“Dall’ego all’eco”, come il cibo cambia il nostro pianeta

“Dall’ego all’eco”, questo è l’incipit del workshop tenuto dall’associazione Brighter Green. Quest’organizzazione, con sede a New York, si occupa di politiche sull’equità del cibo, specialmente in India, Brasile, Cina ed Etiopia, e delle relazioni tra i cambiamenti climatici ed allevamento.
Al giorno d’oggi, l’allevamento intensivo è la prima causa di perdita di specie e biodiversità
, dato che sempre più terre vengono rubate per creare allevamenti: il 30% dei territori sul nostro pianeta sono usufruiti dagli animali e il 70% delle terre coltivate produce i mangimi animali (soprattutto mais e soia). Molti Paesi sono soggetti a deforestazione per procurarsi nuove colture (attualmente sulla Terra ci sono circa 10 animali allevati per ogni essere umano).
L’allevamento intensivo e la produzione di derivati animali (uova, latte, formaggi …) provocano inoltre una grande emissione di gas serra, circa il 14,5% della quantità totale mondiale. Nonostante ciò, il consumo di carne pro capite sta crescendo in tutto il mondo. Due membri cinesi dell’associazione, Xinyi Lin e Zhu Qing, evidenziano la persistenza di questo problema nel proprio Paese: ogni anno la Cina alleva, tra carne e uova, 11,9 miliardi di polli, ogni pollo costa 500 ml di acqua al giorno, tutti questi animali consumano quindi l’equivalente di 2340 piscine olimpiche di acqua all’anno.
Si stima che per il 2050 ci saranno 120 miliardi di animali allevati, che produrranno 20 gigatonnellate di CO2 (anidride carbonica).
La soluzione potrebbe sembrare non mangiare più carne, e certamente diminuirne il consumo aiuterebbe a ridurre le emissioni, ma se togliessimo tutti i prodotti animali dalla nostra dieta il problema si sposterebbe su altri cibi. Mentre l’associazione non ha fatto alcun riferimento allo sfruttamento di risorse non animali, una ricercatrice dal pubblico ha evidenziato molti problemi attuali sottovalutati o addirittura di cui non si parla. Ad esempio c’è la nuova moda dell’avocado, figlia della cultura vegana. La sua produzione necessita di estese coltivazioni che causano l’abbattimento di moltissimi alberi nelle foreste Messicane. Un ulteriore esempio esposto dalla ricercatrice è il latte di mandorla, assunto in sostituzione al latte animale da numerosi individui. Il mandorlo ha bisogno di grandi quantità di acqua per crescere, ciò contribuisce ad aggravare il già presente problema della siccità in California (paese tra i maggiori esportatori di mandorle). Al fine di ottenere risultati concreti c’è bisogno di un radicale cambiamento nella mentalità di molti, ampliando gli orizzonti e considerando tutte le possibili conseguenze che ogni nostra azione provoca, ponderando le decisioni da prendere sugli effetti che allevamenti ed agricolture intensivi hanno sul nostro pianeta.