Di montagne e di libri, una chiacchierata con Marco Albino Ferrari

La montagna è una scuola di vita, soprattutto per i giovani. La responsabilità del fare, dell’esserci in un modo concreto, ma anche del rispetto per l’ambiente che ci circonda, si impara prima di tutto in montagna.

Di Ilaria Bionda, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile
Foto di Lukas Del Giudice

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Durante il secondo tempo del 69° Trento Film Festival abbiamo avuto l’occasione di incontrare Marco Albino Ferrari, scrittore e giornalista, fondatore di Meridiani Montagne e autore di Mia sconosciuta, vincitore del Premio ITAS del Libro di Montagna 2021. Lo abbiamo intervistato per parlare di montagna, giovani e libri.

Marco Albino Ferrari – foto di Ilaria Bionda

Il suo recente libro “Mia sconosciuta” parla del rapporto tra una madre e il figlio con la montagna come sfondo. Lei crede che anche la montagna possa assumere una funzione materna e dare degli insegnamenti esattamente come una madre?

La montagna può essere una scuola di vita, anzi lo è per la maggior parte delle persone che fin da giovani si affacciano alle sue pendici e poi salgono. Una scuola di vita perché mette in relazione il fare con l’imparare e mette di fronte a delle responsabilità. Se si sbaglia non è sempre facile riparare, non è sempre facile fare ctrl + z come si fa con il computer e rimediare subito. Se si dimentica qualcosa nello zaino, ad esempio, se si dimentica la corda non si scala, se si dimentica la borraccia non si beve. La montagna mette di fronte alla responsabilità di fare, di esserci in un modo concreto, in una dimensione concreta del vivere. E quindi responsabilizza.

Uno dei più grandi insegnamenti che la montagna ci può dare è anche il rispetto della natura e dell’ambiente che ci circonda. Lei come conoscitore della montagna, come crede che al giorno d’oggi il nostro modo di rapportarci alla natura e all’ambiente montano debba cambiare in relazione alla fragilità di questi ambienti e soprattutto al cambiamento climatico?

Il rapporto di rispetto con l’ambiente non deve essere riferito solo alla montagna. Dobbiamo essere rispettosi dell’ambiente in montagna, in un pascolo, su una cima, così come in città. L’ambiente che ci circonda è delicato ovunque, anche in città noi produciamo emissioni e inquinamento che poi si ripercuotono altrove. La montagna e la città in questo senso sono collegate. Certo, la montagna può dare una sensibilità in più perché si vede la fragilità degli ecosistemi, ci si trova di fronte a una natura che è di fatto minacciata. Questo nesso così stretto che in fondo c’è – città e montagna, difatti, non sono poli di una dicotomia – porta ad andare in montagna avendo anche più rispetto per l’ambiente in città. I cambiamenti climatici in montagna sono più evidenti – i ghiacciai si sciolgono, alcune piante salgono di quota – e fanno notare l’alterazione degli equilibri ecologici. Osservando tale evidenza si fanno i conti con una responsabilità dell’agire anche in città. La montagna è un indicatore che solletica e dovrebbe stimolare il senso di responsabilità.

Parlando invece di giovani. Lei è uno scrittore e giornalista, ha scritto diversi libri e curato delle riviste. Ritiene che questi strumenti cartacei siano efficaci per raggiungere i giovani, forse più propensi al digitale? E se non lo sono, come si possono rendere efficaci?

Non so se sono così efficaci. Io penso che i giovani leggano ma penso anche che l’importante sia puntare molto sulla qualità del prodotto. Se c’è un abbandono e un allontanamento dalla scrittura, naturalmente non bisogna dare la colpa ai giovani che guardano altrove o mettersi sulla difensiva rispetto ai nuovi mezzi. Questi mezzi nuovi e la letteratura possono convivere, è importante puntare sul migliorare la qualità dei libri e l’interesse che possono suscitare.

Foto di Lukas Del Giudice