“Il movimento per il clima sta ripoliticizzando il dibattito pubblico”

Intervista a tre attivisti di Extinction Rebellion, dopo due settimane di proteste fuori dai cancelli della COP26. “ C’è necessità chiara di cambiamenti radicali.”

Di Rosa Maria Currò e Simone Predelli

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A conclusione della COP26 il bisogno di portare in questa piattaforma le voci del dissenso è cresciuto forte e chiaro. Ci siamo impegnati, quindi, per incontrare le persone che dall’Italia sono venute qui per manifestare con Extinction Rebellion (XR). Sotto il cielo cupo di Glasgow abbiamo riassunto l’esperienza di chi queste due settimane non le ha spese negli edifici, da una parte o dall’altra del fiume, ma proprio fuori dai cancelli, al freddo e sotto la pioggia, costantemente vigilati dalle forze dell’ordine e giudicati da chi li chiama “radical-chic”, “eversivi”, “oltranzisti”. 

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Non sono le uniche voci assenti da questo dibattito globale in cui, purtroppo, la disuguaglianza pesa ancora molto, ma nel poco che possiamo fare, abbiamo deciso di dare loro uno spazio di libera parola ed espressione, fuori da quelle narrative “paternaliste” (come loro stessi le descrivono) tanto care ai media mainstream. Abbiamo parlato con Marco Pitò, 22 anni; Annalisa Grattei, 53 anni; e Naida Samonà, 40 anni e questo è il risultato.

Innanzitutto, ci potreste raccontare dei movimenti secondo voi più forti fatti da XR durante G20 e COP26?

Naida: Durante il G20 era impossibile avvicinarsi alla “nuvola”, la zona dove si svolgevano i lavori. Non potendo avvicinare i luoghi del potere, domenica abbiamo deciso di essere presenti tra l’Altare della Patria e il Quirinale: quattro di noi si sono incatenati ai cancelli dei Mercati di Traiano mentre altri hanno bloccato Via Nazionale a Roma, abbiamo ottenuto una buona visibilità e speriamo di aver diffuso il nostro messaggio

Marco: Alla COP26, invece, siamo stati tutti i giorni fuori dalla venue presidiando dalle 9 del mattino fino a sera. Abbiamo anche fatto delle azioni come la Marcia per il Clima di sabato 7 novembre. Molto forti sono stati degli scienziati che si sono incatenati al ponte di San Giorgio per simboleggiare il disinteresse nei confronti della scienza. 

Nel contesto italiano i movimenti di piazza sono ritornati grazie alla crisi climatica, come vedete la situazione e quali sono le peculiarità della vostra esperienza?

Marco: Nella mia esperienza, l’Italia è più repressiva rispetto a Belgio e UK; però ci sono gruppi in un sacco di parti del mondo, anche in luoghi di violenza maggiore e di Stati autoritari. Il movimento per il clima ha rimobilitato la società civile e sta ripoliticizzando il dibattito pubblico.

Neida: L’Italia ha due grandi problemi: il fatto che i movimenti per diritti civili non hanno trovato subito unione e intersezionalità con quelli per il clima, cosa che stiamo risolvendo. Ben più dura da risolvere è la narrazione paternalista dei media mainstream: la battaglia è descritta come “carina” perché la fanno “i ragazzi”. Questo sottrae portata politica e radicalizzazione alle istanze di tutti noi, anche dei giovani.

Rispetto alla narrazione istituzionale e al “dalla protesta alla proposta” di Cingolani, come descrivereste il vostro rapporto con le istituzioni?

Marco: Parlano su di noi non con noi. Abbiamo già lanciato campagne, ci sono proposte anche sul sito di Fridays for Future che basterebbe leggere. XR, ad esempio, propone assemblee cittadine per migliorare il sistema democratico che siano costituite da cittadini estratti a sorte secondo cluster demografici e che possano essere formati per prendere decisioni rispetto ai cambiamenti da fare per il clima.

Naida: Le proteste non ci sarebbero se in 27 anni avessero dimostrato di voler risolvere anche un solo problema, soprattutto quando ancora c’era tempo di farlo in maniera graduale. Cingolani dice che gli ambientalisti sono oltranzisti, ma i veri oltranzisti sono i governanti che non fanno nulla per una crisi che minaccia l’intero genere umano. Cos’è più radicale tra essere disposti a farsi arrestare in strada e non fare nulla per una crisi del genere pur di continuare a fare i giochi delle multinazionali e dei pochissimi che si arricchiscono con queste crisi?

Cosa pensate della Cop e del ruolo che i privati e le aziende hanno all’interno dei negoziati e delle soluzioni

Annalisa: Non mi aspettavo avessero un ruolo così rilevante, la Green Zone è tutta dedicata a loro mentre non dovrebbero avere alcun ruolo. Loro sono i principali autori del silenziamento del problema climatico e ora sembrano attori principali delle soluzioni. 

Naida: Nessuno ha fiducia in quello che succede nei negoziati. Trasversale a tutti i movimenti è il bisogno di una democratizzazione dei processi. Non c’è più nemmeno la sovranità nazionale, perché queste multinazionali sono in grado di manovrare tutte le politiche specialmente quelle economiche. Di pari passo con la sfiducia per i summit c’è anche la fiducia che sempre più gente dal basso è consapevole e chiede un modo per partecipare veramente.

Cingolani parla chiaramente di “alleanza pubblico-privato” per raggiungere i 100 miliardi e spesso si dice che se l’essere green è conveniente a livello di mercato allora le aziende possano essere meglio della politica a risolvere la crisi, che ne pensate?

Annalisa: Se facessero pagare tasse alle grandi compagnie magari il problema dei 100 miliardi lo si risolverebbe. Il ruolo dei privati non è trasparente. Il governo emana leggi per tutelare aziende che non sono state abbastanza veloci a convertirsi e preferisce mantenere le centrali a carbone per sopperire alle carenze energetiche invece che immagazzinare l’energia prodotta dall’eolico e dal solare. Questa è una scelta politica per proteggere le aziende. I privati non possono essere i nostri “risolutori”, non hanno interesse a una transizione realmente giusta e a un cambio netto del sistema.

Un grande problema della COP è che quando si parla di “salvarci” si intende “salvare il sistema” e quindi mantenere il modo di vivere che c’è adesso. È possibile un compromesso tra il sistema visto dalle aziende e quello richiesto dal basso?

Naida: Questo è il problema di costruire statue d’oro per le aziende se ci concedono le noccioline. Si radica sul mantenere questo sistema di crescita infinita in un modo finito. è chiaro che quello che si cerca di portare avanti, che è liberista e capitalista,  grava poi sulla pelle delle persone. Come dice Greta Thunberg: “É inutile non parlare delle radici dei problemi quali il colonialismo passato e presente”. C’è necessità chiara di cambiamenti radicali. Questo non significa tornare all’età della pietra, la maggior parte di noi, come io stessa ho fatto, dovrebbe fare dei cambiamenti piccoli e non è affatto detto che questi rendano più infelici, anzi. Siamo già sempre più impoveriti e precari se si considera la classe media e quella svantaggiata, sono altre le persone per cui i cambiamenti sarebbero grossi. 

Annalisa: Questo discorso è assente in tutti i gruppi. Bisogna capire che non esiste il “disaccoppiamento”, staccare le emissioni dalla produzione attraverso lo sviluppo tecnologico è un miraggio. Questa è una crisi non solo climatica ma anche ecologica. Si è già dimostrato che il disaccoppiamento c’è sempre all’inizio dell’uso di nuove tecnologie ma poi sparisce con l’aumento dei consumi e la maggiore richiesta di risorse. Così facendo si rinvia il problema di 20 anni, e poi? Questo tema non è mainstream perché interroga tutti noi sui nostri consumi, io non penso che nessuno possa mantenere il suo stile di vita, per questo è scomodo parlarne.