COP28: È l’ora del bilancio

Ecco l’analisi dettagliata di ogni tema negoziale della ventottesima Conferenza delle Parti che Italian Climate Network ha seguito direttamente dalle sale con i propri Observer.

Dalla Redazione*

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Primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi – Visione generale

Il testo definitivo sul primo inventario (2023, seguirà 2028, 2033 e così via ogni 5 anni) delle azioni messe in campo, dal 2020 ad oggi, sotto l’Accordo di Parigi sul clima parte dalla considerazione netta che i Paesi sono ampiamente “fuori strada” rispetto agli obiettivi di Parigi di contenere il riscaldamento globale entro +2°C o meglio +1.5°C alla fine del secolo (paragrafo 2). L’inventario Global Stocktake non è fine a sé stesso: serve ad indicare la cornice nella quale preparare i nuovi impegni nazionali sotto l’Accordo, gli NDC, che ogni Paese dovrà aggiornare entro il 2025. Per questo nel testo vengono identificate possibili traiettorie verso questa cruciale scadenza.

I paragrafi 4 e 5 ribadiscono l’importanza di concentrare gli sforzi verso l’obiettivo più ambizioso di Parigi, quello di contenere l’aumento delle temperature entro +1.5°C. Il successivo paragrafo 15 indica come “inequivocabile” l’origine umana del riscaldamento globale, che ha già raggiunto +1.1°C rispetto all’era pre-industriale. Al paragrafo 17 si indica il fatto che i Paesi sviluppati del mondo non sono riusciti a ridurre le proprie emissioni climalteranti entro il 2020, quindi nel mondo degli impegni pre-Parigi, secondo le percentuali a suo tempo indicate dall’IPCC, citata peraltro in più paragrafi nei quali la COP “accoglie” quanto contenuto nel suo Sesto Report. Una cornice di contesto che tiene dentro tutti i riferimenti corretti alla scienza e all’ambizione climatica globale: non era scontato.

Nel successivo capitolo sulla mitigazione, il testo cita i recenti report IPCC e il report di sintesi del Segretariato sugli NDC indicando le necessarie riduzioni globali delle emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto al 2019 fino a raggiungere emissioni nette zero al 2050 per mantenere raggiungibile l’obiettivo di +1,5°C. Solo nel paragrafo 26 si cita la necessità scientifica di arrivare al picco globale delle emissioni entro il 2025, sottolineando tuttavia che questa scadenza non è valida per tutti i Paesi, sulla base delle diverse priorità di sviluppo – una chiara apertura ai Paesi meno favorevoli a politiche ambiziose.

Il paragrafo 28 della decisione è quello centrale sulle fonti fossili. Sparita la formulazione “i Paesi devono”, sparisce anche “i Paesi dovrebbero”, e si passa a un molto più blando “la COP richiama i Paesi verso politiche che”, la formulazione più debole dello spettro negoziale. Si elencano quindi le misure da prendere e in particolare: 

  • fuoriuscita, allontanamento (nella nuova formulazione “transitioning away”) dalle fonti fossili nei sistemi energetici, cominciando a lavorarci nei prossimi cinque anni (entro il 2030), verso emissioni nette zero al 2050 in linea con la scienza.

Un testo figlio di numerosi compromessi notturni, sicuramente poco ambizioso sul carbone e sui sussidi, e forse anche un po’ inelegante nella forma: emissioni nette zero al 2050, intorno al 2050 o “molto prima” del 2050? Dovremo probabilmente interpretare le varie definizioni secondo una media dei tre: “arrivando” al 2050 e comunque non oltre quell’anno.

Questioni specifiche su mitigazione, finanza e adattamento sono analizzate nelle sezioni successive di questa nostra analisi.

Passando al capitolo sulla cooperazione internazionale, vediamo come bozza dopo bozza ha perso peso nel testo l’iniziale attacco a tutto campo da parte di alcuni Paesi in via sviluppo al Meccanismo di Aggiustamento Frontaliero dell’Unione Europea (CBAM), ora ridotto ad un mero riferimento (non diretto peraltro) nel paragrafo 154. Una mezza vittoria europea rispetto all’inizio del negoziato, quando sembrava che il tema potesse dominare buona parte del Global Stocktake.

Rimanendo nel dualismo negoziale UE-Cina, scompare poi dal capitolo su Perdite e danni ogni riferimento (che ritroviamo invece nella parte sulla finanza) alla possibilità di contribuire finanziariamente al nuovo Fondo appena istituito per i Paesi in via di sviluppo che possono e vogliono farlo (chiaramente pensando qui alle nuove responsabilità emissive di Pechino). Una mezza vittoria cinese, in questo caso, visto che comunque il tema torna poche pagine dopo.

Interessante notare infine che al paragrafo 191 si decide di avviare, sotto la guida delle Presidenze di COP28, COP29 e COP30 una serie di attività (“Roadmap per la Missione 1.5“) per migliorare la cooperazione internazionale e stimolare l’ambizione nel prossimo ciclo di contributi nazionali determinati (NDC), con l’obiettivo di “migliorare la qualità della vita delle persone” nell’ambito degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e in particolare di quello sul mantenimento di traiettorie compatibili con +1.5°C. Un percorso che sarà interessante seguire, in vista di un coordinamento tra una Presidenza uscente, una entrante quasi a sorpresa (Azerbaigian) e una, quella brasiliana del 2025, che dovrebbe portare un diverso tono ai negoziati.

Primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi – Mitigazione

Nel testo approvato a COP28 si dice che i Paesi sono richiamati a:

  • triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030: obiettivo importante ma che secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ridurrebbe solo del 30% il gap delle emissioni per mantenere in vita l’obiettivo +1.5 C°.
  • Accelerare il Phase down del carbone non abbattuto (unabated): un solido programma di mitigazione dovrebbe prevedere il phase out dal carbone, sia compensato da CCS (cattura e stoccaggio del carbonio) che no.
  • Accelerare gli sforzi a livello globale verso sistemi energetici a emissioni nette zero, utilizzando combustibili a zero o a basso contenuto di carbonio ben prima della metà del secolo o intorno ad essa: segnale importante ma ricordiamo che annunciare di voler raggiungere lo zero netto non è sufficiente se non si specifica come e quando si intende farlo. La scienza chiede di ridurre almeno il 90% delle emissioni e di ricorrere a strumenti di neutralizzazione solo per le emissioni residue (al massimo il 10% delle emissioni totali). Non specificare in che percentuale le emissioni possano essere neutralizzate (per esempio tramite crediti di carbonio?) per raggiungere emissioni nette zero, riduce notevolmente l’ambizione. 
  • Transitioning away” (fuoriuscita, allontanamento) dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere emissione nette zero entro il 2050, in linea con la scienza. Vogliamo intendere questa formulazione come onnicomprensiva di tutte le fonti fossili, sia compensate che no, tuttavia il testo non lo esplicita. Potrebbe essere paradossalmente un fatto positivo. Tiepido il Segretario Esecutivo della UNFCCC Simon Stiell, che ha dichiarato che forse “non abbiamo cambiato pagina sui fossili a Dubai”, ma è comunque l’inizio della loro fine.
  • Accelerare le tecnologie a zero e basse emissioni, tra cui le rinnovabili, il nucleare, le tecnologie di abbattimento e rimozione di gas serra come la cattura e l’utilizzo del carbonio e lo stoccaggio, in particolare nei settori difficili da abbattere, e l’idrogeno a basse emissioni. Il fatto che si parli di tecnologie di rimozione e cattura di gas serra, nel paragrafo successivo al transitioning away from fossil fuels, porta a chiedersi se si faccia riferimento a una transizione dai combustibili fossili non abbattuti (unabated), ossia possibilità di continuare a bruciare combustibili fossili, limitandosi a neutralizzare le relative emissioni. L’utilizzo di tecnologie di cattura e stoccaggio delle emissioni rimane in questo paragrafo, ma ci sembra positiva l’aggiunta “particularly in hard-to-abate sectors” invece di promuovere queste tecnologie in tutti i settori. 
  • Accelerare e ridurre in modo sostanziale le emissioni da altri gas serra (oltre la CO2), in particolare le emissioni di metano entro il 2030. Importante menzione visto che il lavoro sul metano rappresenta l’opportunità più rapida che abbiamo per rallentare il tasso di riscaldamento globale; il metano ha un potere riscaldante (global warming potential), più di 80 volte superiore a quello dell’anidride carbonica nei primi 20 anni in cui raggiunge l’atmosfera.
  • Si fa riferimento ad accelerare la riduzione delle emissioni prodotte dal trasporto su strada, anche attraverso lo sviluppo di infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli a zero e basse emissioni.
  • Eliminare gradualmente, il prima possibile, i sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non affrontano il problema della povertà energetica o della giusta transizione. Il paragrafo riprende il linguaggio debole del G20 sui sussidi “inefficienti”, lascia spazio a dubbi pratici e interpretativi giustificando il mantenimento dei sussidi che beneficiano le fasce più vulnerabili, anche se in realtà la maggior parte dei sussidi ai fossili è di per sé inefficiente perché non varia in base al reddito e di conseguenza ne beneficiano soprattutto i più ricchi, non risolvendo ma anzi esacerbando la povertà energetica.

Primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi – Revisione degli NDC al 2025

La decisione finale del Global Stocktake indica in maniera ordinata – ed è un passo avanti significativo verso il 2025 – il calendario secondo il quale i Paesi dovranno presentare i loro nuovi piani nazionali sotto l’Accordo di Parigi. In vista dell’aggiornamento obbligatorio dei piani al 2025, infatti, la COP stabilisce che essi siano presentati dai Paesi entro 9 e 12 mesi dalla COP del 2025, quindi tra dicembre 2024 e marzo 2025 (paragrafo 166). Una scadenza abbastanza ravvicinata per il lavoro dei Ministeri dei Paesi, ma che permetterà – anche se qualche documento, immaginiamo, potrebbe essere inviato durante l’estate 2025 – al Segretariato, alla società civile, ai centri studi di elaborare previsioni e scenari da presentare poi alla COP, secondo la visione del continuo e ciclico rilancio dell’ambizione in vista poi del successivo secondo Global Stocktake del 2028 e di ulteriori nuovi NDC al 2030.

I nuovi NDC del 2025, si ricorda (paragrafo 170), dovranno avere un orizzonte temporale decennale, quindi includere azioni e politiche fino al 2035 secondo la formula 5+5 approvata a Glasgow due anni fa.

Primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi – Finanza

La decisione sul Global Stocktake non contiene nuovi provvedimenti specifici e rimanda al “pacchetto finanza” adottato in plenaria (vedi sotto) e la gran parte del lavoro sulla finanza di lungo periodo e post-2025 verrà svolto durante la COP29 di Baku nel 2024. Tuttavia, una nota positiva è il riferimento in più punti all’importanza di incrementare i finanziamenti per aiutare i Paesi in via di sviluppo, soprattutto i più vulnerabili, nella transizione. In particolare, il testo “nota” che “rimane fondamentale incrementare i finanziamenti basati su sovvenzioni, prestiti altamente agevolati e strumenti che non portano a indebitamento”, diciture riprese nel pacchetto di decisioni specifiche. Questo è un ulteriore segnale di come anche i Paesi ricchi abbiano ormai accettato di includere nei testi riferimenti al ruolo centrale della finanza pubblica (richiesti con decisione da molti Paesi del Sud del mondo) come elemento negoziale di scambio.

Come per il Fondo perdite e danni, neppure in questa parte di testo ha preso piede in modo netto la proposta dell’Unione Europea di estendere la base dei contribuenti per la solidarietà internazionale. Il testo “ricorda”, infatti, che i Paesi sviluppati “devono” fornire risorse finanziarie in base agli obblighi esistenti secondo la Convenzione, mentre gli altri Paesi sono solo “incoraggiati” a fornire questo sostegno sempre “su base volontaria”. Nessuna nuova imposizione finanziaria esplicita per i nuovi responsabili delle emissioni, pur citati e “incoraggiati”.

Primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi – Diritti Umani

Il testo approvato menziona i diritti umani principalmente nella parte preambolare (non vincolante) e, quindi, manca di inserire chiari e vincolanti riferimenti incrociati nel corpo del testo, che assicurino di fatto una piena operazionalizzazione dei meccanismi di azione climatica, sulla base anche di un approccio orientato ai diritti umani. Nella parte inerente perdite e danni si è dunque perso il relativo paragrafo sui diritti umani. Ciò ha inevitabilmente sollevato dure critiche da parte di molti osservatori vista l’ambizione iniziale del Fondo, almeno in teoria, di garantire la giustizia climatica. L’assenza di un linguaggio sui diritti umani lascia di fatto aperta la porta al rischio che il Fondo possa operare senza che il futuro Board si interessi di questo aspetto, che invece dovrebbe guidare la sua azione.  Così manca la menzione al linguaggio adottato dall’IPCC, che invece ha riconosciuto come l’azione climatica sia più efficace quando radicata nel rispetto, promozione e adempimento dei diritti umani.

In generale, le considerazioni di genere e la conoscenza tradizionale indigena vengono richiamate disordinatamente in varie parti del testo, ad esempio, con riferimento all’adattamento nei paragrafi 55 e 63 della decisione finale. Similmente vengono richiamati nel capitolo finale sui “Prossimi passi”. Tuttavia, il testo lascia ancora una volta indietro le persone con disabilità, menzionate solo due volte e solo nei preamboli. 

Una riflessione più ampia. Per quanto il testo ora comprenda la formulazione “transitioning away from fossil fuels”, esso tuttavia non modifica tout court l’attuale sistema produttivo globale, incompatibile con i diritti e i bisogni delle persone più vulnerabili. Inoltre, l’aver rimandato ogni impegno finanziario specifico alle prossime COP, di fatto, priva il sistema ancora per (almeno) un anno delle risorse necessarie per avviare una transizione equa e giusta e per finanziare collettivamente, oltre che individualmente, l’abbandono delle fonti fossili

“Pacchetto finanza” per il clima

La COP ha adottato un pacchetto di decisioni sul tema della finanza per il clima, che sarà centrale il prossimo anno a Baku: sul nuovo obiettivo quantitativo post-2025, sul comitato permanente sulla finanza, sulla reportistica, sulla revisione del Meccanismo finanziario e sulla finanza climatica di lungo termine. I due testi più rilevanti sono probabilmente quelli sul nuovo obiettivo post-2025 e sulla finanza di lungo periodo.

In merito al primo punto, riassunto nell’acronimo inglese NCQG (new collective quantified goal), il testo si pone l’obiettivo di arrivare in maniera ordinata ad una bozza di decisione avanzata da preparare ben in anticipo rispetto alla prevista data di adozione, ossia COP29 del prossimo anno. Viene adottata l’agenda dei lavori: tre dialoghi tra esperti nel 2024, da tenersi rispettivamente prima degli intermedi di giugno 2024, uno durante gli stessi, quindi uno poco dopo e “molto prima” della COP di Baku, per cui indicativamente tra settembre e ottobre 2024. Questi dialoghi dovranno, inoltre, tenersi in diverse zone del mondo (almeno due) per facilitare al massimo la partecipazione. I tre dialoghi di esperti saranno accompagnati da altrettanti incontri ad hoc del gruppo di lavoro, così da tenere vivo il processo durante tutto l’anno, e tutti i meeting citati dovranno essere aperti alla partecipazione della società civile e degli esperti. I facilitatori dovranno, in questo senso, presentare un calendario delle attività per il 2024 entro marzo. Per spingere il processo, i Paesi decidono inoltre con questo testo di convocare un ministeriale di alto livello sul tema dell’NCQG “ben prima” di COP29.

Per quanto riguarda la bozza sulla finanza di lungo periodo, buona parte del testo è centrata su ormai scontate considerazioni sul mancato raggiungimento dell’obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno in finanza per il clima lanciato nel 2009 con scadenza prima al 2020, rimandata poi al 2025. Singolare – e abbiamo notato che questa modifica ricorre in tutti i testi del “pacchetto” – che ci si riferisca adesso al 2021 come ultimo anno di analisi e di riferimento, visto che probabilmente permane il dubbio sul raggiungimento o meno dell’obiettivo nel 2022. Interessante, invece, la formulazione del paragrafo 12, nel quale la COP “reitera il bisogno di risorse pubbliche e basate su erogazioni” (e quindi no mobilitazione del privato, no finanza basata su prestiti) per la finanza per le azioni di adattamento. 

Si chiede, infine, al Segretariato di presentare, durante la prossima COP, un report sull’assistenza ai Paesi in via di sviluppo nell’identificazione dei propri bisogni finanziari. Anche per questo report, come per altri elementi del pacchetto e dei testi analizzati oggi, risulta tuttavia non esserci ancora un budget a sostegno del programma di lavoro.

Perdite e danni

Sul tema di Perdite e danni questa COP è partita a tutta velocità, con l’inaspettata decisione, adottata già nella prima plenaria del primo giorno, di approvare il pacchetto di regole sul nuovo Fondo redatto dal Comitato di Transizione durante il 2023, quindi con la discussa previsione di stabilire per quattro anni-test il nuovo Fondo sotto la Banca Mondiale.

Si sono poi susseguite nei giorni successivi promesse di impegno finanziario da parte di alcuni Paesi, con delle sorprese. Con un contributo promesso di 100 milioni di euro, l’Italia diventa – assieme a Emirati Arabi Uniti, Germania e Francia – il primo Paese donatore sotto il nuovo Fondo per perdite e danni, contributo annunciato dalla Presidente del Consiglio Meloni in persona qui a Dubai. Interessante, comunque, capire quali saranno le fonti e le modalità di finanziamento di questo contributo, che da quello che abbiamo potuto captare rappresenterà – per l’Italia – più una disponibilità di mobilitazione di finanza privata per progetti di cooperazione e assistenza secondo schemi di prestiti agevolati piuttosto che vere e proprie erogazioni, come invece chiesto dai Paesi del Sud del mondo.

Adottata dalla COP anche la decisione che, dopo un processo di selezione durato un anno, assegna finalmente una casa al Segretariato del Network di Santiago su perdite e danni, lanciato alla COP di Madrid nel 2019. Il Network sarà ospitato da un consorzio tra le agenzie ONU UNDRR e UNOPS, che hanno battuto nella selezione la Banca di Sviluppo dei Caraibi. Allegato alla decisione finale anche il protocollo d’intesa che regola questioni molto pratiche relative a questa assegnazione. Adesso UNDRR e UNOPS hanno un anno di tempo per identificare quale città del mondo ospiterà il Segretariato, secondo criteri di maggior convenienza economica per le Nazioni Unite.

Obiettivo globale sull’adattamento

La finanza è considerata cruciale per l’implementazione del quadro per il nuovo obiettivo globale sull’adattamento (GGA), come anche trasferimento tecnologico e capacity building. Nel testo viene riconosciuta l’importanza di tempestività e prevedibilità dei finanziamenti per l’adattamento e la necessità di migliorarne l’accesso diretto, semplificandone le procedure. Si nota con preoccupazione l’insufficienza del finanziamento per l’adattamento per rispondere al peggioramento degli impatti dei cambiamenti climatici nei Paesi in via di Sviluppo e l’aumento del divario tra bisogni e fondi esistenti, con un impegno dei Paesi a colmarlo. Sui mezzi finanziari, nel testo si fa solo riferimento ad una generica sostenibilità del debito. Troviamo nel testo un appello ai Paesi sviluppati perché arrivino almeno a raddoppiare entro il 2025 i finanziamenti sull’adattamento ai Paesi in via di sviluppo rispetto ai livelli 2019, decisione ampiamente attesa e anticipata già da COP27.

In questa decisione non figurano richiami espliciti alle responsabilità comuni, ma differenziate. Si fissano obiettivi per tutti i Paesi: di aggiornamento di valutazioni di pericoli e impatti dei cambiamenti climatici e dell’esposizione a rischi e vulnerabilità e utilizzarle per formulare i piani di adattamento nazionali; di istituzione di sistemi di allerta precoce multirischio e servizi di informazione sul clima per la riduzione del rischio; su pianificazione, attuazione, monitoraggio e valutazione relativamente alle politiche di adattamento. Sono previsti obiettivi (non specifici) sui temi di acqua, cibo, agricoltura e salute, resilienza di ecosistemi e infrastrutture. Si impone un programma di lavoro per sviluppare ulteriormente obiettivi e indicatori. Si riconosce il ruolo fondamentale delle popolazioni indigene per sviluppare il quadro di riferimento sull’adattamento. E per: proteggere il patrimonio culturale, definire indicatori, metriche e obiettivi nell’implementare l’azione adattiva; attuare il quadro complessivo di adattamento.

Articolo 6

Dopo due settimane di discussioni, i facilitatori dei negoziati sugli Articoli 6.2 (cooperazione bilaterale tra i Paesi sui crediti per emissioni) e 6.4 (nuovo meccanismo globale sullo scambio di crediti per emissioni) hanno dovuto alzare le mani e arrendersi all’assenza di qualsiasi consenso tra i delegati, rimandando – abbastanza a sorpresa – entrambi i temi al prossimo negoziato. Sopravvissuto, invece, il negoziato sull’Articolo 6.8, che tratta degli approcci non di mercato sotto l’Accordo di Parigi.

Importante segnalare le reazioni della società civile. Se da un lato un tema negoziale rimandato rappresenta sempre un passo falso nelle COP e nel processo di implementazione dell’Accordo di Parigi del 2015, non possiamo non notare in questa sede che il dibattito sui crediti per emissioni legati a progetti di “cooperazione” tra Paesi sta diventando sempre più ambiguo e divisivo. La Bolivia qui a COP28 ha addirittura presentato una proposta di moratoria sull’intero pacchetto. Il motivo della diffidenza è la scarsa affidabilità e trasparenza di attori, realtà, progetti del mercato del carbonio negli scorsi, un settore ancora non sufficientemente regolato e non sufficientemente attento alla protezione attiva dei diritti umani delle popolazioni coinvolte a livello locale nei progetti. In questo senso, molte organizzazioni della società civile hanno salutato positivamente l’assenza di accordo, sperando in una maggiore ambizione nei negoziati dei prossimi anni; allo stesso tempo, ricordiamo che le misure immaginate sotto l’Articolo 6 di Parigi dovrebbero servire a contribuire, almeno in teoria, alla riduzione globale delle emissioni, creando sistemi incentivanti per Paesi e imprese. Vediamo comunque di cosa si parlava nei vari negoziati, per punti, e cosa è stato adottato sul meno divisivo Articolo 6.8.

Per quanto riguarda l’Articolo 6.2: erano spariti riferimenti alla scienza e si parlava di un utilizzo di crediti esclusivamente per la neutralizzazione del 10% delle emissioni residue, peraltro esclusivamente tramite progetti di rimozione di CO2. Non c’era accordo sulla terminologia utile a capire cosa si intenda per attività di rimozione e riduzione. Interessante, non c’era neanche consenso sul richiedere informazioni sul rischio di rilascio della CO2 una volta rimossa dall’atmosfera (cosiddetto reversal risk). Ricordiamo che, senza la prova scientifica che la CO2 rimossa rimanga permanentemente nei pozzi di carbonio (carbon sinks), il mercato dei crediti di carbonio potrebbe rivelarsi dannoso per il raggiungimento dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi

Per quanto riguarda l’Articolo 6.4: al paragrafo 24 della bozza si richiedeva all’Organo Sussidiario di Consulenza Scientifica e Tecnologica di continuare a valutare se le attività sotto l’Art.6.4 possano includere le “emissioni evitate” (emissions avoidance). Innanzitutto serve una definizione chiara di cosa si intenda con questo termine, come valutare lo scenario controfattuale con cui ci si confronta per decidere rispetto a cosa si sono evitate emissioni. La rendicontazione di queste emissioni evitate si basa inevitabilmente su ipotesi, con un grado maggiore di discrezionalità rispetto a quanto succede per rendicontare la riduzione di emissioni già esistenti, che possono basarsi su dati. In mancanza di metodologie chiare su come rendicontare le emissioni evitate, il rischio di double-counting o di rilasciare crediti in quantità eccessiva sarebbe elevato. 

I testi finali degli Articoli 6.2 e 6.4. erano inoltre molto deboli dal punto di vista della tutela dei diritti umani, tanto che nella discussione su questo tema si registrava una forte opposizione del Messico all’ultima bozza di testo. Da una parte rimaneva la semplice canonica menzione dei diritti umani nella parte preambolare (non vincolante), tra l’altro del solo Articolo 6.4. (Articolo 6.2. non citava affatto il tema), invece di renderli operativi nel corpo del testo. In merito alle regole a tutela del sistema, segnaliamo che era peraltro sparita dai testi la richiesta al Supervisory Body di stabilire regole di governance per le grandi aziende, volte a prevenire le eventuali ’inefficacia e lesività di progetti (mal) realizzati” proprio sotto l’Articolo 6. 

Per quanto riguarda, infine, l’Articolo 6.8, l’unica decisione approvata consiste in un breve testo diremmo amministrativo, nel quale si incoraggiano i Paesi a partecipare attivamente sulla nuova piattaforma online del Segretariato (dove condividere buone pratiche e proseguire la discussione tecnica durante l’anno), e si chiede al Segretariato stesso di preparare un report su quanto segnalato e proposto dai Paesi entro la prossima COP, così da portare avanti il processo almeno dal punto di vista delle definizioni di base. Non potevamo aspettarci molto di più su un tema ancora ampiamente nebuloso per la maggior parte delle delegazioni, che viene però positivamente citato anche nel Global Stocktake in vista di prossimi sviluppi più operativi.

Giusta transizione

Una decisione su un gruppo di lavoro sulla giusta transizione non può non tenere conto di alcune fondamentali considerazioni di giustizia sociale, e non a caso l’intero quinto paragrafo del preambolo richiama i Paesi a “promuovere e considerare i loro obblighi su diritti umani, diritto alla salute, diritti delle popolazioni indigene, migranti, bambini, persone con disabilità e persone in situazioni vulnerabili”. Sparito ogni attacco al CBAM europeo, attacchi invece molto presenti nell’ultima bozza che avevamo potuto vedere. In più punti si ribadisce poi che “[la giusta transizione] dovrà essere basata su priorità di sviluppo definite a livello nazionale”. Un tentativo di sottolineare, rimarcare con forza il tema da parte dei Paesi in via di sviluppo contro eventuali slanci di ambizione (e quindi di spesa) europei o comunque occidentali

Vengono, quindi, definiti tempistiche e punti-chiave del futuro lavoro del Programma. Esso “dovrà” (shall) partire immediatamente dopo la fine di COP28, nell’ottica di “informare il secondo Global Stocktake” (del 2028). Nel 2026, inoltre, i delegati dovranno fare il punto sui lavori del Programma fino ad allora e decidere, sulla base “dell’efficacia e dell’efficienza” di quanto emergerà, se il programma dovrà continuare o meno oltre il 2026. Questa previsione era già nelle bozze precedenti, l’avevamo bollata come “disordinata” e tale rimane, visto che è quanto mai strano lanciare un programma di lavoro che dovrebbe informare un processo specifico nel 2028, dicendo allo stesso tempo che forse potrebbe essere chiuso due anni prima. Evidenti questioni (anche) di risorse.

In supporto ai lavori formali durante le COP, dovranno tenersi “almeno” due “dialoghi” annuali (per chi ha seguito negli anni il tema di Perdite e danni, ci ricorda qualcosa) a partire da giugno 2024 (prima degli intermedi di Bonn) e, quindi, novembre 2024 (prima della COP29), in formato ibrido per garantire la migliore partecipazione di tutti, anche della società civile – e spendere meno. Si prevede infine la redazione di un report annuale di sintesi dei Dialoghi annuali a cura dei chair di SBSTA e SBI, oltre a un sicuramente più importante report che riassuma tutti i lavori del Programma verso il secondo Global Stocktake, al netto dell’incoerenza di orizzonti temporali notata poco sopra.

Mitigation work programme

Prima di questa COP sembrava che il Programma di lavoro sulla mitigazione potesse essere del tutto abbandonato. Invece è entrato in agenda, se ne è discusso, ma con risultati a nostro avviso deludenti. Nelle tre pagine della decisione finale troviamo poco contenuto e molte questioni procedurali. Non si parla di uscita dai combustibili fossili, non si parla del picco delle emissioni al 2025, non si parla in alcun modo di come rendere il programma concreto tramite azioni finanziate. Non si parla neanche della durata del programma stesso.

Il confronto ha fin da subito mostrato le tensioni tra i Paesi: mentre Unione Europea, Australia e altri Stati premevano per un documento che indicasse temi chiari, i G77, rappresentati da Cina e Arabia Saudita, sostenevano che ancora non vi fosse un mandato degli Stati a produrre una bozza di testo. I facilitatori delle sessioni negoziali, dal canto loro, un testo l’avevano prodotto e conteneva, al secondo giorno di COP, spunti quali la necessità di “raggiungere un picco delle emissioni ben prima del 2025” e “ridurre le emissioni del 43% entro il 2030 rispetto al 2019”, “raggiungendo il Net Zero entro il 2050”. Nella giornata di domenica 3 dicembre, un confronto informale aveva prodotto una proposta pratica di azioni da mettere in campo ma alcune delegazioni, fra cui proprio Cina e Arabia Saudita, non avevano partecipato alla sessione. I ripetuti appelli di questi ultimi a non duplicare i risultati del Global Stocktake e ad attenersi al mandato di Sharm el-Sheikh, a loro dire puramente procedurale, ha svuotato il testo di contenuti. Già dalla giornata di lunedì 4 dicembre ha, infatti, preso la forma di tre pagine, appunto, vuote, se non per alcune indicazioni operative sulle modalità di riunione relative ai “global dialogues and investment focused events” previsti dal programma.

Action for Climate Empowerment (ACE)

Il tema è stato purtroppo rimandato al prossimo negoziato. Questa COP28 sembrava però poter portare sviluppi importanti: il punto centrale riguardava la proposta del G77 e della Cina di includere nel processo COP una sessione nei Dialoghi ACE annuali allo scopo di discutere modi e mezzi per migliorare la disponibilità e l’accessibilità dei finanziamenti per il filone di lavoro. Purtroppo non è stato raggiunto un accordo tra le Parti in merito al finanziamento di queste azioni, e per la prima volta su questo tema i Paesi hanno fatto ricorso alla regola 16, che prevede la possibilità di posticipare il tema al negoziato successivo in assenza di alcun consenso.

Natura e biodiversità

Sul tema della biodiversità il testo del Global Stocktake sottolinea l’urgente necessità di proteggere, conservare e ripristinare la natura e gli ecosistemi per un’azione efficace e sostenibile sul clima e dunque per raggiungere l’obiettivo di temperatura dell’Accordo di Parigi. Questo deve avvenire assicurando al tempo stesso le garanzie sociali e ambientali, in linea con con il Quadro Globale sulla Biodiversità di Kunming-Montreal. Viene enfatizzata l’importanza degli investimenti, delle risorse finanziarie, del trasferimento tecnologico e del capacity building per arrestare e invertire la deforestazione e il degrado forestale entro il 2030. Si riconosce inoltre l’importanza di garantire l’integrità di tutti gli ecosistemi, compresi quelli delle foreste, degli oceani, delle montagne e del criosfera. Purtroppo non vediamo ancora un coordinamento tra i due temi clima e biodiversità, nel Global Stocktake manca anche un minimo accenno ad un link istituzionale tra i due processi, per noi sempre più necessario.

Greenwashing

Non è presente in alcun punto del testo il rimando alle raccomandazioni dell’High Level Expert Group sugli impegni a emissioni net-zero degli attori non statali, con l’obiettivo di aumentare trasparenza e accountability degli impegni climatici di aziende, investitori, città e regioni. A COP27 il Segretario Generale dell’ONU Guterres aveva invitato gli attori non statali a pubblicare i propri impegni net-zero su una piattaforma pubblica affinché confluisca nel portale ufficiale dell’UNFCCC entro COP28. Non ne abbiamo trovato traccia a Dubai.

*Articolo a cura della Delegazione Italian Climate Network a COP28