Salvatore Borsellino al Poplar Cult in videocollegamento

In alto l’Agenda Rossa: Salvatore Borsellino al Poplar Cult

Al Poplar ha preso parte in videocollegamento anche il fratello del magistrato Paolo Borsellino, Salvatore. Domenica 18 settembre ha raccontato il senso del Movimento delle Agende Rosse e i ricordi che ha del fratello, lui che ha seguito una strada diversissima: a 27 anni, giovane laureato in Ingegneria, ha lasciato la Sicilia per arrivare a Milano.

di Marianna Malpaga

Ha seguito strade diverse rispetto a quelle percorse dal fratello, ma non ha mai smesso di battersi per avere verità e giustizia. Anche in occasione del Poplar Cult, domenica 18 settembre, Salvatore Borsellino ha stretto tra le mani un’agenda rossa che è simbolo dell’Agenda Rossa di Paolo. In quel diario il magistrato ucciso dalla mafia annotava tutti i suoi appunti. Quel documento non si trova dal giorno della sua uccisione, il 19 luglio 1992: un giorno che è fissato nella memoria degli italiani – anche di coloro che quella data l’hanno studiata solo nei libri di storia o partecipando ai campi della legalità – come strage di via D’Amelio.

“La mia scelta di vita e la mia professione mi hanno portato a percorrere strade diverse rispetto a quelle di Paolo”, ha raccontato Salvatore Borsellino. “A 27 anni mi ero laureato in Ingegneria e in Sicilia, regione dominata dalla mafia, per me non c’era lavoro. Quindi sono arrivato a Milano, dove ho trascorso gran parte della mia vita e dove lavoro da 50 anni”.

Un bravo magistrato deve essere discreto quando parla del suo lavoro. “Mio fratello non mi raccontava mai le sue indagini – ha detto Borsellino -, mi parlava piuttosto delle sue emozioni e dei suoi stati d’animo. Mi ricordo l’entusiasmo per il lavoro che stava facendo, e poi la frustrazione una volta che si è concluso il MaxiProcesso di Palermo. Ha dovuto sperimentare delle difficoltà enormi, perché quel pull di magistrati stava provando a fare qualcosa di nuovo: era la prima volta che si processava la mafia in quanto mafia, nella sua interezza. Prima di allora venivano portati avanti dei processi per singoli reati: quest’ultima non era mai stata vista come un’organizzazione che si oppone allo Stato”.

Mafia che si oppone allo Stato quando lo Stato non fa nulla per proteggere i suoi servitori. “I magistrati che stavano portando avanti il processo non avevano neanche le fotocopiatrici, in tribunale”, ha ricordato Borsellino. “E a 30 anni di distanza non è ancora stata portata avanti la digitalizzazione delle procedure del processo. Falcone e mio fratello furono portati all’Asinara assieme alle loro famiglie perché lo Stato non riusciva a garantire loro sicurezza”.

I ricordi più belli di suo fratello, ha confessato Salvatore Borsellino, risalgono all’infanzia, quando facevano a gara per recitare tutte le terzine dantesche. “Un periodo felice in cui abbiamo potuto ridere insieme e godere del rapporto che avevamo con nostra madre. Un legame intensissimo, perché lei ci ha insegnato tutto: il senso dello Stato, l’amore e il rispetto. E la passione per la lettura. Il rapporto con nostra madre era così forte che Paolo anche a 50 anni le chiedeva sempre se volesse più bene a lui o al ‘milanese’, come mi chiamava. Non mi perdonò mai di aver abbandonato la Sicilia. Lui non lo avrebbe mai fatto. Alla fine di ogni telefonata mi chiedeva sempre di tornare, e quando io gli facevo presente che non c’era posto per un ingegnere a Palermo lui restava in silenzio, ma doveva restarci male. E alla telefonata successiva ripeteva sempre la stessa domanda”.

Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia, in videocollegamento al Poplar Cult domenica 18 settembre

Poi arriva il giorno dell’ultima telefonata tra i due fratelli, tre giorni prima della strage di via D’Amelio. “Quella volta dissi a Paolo di andarsene da Palermo altrimenti lo avrebbero ammazzato”, ha raccontato Borsellino. “Lui mi rispose quasi gridando, dicendomi che non avrebbe mai accettato di fuggire e che avrebbe prestato fede fino all’ultimo al giuramento che aveva fatto allo Stato. Paolo era consapevole non soltanto che sarebbe stato ucciso, ma anche da chi: diceva sempre che l’avrebbe ucciso la mafia, ma che sarebbero stati altri – non la mafia – a volerlo vedere morto”.

Oggi Salvatore porta avanti la battaglia del fratello con il Movimento Agende Rosse, che ogni anno il 19 luglio si reca sul luogo della strage per tentare di ricostruire ciò che successe. “Se si arrivasse a chi ha fatto sparire l’agenda rossa si potrebbe risalire agli assassini di mio fratello”, ha affermato. “Non c’è stato finora un processo che la riguardasse – ha aggiunto Borsellino -; siamo stati noi del movimento a ricostruire, attraverso le fotografie e i filmati ripresi dopo la strage, i movimenti di chi ha potuto avvicinarsi alla macchina di Paolo. Dopo sette anni dalla strage, infatti, una voce anonima ha comunicato a un giornalista di antimafia l’esistenza di una fotografia in un archivio di Palermo: quest’immagine ha permesso di vedere che c’è un capitano dei carabinieri che si allontana dalla macchina di Paolo con la borsa in mano e ancora intatta. Quella stessa borsa che poi sarebbe stata restituita ai parenti senza agenda e bruciacchiata”.

Un commento, poi, sulla trattativa Stato-mafia, in cui lo Stato è stato dichiarato “incolpevole” dalla Corte d’Appello di Palermo. “Lo scenario che si è profilato è stato il peggiore possibile – ha detto Borsellino – perché la sentenza ha assolto i funzionari dello Stato affermando che il fatto non costituisce reato, anche se ammette che una trattativa c’è stata, perché ne condanna la parte criminale”.

Infine un messaggio ai giovani. “Quel 19 luglio 1992, in una lettera, Paolo diceva che era ottimista perché vedeva che i giovani siciliani avevano un’attenzione ben diversa alla mafia rispetto a ‘quella colpevole indifferenza che io mantenni fino ai 40 anni’. Fino a quel periodo, infatti, si era occupato solamente di giustizia civile. Paolo sosteneva che quando quei giovani sarebbero diventati adulti avrebbero avuto più forza di combattere delle persone della sua generazione”.

Salvatore Borsellino, 80 anni, ha poi sollevato la sua agenda rossa: “La mia aspettativa di vita si è ridotta al minimo – ha concluso – e so che non mi restano molti anni per continuare a lottare. Dopo aver vissuto periodi in cui avevo perso la speranza e avevo smesso di parlare per questo e perché non mi ritenevo degno di parlare per Paolo, che ha mantenuto la speranza fino alla fine, affido la speranza a voi giovani. Così quando non avrò più forza di gridare e sollevare la mia agenda rossa, voi continuerete a farlo, e io potrò morire con la speranza nel cuore, come ha fatto mio fratello”.