente dalla sua cittadinanza, e devono perciò essere affrontate con uno sforzo congiunto di tutti i Paesi.
Ogni singolo Stato dovrebbe quindi curarsi di assicurare ai propri cittadini tre fondamentali libertà: libertà dalla paura (freedom from fear), ossia diritto di incolumità della propria persona; libertà dal volere (freedom from want), ossia accesso ad un’educazione di qualità, ad un lavoro e alle risorse nazionali; libertà dai trattamenti indegni (freedom from indignity), ossia accesso alla giustizia e tutela dei diritti umani. Ciò significa che quando è necessario affrontare minacce alla pace internazionale quali i cambiamenti climatici o la lotta ad una pandemia, ogni Stato dovrebbe contribuire a tale battaglia, se non per un ideale di sicurezza globale, per lo meno per la sicurezza dei propri cittadini.