L’alimentazione vegetale: un limite o un’opportunità?

Il nostro sistema alimentare, essenzialmente onnivoro, non è più sostenibile: contribuisce alla produzione del 37% delle emissioni totali di gas ad effetto serra. L’alimentazione a base vegetale costituisce una valida alternativa ed una scelta sempre più necessaria: molteplici sono i benefici ad essa collegati. E se questo cambiamento fosse un’opportunità anziché un limite?

Di Mayra Boscato

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Ricordo chiaramente la sensazione avuta qualche mese fa quando, entrando al supermercato alla disperata ricerca di una confezione di tofu, rimasi allibita di fronte allo scaffale vuoto. Non era terminato solo il tofu al naturale ma anche quello al basilico, così come quasi ogni alternativa vegetale presente nel ripiano: dalle polpette ai “burger” di verdure. Ricordo chiaramente di aver provato sentimenti contrastanti. Da un lato la rabbia: avrei dovuto pensare ad un’alternativa per la cena. Dall’altro però sentivo anche un piacevole senso di sorpresa e gratitudine: noi consumatori stavamo scegliendo qualcosa di diverso al punto tale da lasciare quasi del tutto sfornito il “reparto” vegano del supermercato.

L’alimentazione costituisce una parte essenziale della nostra vita, tuttavia, il sistema alimentare del ventunesimo secolo non è (più) sostenibile. È dimostrato che le emissioni di gas ad effetto serra connesse a questo sistema arrivino a superare il 37% delle emissioni totali, superando così il settore dei trasporti (18,5%) e quello del riscaldamento degli edifici (23,6%). Oltre a ciò, si deve considerare anche l’enorme utilizzo di risorse idriche che questo implica e le conseguenze a livello di deforestazione e perdita della biodiversità. Il nostro pianeta ne sta risentendo ma non è il solo: anche gli animali e, a dire il vero, anche noi stessi come popolazione umana. Barilla Center stima che più di un terzo del cibo prodotto venga buttato o sprecato e se da un lato sono più di 820 milioni le persone che soffrono la fame, dall’altro sono ben due miliardi le persone sovrappeso o obese. In generale, mangiamo 7/8 volte di più di quanto sarebbe raccomandato: questo influisce, tra l’altro, sulla possibilità di sviluppare disturbi cardiovascolari e respiratori.

 

Un’alimentazione a base vegetale non avrebbe effetti positivi solo sulla salute umana ma anche sull’ambiente ed ecosistema in generale, essendo maggiormente assicurata la conservazione della biodiversità ed un uso più ragionevole delle risorse. Inoltre, scegliendo questo tipo di dieta, si potrebbe mettere fine a quegli allevamenti intensivi che causano indicibili sofferenze agli animali. E’ poi una questione di giustizia sociale: l’alimentazione vegetale permetterebbe di sfamare una parte molto più consistente parte della popolazione mondiale in modo decisamente più sostenibile. 

Se dunque è stato dimostrato che un’alimentazione diversa può fare la differenza a livello di impatto ambientale, è fondamentale che il consumatore sia consapevole del contributo che può dare ed in che cosa consista. Su-Eatable Life, un progetto europeo che mira a ridurre l’impatto ambientale connesso alle nostre abitudini alimentari, ha elaborato otto principi chiave alla base di un’alimentazione sana e sostenibile nonché una serie di indicazioni per una dieta altresì nutrizionalmente bilanciata.

“I giovani ed i consumatori in generale sono pronti a cambiare le proprie abitudini per combattere il cambiamento climatico”, così si esprime Cecilia McAvealey che, durante la conferenza “From Farm to Fork” rappresenta Oatly, azienda danese che produce alternative ai prodotti lattiero-caseari dall’avena. Affinché il cambiamento avvenga e sia davvero sostenibile è però necessario che la ricerca e innovazione di prodotti a base vegetale venga agevolata e valorizzata, anche attraverso sussidi. Allo stato attuale, infatti, le imposte sul valore aggiunto (c.d IVA) sui prodotti vegani sono dalle due alle tre volte più alte rispetto agli altri prodotti. E’ essenziale che vengano create le condizioni per lo sviluppo di un mercato non discriminatorio in cui i consumatori che optano per le alternative vegetali non vengano penalizzati. Un altro aspetto critico, evidenziato dalla stessa McAvealey, riguarda i prezzi di questi prodotti che sono spesso fuorvianti: secondo la responsabile svedese sarebbe invece preferibile mettere in evidenza l’impronta di carbonio di ciascun prodotto. Un pasto per essere considerato sostenibile dovrebbe avere un’impronta di carbonio che va da 0.80 a 1 kg CO2 eq. pasto/g; mentre l’impronta idrica dovrebbe oscillare tra i 700 e i 1000 litri pasto/g.

 

Passare ad un’alimentazione a base vegetale è una scelta importante e sempre più necessaria ma allo stesso tempo può risultare drastica e faticosa. Per questo motivo, le aziende sempre più prevedono modalità tali da incentivare i consumatori a cambiare dieta. GreenApes, una società benefit,  predispone delle app in cui gli utenti, condividendo le loro azioni, idee e consigli green con la community, si ispirano a vicenda e guadagnano punti per accedere ad eco-premi e sconti. SRA (Sustainable Restaurant Association) invece è una ONG che supporta più di 8.000 ristoranti e attori nel settore alimentare attraverso valutazioni di sostenibilità e servizi di consulenza e formazione, con lo scopo di rendere la sostenibilità parte fondante del DNA del settore alimentare aiutando anche le persone a capire cosa rende il cibo buono. È chiaro come un’alimentazione a base vegetale implichi sapori completamente diversi. Mc Avealey si sofferma sulla necessità di una responsabilizzazione degli chef anche sotto questo aspetto: devono essere formati per poter capire come funziona la cosiddetta “cucina climatica” e che sapore diverso hanno alcuni prodotti per essere sfruttati al meglio.

Ed in effetti, oltre a tutte le buone ragioni che possono supportare una scelta come quella dell’alimentazione vegetale, c’è anche l’aspetto della varietà e dei nuovi sapori. Si scoprono nuovi prodotti, nuove combinazioni, ci si stupisce di quanti colori possa avere un solo piatto, ci si emoziona di fronte ad un banco del mercato pieno di prodotti di stagione, semplicemente si prova gioia pensando di aver contribuito, seppur in piccola parte, al cambiamento. Ecco che il cambiamento, quello climatico sì, ma anche quello alimentare può diventare un’opportunità anziché un limite.