L’insanabile distanza tra realtà e rappresentazione – Foucault interpreta Magritte

di Chiara Taiariol, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile

_

Il filosofo con cui Magritte intrattenne più rapporti fu Foucault, che scrisse nel 1973 “Questa non è una pipa”, un saggio sul pittore. Con questo scritto Foucault evidenziò alcuni aspetti importanti delle implicazioni figurative e filosofiche nella ricerca artistica di Magritte. È interessante notare che una produzione artistica che viene spesso considerata molto semplice e diretta, nasconda in realtà una visione molto specifica delle cose e della loro interpretazione.

Il bar delle Folies-Bergère, Édouard Manet, 1881-1882

Donna alla finestra, Caspar David Friedrich, 1822

Foucault afferma che il fatto che una figura dipinta somigli a una figura del mondo reale basta perché s’insinui nel gioco della pittura un enunciato banale: “Ciò che vedete è questo”. Nel dipinto “Il bar delle Folies-Bergére” di Manet, ad esempio, la rappresentazione è coerente con il titolo, così come in “Donna alla finestra” di Friedrich. In entrambi i quadri i soggetti sono riconoscibili dall’osservatore, che può affermare con certezza che quello che vede è proprio un locale o una donna alla finestra.

Composizione VIII, Vasilij Kandinskij, 1923

A infrangere questo automatismo ha provveduto l’arte astratta, alla quale Foucault si riferisce facendo il nome di Kandinskij. I suoi quadri si incentrano non su oggetti del mondo esterno immediatamente riconoscibili, bensì su forme geometriche, linee, macchie, colori, oppure sul gesto stesso dell’esecuzione. In “Composizione VIII” l’osservatore non è sicuro di ciò che vede e può solo fare delle ipotesi su quale sia il vero soggetto della rappresentazione. Kandinskij ha dunque congedato in un gesto sovrano e unico la vecchia equivalenza tra somiglianza e affermazione: ha liberato la pittura dall’una e dall’altra.

Golconda, Renè Magritte, 1953

Renè Magritte sembra porsi in controtendenza rispetto a innovatori come Kandinskij: la sua pittura sembra, più di ogni altra, legata all’esattezza delle somiglianze.Come potevamo confermare che la donna nel quadro di Friedrich era proprio una donna, ancora più facilmente riconosciamo la natura umana dei soggetti di Golconda, che sembrano ripetuti in serie.

In realtà Magritte scardina l’equivalenza tra il fatto della somiglianza e l’affermazione di un legame rappresentativo. La pittura di Magritte infatti mantiene solo in apparenza uno stretto rapporto con la mimesi dell’oggetto: il pittore si impegna ad impedire in maniera sistematica la definizione immediata e la visione abitudinaria di quel che viene mostrato nel quadro. Lo scopo è quello di disingannare l’occhio dello spettatore, liberandolo dalla pigrizia di ogni percezione automatica. Magritte raggiunge il suo obiettivo con due espedienti: l’atmosfera misteriosa che caratterizza le sue opere e l’ambiguità dei titoli.L’atmosfera è misteriosa perché il dipinto è allo stesso tempo familiare per le figure che mette in scena e insolito per la giustapposizione di oggetti e ambientazioni. I titoli sono scelti in modo tale che l’osservatore non riesca a collocare i quadri in una regione familiare che l’automatismo del pensiero non mancherebbe di richiamare alla mente. Anche quando sembra esserci corrispondenza tra il titolo e il soggetto del dipinto, altri particolari intervengono a complicare le cose.

L’arte della conversazione, Renè Magritte, 1963

Lo mostra ad esempio L’arte della conversazione: si riconoscono due minuscoli personaggi intenti forse a conversare, che occupano però un ruolo marginale nel quadro. Il soggetto principale sembra piuttosto essere la parete di blocchi di pietra che s’innalza presso di loro. Alla base della parete, alcuni di questi blocchi formano il vocabolo rêve (sogno).

La pittura, quindi, non può instaurare rapporti di somiglianza tra segni pittorici e mondo reale. Scrive Magritte: “Le cose non hanno somiglianze tra loro, hanno o non hanno delle similitudini. Spetta soltanto al pensiero di essere somigliante. Esso somiglia essendo ciò che vede, intende o conosce, esso diventa ciò che il mondo gli offre”. Si tratta di un passo tratto da una lettera indirizzata a Foucault. In essa Magritte sostiene che non andrebbero confusi i due concetti di somiglianza e similitudine, che il filosofo utilizza indifferentemente in Le parole e le cose (1966).
Con la sua lettera Magritte sembra inserirsi nel dibattito semiotico sull’iconismo che si accese negli anni sessanta e settanta del novecento. Si opponevano iconisti, tra cui Tomàs Maldonado, e iconoclasti, tra cui molti semiologi, come Umberto Eco e Algirdas Greimas. Gli iconoclasti sostenevano la sostanziale naturalità del rapporto di somiglianza tra immagini e oggetti rappresentati, mentre gli iconisti facevano leva sulla componenteculturale e convenzionale di questo rapporto. La somiglianza, fino a Peirce e oltre, è considerata una relazione tra due (o più) oggetti che condividono una proprietà. A riguardo, Umberto Eco metteva in dubbio il concetto di somiglianza e preferiva parlare di regole per la produzione di similarità, avvicinandosi al pensiero di Magritte.

Decalcomania, Renè Magritte, 1966

Magritte riteneva che un’immagine dipinta avesse solo similitudini possibili con aspetti del mondo visibile. Foucault nota che ci sono opere del pittore belga in cui la similitudine viene utilizzata contro la somiglianza.

Un esempio è Decalcomania: sul lato sinistro c’è un uomo, visto di spalle, mentre osserva un paesaggio; a destra, una tenda rossa dovrebbe occultare per intero tale paesaggio, ma a sorpresa lo rende in parte visibile, perché presenta un ampio ritaglio che corrisponde esattamente alla figura dell’uomo. Questa, afferma il filosofo, è l’opera in cui meglio “… si coglie il privilegio della similitudine sulla somiglianza: questa dà da riconoscere ciò che è ben visibile, mentre la similitudine dà da vedere ciò che gli oggetti riconoscibili, le silhouettes familiari, nascondono, impediscono di vedere.”

Concludendo, la pittura di Magritte si fonda su un’insanabile distanza tra realtà e rappresentazione: la realtà è una dimensione che può essere raggiunta solo dal pensiero, mentre la rappresentazione è un mondo a parte, chiuso in una rete di similitudini che possono solo tentare di indagare il mondo (in quanto inconoscibile) ma non possono emularlo. Quello di Magritte non è soltanto un discorso sull’arte, ma sul mondo: la realtà è complessa e nel tentativo di emularla irrompono delle complicanze che non possono essere trascurate.Va sempre considerata la presenza di una distanza, di uno scarto, tra quello che percepiamo e quello che possiamo trasmettere a riguardo.

L’emulazione (intesa come somiglianza) risulta impossibile: è incomunicabile la nostra visione della realtà nella sua essenza. Cogliere la rete di similitudini può aiutare ad avere una visione più elastica e, nel migliore dei casi, a colmare (senza annullare) lo scacco dell’individualità.

Bibliografia

Foucault, M., Questa non è una pipa, 1973
Marmo, C., Segni, linguaggi e testi. Semiotica per la comunicazione, 2014