La difesa delle foreste è salute pubblica globale

L’ambiente è essenziale per la vita umana. Sembra un’asserzione scontata, ma le sue implicazioni sono più e più intricate di quanto si possa pensare. Il report della task force scientifica di Harvard cha ha voluto studiare la correlazione tra ecologia e pandemia ne ha messa in evidenza una in particolare: la salute degli esseri umani dipende anche dalle condizioni di conservazione delle aree forestali.

Di Carlotta Zaccarelli, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

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La prima notizia è che non siamo al sicuro da un nuovo rischio pandemico. Non lo siamo mai stati, d’altronde. La seconda notizia è che il rischio pandemico è strettamente legato alla protezione dell’ambiente. 

Sono le due informazioni che aprono il report della task force scientifica sulla prevenzione delle pandemie messa in piedi dall’ Harvard Global Health Institute e dal Center for Climate, Health, and the Global Environment della Harvard T.H. School of Public Health con lo scopo di individuare i punti chiave per sviluppare ricerca e pratiche globali per – appunto – prevenire le pandemie. 

Un altro concetto fondamentale che scorre attraverso lo studio è “spillover” (salto di specie, in italiano): è il passaggio di un patogeno da una specie all’altra. Si tratta di un meccanismo che potenzialmente genera epidemie, che si trasformano in pandemie quando l’infezione si allarga superando i confini internazionali e colpendo un vasto numero di persone. Ora, secondo la task force di Harvard, il rischio pandemico maggiore è dato dallo spillover di virus da animali selvaggi all’essere umano, un processo che avviene più facilmente quando gli uni e gli altri si avvicinano fino ad arrivare a convivere in modo incontrollato, non pianificato, non debitamente sorvegliato. In questo contesto, i virus degli animali selvaggi incontrano nuovi organismi da infettare che moltiplicano esponenzialmente la loro possibilità di riproduzione e sopravvivenza. I microrganismi sono così incentivati ad attaccare i nuovi potenziali ospiti, mutando le loro caratteristiche per aumentare la loro efficacia – se necessario. Quindi, spillover. Poi, epidemie e/o pandemie. 

Questo scenario si verifica sempre più spesso a causa di attività umane che incidono negativamente sugli equilibri ambientali, perché espandono appunto le occasioni di promiscuità tra esseri umani e animali selvaggi. La prima e più grave di simili attività è rappresentata dalla crisi climatica. O per meglio dire, i cambiamenti climatici rappresentano la somma di tutte le attività umane che danneggiano il Pianeta e ha, tra le sue conseguenze, la probabilità di aumentare il rischio pandemico perché causa la distruzione degli habitat naturali in cui le specie selvagge vivono. Gli animali sono costretti a migrare, spostandosi dove trovano cibo e riparo. Spesso, ciò significa avvicinarsi ai centri abitati, alle persone. Da qui, si innesca il meccanismo del salto della specie. Le probabilità di una sua riuscita, ossia dell’insorgere di una nuova malattia infettiva tra gli uomini, sono aumentate dal fatto che la crisi climatica determina il successo in termini di sopravvivenza degli animali geneticamente più forti, che diventano riserve di un numero maggiore di virus e di virus più resistenti. 

Altro intervento antropico che porta con sè il rischio di trasmissione zoonotica (ossia animale-uomo) di patogeni è la modifica nell’uso delle terre: l’uomo cambia, con metodi spesso ecologicamente violenti, la funzione dei terreni, il modo in cui sono usati, la loro posizione all’interno dell’ecosistema. È un fenomeno estremamente frequente: tra il 1960 e il 2019, circa un terzo della superficie terreste è stata oggetto di un cambiamento nel suo utilizzo. E circa un terzo delle malattie infettive originate da uno spillover è stato causato da questo cambiamento. Cambiamento la cui forma forse più evidente e conosciuta è la deforestazione

Sono addotte molte scuse per la devastazione indiscriminata delle aree forestali. La più frequente è la necessità di ottenere o allargare aree agricole, per cui vaste porzioni di foreste sono date alle fiamme o rase al suolo per creare campi da coltivare con metodi spesso industriali. Come la crisi climatica, ciò comporta la distruzione di habitat naturali e le relative conseguenze. I confini delle foreste soprattutto diventano luoghi di incontri più promiscui tra animali selvaggi e uomini, zone di incubazione di virus patogeni all’origine di estese epidemie. Dal 1940, più del 50% delle malattie infettive di origine animale sono emerse a causa della sempre crescente ricerca di nuovi terreni agricoli. 

Oltre all’avanzata delle coltivazioni, le foreste sono minacciate anche dall’espansione degli allevamenti: gli alberi vengono abbattuti per fare spazio a pascoli e grandi capannoni. Gli habitat naturali di specie selvatiche non esistono più e questi animali sono spinti ad avvicinarsi agli allevamenti, dove trovano mangimi e un tetto. I loro virus trovano invece altri organismi da infettare, organismi che spesso hanno un patrimonio genetico ristretto (per cui i virus non dovranno mutare spesso per adattarsi a sistemi vitali diversi) e vivono in condizioni igieniche scarse. La trasmissione di malattie infettive da animale selvaggio ad animale domestico e tra animali allevati è facile in questo contesto, dove si creano le condizioni anche per salti di specie animale-uomo attraverso l’intermediazione degli stessi animali addomesticati. Ciò significa che al meccanismo più semplice dello spillover si aggiunge un anello: il virus proveniente da un animale selvatico infetta prima gli animali allevati per poi passare da questi agli esseri umani. La probabilità che il secondo salto avvenga è alta perché gli animali allevati condividono spesso molti virus con l’uomo. E otto tra le prime dieci specie mammifere con questa caratteristica sono animali domestici: maiali, bovini, cavalli, pecore e capre sono veicoli particolarmente adatti alla trasmissione virale verso gli esseri umani. 

Infine, una terza causa di deforestazione è l’urbanizzazione, il cui ritmo di crescita è molto rapido: nel 2020, il 56,2% della popolazione mondiale viveva in ambienti urbani. Si stima che la percentuale salirà al 60% entro il 2030. La dimensione dei centri urbani è destinata a crescere e le foreste vengono eliminate anche per fare spazio ai nuovi insediamenti. Ma l’alta densità abitativa e le spesso povere condizioni igieniche che si trovano in alcune periferie di città sono fattori di potenziamento delle trasmissioni virali. Senza contare che i nuovi insediamenti, sorti in zone dove prima c’erano gli habitat naturali di specie selvagge, sono riciclati da queste ultime come nuovi ambienti in cui stabilirsi: di nuovo, si creano le condizioni di un maggiore contatto tra animali selvatici ed esseri umani. 

Diventa allora chiaro, sottolinea il report di Harvard, che è proprio questo contatto a dover essere evitato – o diminuito. A questo scopo, lo studio suggerisce innanzitutto di pianificare e implementare interventi di conservazione forestale che possano ridurre il rischio di trasmissione di patogeni. In altre parole, gli scienziati suggeriscono di adottare politiche che proteggano l’ecosistema forestale e gli habitat in esso inclusi. Altra serie di misure per contenere potenziali spillover sono gli interventi ecologici. Esempi sono l’uso di nemici naturali per contenere la popolazione di animali che trasmettono più facilmente malattie all’uomo e la conservazione di aree umide che tengano distanti gli animali selvaggi dagli uomini e dai loro animali domestici. 

In generale poi, il team di esperti che ha compilato la ricerca per l’Università statunitense sottolinea che queste misure devono avere carattere globale. Se la protezione dell’ambiente naturale è un consiglio valido soprattutto per quelle regioni dove le politiche ecologiche sono più lacunose (aree tropicali per prime), è fondamentale che tutti i Paesi si impegnino per ridurre le emissioni di gas serra, per salvaguardare gli habitat delle specie selvagge sui loro territori, per mettere freno all’espansione indiscriminata dei campi e delle città. È essenziale che tutti i Paesi si impegnino a monitorare l’azione antropica sulla natura e le conseguenze dell’interazione, forzata o meno, degli animali selvaggi con gli animali domestici e gli esseri umani. Si parla dunque di cooperazione internazionale e di strategie mondiali di prevenzione pandemica. Sono misure tanto più urgenti quanto più si considerano i numeri. 

In primo luogo, i numeri dei patogeni virali ancora non identificati. Le proiezioni scientifiche stimano che le specie di virus ancora sconosciute ma provenienti dalle principali famiglie virali zoonotiche (ossia i tipi di virus teoricamente in grado di fare lo spillover) siano 1,67 milioni. E che, tra queste specie, i virus potenzialmente capaci di saltare le specie si aggirino tra i 631mila e gli 827mila. Significa che ci sono circa 730mila virus sconosciuti che potrebbero infettare l’essere umano e causare una pandemia. Il dato è da inserire in un contesto mondiale in cui le malattie infettive emergenti, quelle “nuove” per così dire, sono cresciute in numero e frequenza negli ultimi cinquant’anni e in cui il 50% di queste malattie è causato da spillover di virus.

E se questi dati non bastassero, ci sono i numeri dell’economia. Investire in politiche di prevenzione pandemica a livello globale, quindi anche in politiche ecologiche davvero efficaci, significa anche prevenire perdite finanziarie e commerciali immense: il Covid-19, per esempio, costerà al Pil mondiale circa 4 trilioni di dollari – ossia 40 miliardi all’anno, per un secolo. Il budget internazionale destinato alle attività di prevenzione di spillover ammonta a circa 4 miliardi di dollari all’anno: un decimo dei danni economici causati dalla pandemia ancora in corso. Sicuramente, non abbastanza per salvare dalla povertà assoluta milioni di persone.

Come due erano i fatti inequivocabili dai quali è partita questa riflessione, due sono le conclusioni alle quali giunge. La difesa dell’ambiente è una questione di salute pubblica mondiale: proteggere la natura è necessario per evitare epidemie e pandemie. Ne consegue che la difesa dell’ambiente è una condizione necessaria per la vita umana su questo Pianeta. 

Dobbiamo prenderne atto e agire di conseguenza. Adesso.